Sentenza N. 58 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
22/04/1980
Data deposito/pubblicazione
22/04/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/04/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott.
MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA –
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI, Giudici,
comma primo, n. 1 e 61 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina
delle locazioni di immobili urbani), promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanza emessa il 22 novembre 1978 dal Giudice conciliatore di
Genova nel procedimento civile vertente tra Di Vincenzo Domenico e
Cevasco M. Angela, iscritta al n. 217 del registro ordinanze 1979 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 133 del 16
maggio 1979;
2) ordinanza emessa il 26 gennaio 1979 dal Giudice conciliatore di
Caltanissetta nel procedimento civile vertente tra Cosentino Francesco
e Di Benedetto Andrea ed altri, iscritta al n. 262 del registro
ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 154 del 6 giugno 1979.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore
Brunetto Bucciarelli Ducci;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – IL Giudice conciliatore di Genova, nel corso di un
procedimento promosso dal sig. Di Vincenzo Domenico per ottenere il
rilascio di una sua casa condotta in locazione dalla signora Cevasco
Maria Angela, ha sollevato, in riferimento agli artt. 42, secondo
comma, e 47 della Cost., questione incidentale di legittimità
costituzionale degli artt. 59, n. 1, e 61 della legge n. 392/1978,
nella parte in cui subordinano il diritto del proprietario della casa
di ottenerne la disponibilità alla prova della necessità di adibirla
ad uso proprio, ed alla condizione di esserne proprietario da almeno un
biennio.
Secondo il giudice a quo i predetti vincoli vanificherebbero il
diritto di proprietà e contrasterebbero con gli invocati principi
costituzionali secondo cui, rispettivamente, “la proprietà è
riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di
acquisto e di godimento ed i limiti allo scopo di assicurarne la
funzione sociale e di renderla accessibile a tutti” (art. 42) e “La
Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme …
Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà
dell’abitazione …” (art. 47).
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
con atto di deduzioni depositato il 29 maggio 1979, chiedendo
dichiararsi l’infondatezza della questione sollevata.
Ad avviso della difesa dello Stato l’asserita violazione degli
artt. 42, secondo comma, e 47 della Costituzione, è destituita da ogni
fondamento.
Invero la subordinazione della facoltà di recesso all’aver
acquistato la casa da almeno un biennio, va inquadrata in un’attenta e
ponderata valutazione degli interessi contrapposti, razionalmente
effettuata dal legislatore, ed insindacabile nel merito da questa
Corte, attesoché lo stesso art. 42 rimette al legislatore la
disciplina dei modi di acquisto e di godimento della proprietà, mentre
la norma impugnata non pare neppure porsi in puntuale contrasto con
l’indirizzo segnato dall’art. 47 della Costituzione.
2. – Il Giudice conciliatore di Caltanissetta, nel corso di un
procedimento promosso da tale Cosentino Francesco nei confronti di vari
conduttori di uno stabile, al fine di ottenerne il rilascio per
demolire l’immobile per “realizzare le opere di urbanizzazione
prescritte dalla Commissione edilizia comunale”, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3,42,47 della Costituzione, questione
incidentale di legittimità costituzionale del combinato disposto dagli
artt. 61, 59, n. 1 e 4, della legge n. 392 del 1978, secondo cui il
diritto di recesso del proprietario spetta immediatamente, qualora il
proprietario intenda procedere a demolizione o a trasformazione
dell’immobile, mentre può essere esercitato soltanto decorso un
biennio dall’acquisto, se venga fatto valere per destinare l’immobile a
propria necessità abitativa.
Secondo il giudice a quo il vizio dovrebbe essere eliminato –
sembra di capire argomentando anche dalla rilevanza della questione –
introducendo il requisito del biennio anche per coloro che vogliono far
valere il recesso a fini di ricostruzione.
La normativa denunciata, infatti, contrasterebbe con il principio
di eguaglianza favorendo i proprietari costruttori e discriminando
negativamente i conduttori più poveri, che abitano i quartieri
fatiscenti; nel contempo viene tuttavia asserito che l’impugnato limite
del biennio vanificherebbe il diritto di proprietà con violazione
degli artt. 42 e 47 della Costituzione.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
con atto di deduzioni depositato il 21 giugno 1979, chiedendo
dichiararsi l’infondatezza della questione proposta.
Invero secondo la difesa dello Stato, la condizione del biennio è
stata introdotta per evitare che la collusione tra il locatore ed un
terzo costituisca il mezzo per eludere la legge e per recare un
indebito pregiudizio al conduttore. Il diverso trattamento riservato
alle altre ipotesi di recesso deriva dalla loro natura intrinsecamente
diversa, oggettivamente meglio accertabile e tale quindi da
giustificare la disciplina differenziata, mancando la medesima ratio ed
una omogeneità di situazioni comparabili.
Quanto alla disparità che le norme denunciate realizzerebbero in
relazione alla qualità di costruttori di taluni locatori o alla
condizione di inquilini di stabili fatiscenti, si tratta, secondo la
difesa dello Stato, di una regolamentazione adeguata alla diversità
delle situazioni di fatto, come tale priva di alcun vizio per
violazione del principio di eguaglianza.
La pretesa, infine, che l’impugnata disciplina del requisito del
biennio violi gli artt. 42 e 47 Cost., viene ritenuta dall’Avvocatura
come formulata al livello di mera enunciazione, e in quanto tale non
meritevole di specifica confutazione.
1. – Le ordinanze 217 e 262 del 1979, meglio descritte in
narrativa, prospettano questioni tra loro connesse, sicché i relativi
giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.
2. – La Corte costituzionale è chiamata a decidere se gli artt.
59, primo comma, n. 1, e 61 della legge sull’equo canone n. 392 del
1978 – secondo cui il proprietario locatore di una casa ha diritto di
ottenerne la disponibilità nei confronti di un conduttore che gode del
regime vincolistico, subordinatamente al requisito di esserne
proprietario da almeno un biennio, ed alla condizione che provi la
necessità di destinare l’immobile a proprio uso abitativo o
commerciale – contrastino, o meno, con gli artt. 42 e 47, secondo
comma, della Costituzione, dubitandosi che le suddette limitazioni
violino la garanzia costituzionale assicurata all’acquisizione e al
godimento del diritto di proprietà, nonché la particolare tutela del
risparmio popolare, sancita per favorire l’accesso all’abitazione.
3. – Il medesimo art. 61 è altresì denunciato, nella parte in cui
stabilisce che il diritto di recesso può essere esercitato
immediatamente dal proprietario, nel caso intenda procedere a
demolizione o trasformazione dell’immobile (art. 59, n. 4, citata
legge), mentre spetta solo dopo il decorso di un biennio dall’acquisto,
nel caso di destinazione dell’immobile per propria necessità, per
asserito contrasto con gli artt. 3, 42, 47 Cost.
È infatti prospettato il dubbio che l’indicata disparità sia
ingiustificata, in quanto danneggerebbe gli inquilini poveri costretti
a vivere in immobili antiquati, e privilegerebbe i proprietari
costruttori o muratori che potrebbero più facilmente rientrare nel
possesso dei loro immobili. Nel contempo l’inaccessibilità per un
biennio alla propria abitazione, e la mancanza di godimento che ne
consegue, rappresenterebbero dei limiti che eccessivamente
condizionerebbero la proprietà e l’uso della casa sviando il risparmio
dall’investimento in beni abitativi.
4. – Le questioni non sono fondate e non meritano accoglimento.
La Corte costituzionale, con la sentenza 29 del 1975 ha già
ritenuta non fondata la censura mossa, in riferimento agli artt. 3 e 47
della Costituzione, ad una norma di contenuto analogo a quella oggi
impugnata e secondo la quale chi acquistava un appartamento già locato
a un inquilino avente diritto alla proroga, non poteva far valere
l’azione di necessità prima che fosse decorso un certo lasso di tempo
dall’acquisto stesso, (all’epoca fissato in un triennio).
Nel passato, dunque, tale termine era più lungo dell’attuale ed il
decorso dello stesso costituiva – quanto meno a seguito degli artt. 2
quarter e 1 quinquies delle leggi n. 351 del 1974 e 363 del 1975 –
condizione di proponibilità della domanda giudiziale.
La norma oggi denunciata con l’ordinanza 217/79 si limita a
stabilire che la facoltà di recesso, nel caso previsto dall’art. 59,
n. 1, citata legge, non può essere esercitata dall’acquirente per atto
tra vivi, finché non siano decorsi almeno due anni dalla data
dell’acquisto (art. 61 stessa legge 392/1978).
Ad avviso della Corte il legislatore ha voluto in tal modo
contemperare l’interesse del conduttore con quello del proprietario
che, acquistato un appartamento condotto da altri in locazione, invochi
poi il recesso per necessità, stabilendo un periodo minimo di
intangibilità del rapporto locatizio, variamente graduato, a tutela
della parte economicamente più debole. Tale disciplina appare
ragionevole esplicazione dell’esercizio di discrezionalità
legislativa, non in contrasto con gli artt. 42, secondo comma, e 47
della Costituzione.
Invero essendo rimesso al legislatore di determinare i modi di
acquisto e di godimento della proprietà, non può certo affermarsi che
essa venga vanificata, con conseguente violazione dell’invocato art. 42
Cost., sol perché il proprietario non può ottenere una decisione
giudiziale in ordine al diritto di recesso prima che siano decorsi i
prescritti due anni. Pertanto tale limite del biennio, così come
configurato, non produce affatto l’asserita vanificazione del diritto
di proprietà che già era stata esclusa nella precedente sentenza n.
29/1975 di questa Corte in riferimento ad una più grave limitazione.
La riconosciuta utilità e ragionevolezza di tale norma vale altresì
ad escludere che sia imputabile alla medesima il paventato effetto di
allontanare il risparmio dal bene casa, risultando così infondata
anche la denunciata violazione dell’art. 47 Cost. Quanto poi alla
prospettata violazione dell’art. 42 Cost. per effetto della previsione
che il locatore possa recedere dal contratto solo in caso di
necessità, è sufficiente osservare che tale limitazione è
giustificata nel regime transitorio dal contemperamento degli opposti
interessi del locatore e del conduttore come è ampiamente ricordato
nella sentenza n. 22 del 1980.
5. – La censura formulata con l’ordinanza 262/1979 non tiene conto
della diversità oggettiva delle situazioni poste in comparazione,
(considerate rispettivamente ai nn. 1 e 4 dell’art. 59 citata legge),
erroneamente prospettando l’illegittimità della norma che, nell’ultimo
dei casi indicati, non pone il decorso del biennio dall’acquisto come
condizione dell’azione di recesso. Invero nel caso in cui il
proprietario, ottenuta l’apposita autorizzazione amministrativa,
intenda procedere ad un’opera di ricostruzione o di notevole
trasformazione dell’immobile per eseguire nuove costruzioni, si verte
in un’ipotesi particolare che il legislatore ha disciplinato tenendo
conto, oltreché del rapporto locatore – conduttore (tutelato mediante
il prescritto preavviso di sei mesi), anche degli ulteriori interessi
connessi alle esigenze di incremento e miglioria del patrimonio
edilizio. Sotto tale profilo va rilevato che condizione per l’azione di
rilascio è il possesso della licenza o della concessione richieste
dalle rigorose leggi vigenti in proposito, e che può escludersi, oggi,
la possibilità che la norma favorisca intenti di speculazione edilizia
del proprietario locatore. Invero è ben noto che quest’ultimo potrà
ricavare dalla successiva locazione degli immobili, così ricostruiti,
non più un libero prezzo di mercato bensì il reddito locatizio
stabilito autoritativamente dalla legge sull’equo canone.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1. – dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 59, n. 1 e 61 della legge sull’equo canone
n. 392 del 1978, sollevate, in riferimento agli artt. 42 e 47 della
Costituzione con l’ordinanza n. 217 del 1979, in epigrafe descritta;
2. – dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 61 – in relazione all’art. 59, n. 4 – della
citata legge 392 del 1978, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 42,
e 47 della Costituzione, con l’ordinanza n. 262 del 1979, anch’essa in
epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere