Sentenza N. 585 del 1987
Corte Costituzionale
Data generale
23/12/1987
Data deposito/pubblicazione
23/12/1987
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/12/1987
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
degli artt. 1 e 14 della legge 2 aprile 1958, n.339 (Per la tutela
del rapporto di lavoro domestico), promosso con ordinanza emessa il 5
novembre 1979 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente
tra Savoca Mariangela e Chiadini Maria Franca, iscritta al n. 25 del
registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 78 dell’anno 1980;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio dell’11 novembre 1987 il Giudice
relatore Giuseppe Borzellino;
procedimento civile vertente tra Savoca Mariangela e Chiadini Maria
Franca, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in
riferiemento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, del combinato
disposto degli artt. 1 e 14 della l. 2 aprile 1958, n.339, “nella
parte in cui assicura un trattamento retributivo minimo orario
inderogabile solo ai lavoratori domestici che prestino almeno quattro
ore di lavoro giornaliero, praticando, ai lavoratori che effettuano
meno di quattro ore lavorative giornaliere, un trattamento
deteriore”, in base ad una distinzione che sarebbe irragionevole e
contraria alla normativa costituzionale di raffronto.
Secondo il giudice a quo avendo la lavoratrice effettuato nel
corso del rapporto di lavoro un orario lavorativo inferiore alle 4
ore giornaliere non avrebbe avuto diritto alla “tutela legale
minima”, in forza dell’art.1 della l. n.339 del 1958.
Ciò contrasterebbe con il principio sancito dall’art.36, primo
comma, della Costituzione, poiché, se la quantità del lavoro per i
lavoratori retribuiti ad ore, è espressa (come nel caso di specie)
dal numero delle ore di lavoro effettuate, non pare ragionevole
discriminare il trattamento retributivo, distinguendo tra chi abbia
effettuato almeno quattro ore al giorno e chi abbia effettuato, forse
più gravosamente, meno di quattro ore al giorno.
Nel presente giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato.
Le norme denunciate e in particolare l’art. 1 non introducono,
secondo l’Avvocatura, alcuna irragionevole diversità di trattamento
quando prendono in considerazione solamente il rapporto di lavoro
domestico di quegli addetti che prestano la loro opera, “continuativa
e prevalente”, per almeno quattro ore al giorno, in quanto il
rapporto di lavoro domestico presenta peculiari caratteristiche che
ben possono legittimare una disciplina diversa dagli altri rapporti
di lavoro.
Si chiede pertanto che venga dichiarata l’infondatezza della
questione prospettata.
lavoro domestico, regolando tale rapporto ne esplicita (art. 1)
l’applicazione solo all’ambito dei servizi non inferiori a quattro
ore giornaliere di attività.
Il giudice a quo denuncia una palese discriminazione nei confronti
dei lavoratori domestici svolgenti attività di durata inferiore, i
quali resterebbero privi di tutela nella fissazione di un’adeguata
retribuzione. In conseguenza, gli artt. 1 e 14 della legge sugli
ambiti applicativi (art. 1) e le modalità di determinazione delle
tariffe retributive (art. 14) contrasterebbero con gli artt. 3 e 36
Cost.
2- a. – Nei termini di cui in appresso, la questione non è
fondata.
Non v’è dubbio che il rapporto di lavoro domestico per la sua
particolare natura si differenzia, sia in relazione all’oggetto, sia
in relazione ai soggetti coinvolti, da ogni altro rapporto di lavoro:
esso, infatti, non è prestato a favore di un’impresa avente, nella
prevalenza dei casi, un sistema di lavoro organizzato in forma
plurima e differenziata, con possibilità di ricambio o di
sostituzione di soggetti, sibbene di un nucleo familiare ristretto ed
omogeneo; destinato, quindi, a svolgersi nell’ambito della vita
privata quotidiana di una limitata convivenza.
In ragione di tali caratteristiche, proprie al rapporto, la Corte
ha già evidenziato, in via di principio, la legittimità di una
disciplina speciale anche derogatoria ad alcuni aspetti di quella
generale (sentenza n. 27 del 1974).
2- b. – Tutto ciò non ha escluso peraltro – e non esclude – che i
lavoratori domestici non debbano essere considerati come una
categoria professionale, nei cui confronti non va negato – ma deve
essere anzi affermato – il ricorso alla disciplina collettiva.
Proprio per tali ultime considerazioni, la Corte ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 2068, comma secondo, del
codice civile che sottraeva i rapporti di cui trattasi alla
disciplina della contrattazione collettiva (sentenza n. 68 del 1969).
2- c. – Sicché, allo stato, la legge n. 339 qui in discussione,
precedente d’oltre un decennio la declaratoria in parola – constatata
la evoluzione di un sistema nel cui seno per l’innanzi l’autonomia
privata erasi manifestata solo tendenziale – costituisce un’altra
fonte (cfr. cit. sentenza n. 68 del 1969) nella regolamentazione dei
rapporti di collaborazione familiare in parte attribuita, ora, anche
alla contrattazione collettiva (possono confrontarsi, al riguardo,
gli accordi intervenuti il 23 novembre 1984, in vigore – salvo tacita
rinnovazione – sino al 30 settembre 1987 e concernenti – art. 1 – i
prestatori di lavoro domestico “comunque retribuiti”).
3. – Nella delineata realtà odierna, le scelte che la legge
citata ha inteso seguire non appaiono né illogiche né irrazionali,
come già del resto la Corte aveva affermato in precedenza (sentenza
n. 27 del 1976).
Va considerato, all’uopo, che la normativa non pone divieti od
esclusioni, ma al contrario consente, secondo la ricostruzione qui
fattane delle sue finalità, l’applicazione – ricorrendone i
presupposti – di tutte quelle altre disposizioni che regolando la
materia non richiedono, quale requisito essenziale, una particolare
misura della prestazione (artt. 2240 e ss. del cod. civ.; l. 27
dicembre 1953, n. 930 sulla corresponsione della tredicesima
mensilità, ecc.): cosicché – in tali sensi è anche la
giurisprudenza della Corte di cassazione – il giudice di merito è
posto in grado di verificare tutti i termini concreti del rapporto
sino a ricomprendervi la verifica circa la giusta retribuzione del
lavoratore, proporzionale alla quantità e qualità del suo lavoro
(art. 36 Cost.).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata nei sensi di cui in motivazione la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 14 della legge 2
aprile 1958, n. 339: Per la tutela del rapporto di lavoro domestico,
sollevata dal Pretore di Torino, in riferimento agli articoli 3 e 36
Cost., con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 dicembre 1987.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: BORZELLINO
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1987.
Il direttore della cancelleria: MINELLI