Sentenza N. 586 del 1990
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1990
Data deposito/pubblicazione
28/12/1990
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1990
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv.
Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, prof.
Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
quindicesimo, della legge 7 dicembre 1989, n. 389, di conversione del
decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338 (“Disposizioni urgenti in
materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri
sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento
dei patronati”), promosso con ordinanza emessa il 30 maggio 1990 dal
Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra I.N.P.S. e
Ricotti Giuseppe, iscritta al n. 487 del registro ordinanze 1990 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima
serie speciale, dell’anno 1990;
Visti gli atti di costituzione di Ricotti Giuseppe e dell’I.N.P.S.
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 27 novembre 1990 il Giudice
relatore Luigi Mengoni;
Udito l’avvocato Alberto Predieri per Ricotti Giuseppe e
l’Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio
dei ministri;
sentenza del Pretore di Torino che ha accolto la pretesa dell’agente
di assicurazione Giuseppe Ricotti di essere ammesso al beneficio
della riduzione di aliquota dei contributi alla Cassa unica per gli
assegni familiari, disposta dall’art. 20, primo comma, n. 1, del
d.-l. 2 marzo 1974, n. 30, convertito nella legge 16 aprile 1974, n.
114 (modificato dalle leggi 3 giugno 1975, n. 160, art. 11, e 21
dicembre 1978, n. 845, art. 25), in favore dei datori di lavoro
artigiani e commercianti iscritti negli elenchi nominativi per
l’assicurazione di malattia, il Tribunale di Torino, con ordinanza
del 30 maggio 1990, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2,
sedicesimo comma (indicato come “quindicesimo” stante la soppressione
del nono comma operata in sede di conversione), del d.-l. 9 ottobre
1989, n. 338, convertito nella legge 7 dicembre 1989, n. 389.
In contrasto con la giurisprudenza consolidata dalla Corte di
cassazione, la norma denunciata dispone che dal detto beneficio
devono intendersi esclusi gli agenti di assicurazione. Considerato:
che la riduzione dell’aliquota è coordinata con la condizione
dell’iscrizione negli elenchi degli esercenti piccole imprese
commerciali ai fini dell’assicurazione obbligatoria contro le
malattie; che a tali fini la legge 25 novembre 1971, n. 1088,
annovera tra gli ausiliari del commercio, insieme con gli agenti di
commercio, anche gli agenti di assicurazione; che, secondo la
rammentata giurisprudenza, pure gli agenti di assicurazione sono
connotati da una “minore capacità contributiva”; il giudice
remittente ravvisa nella norma impugnata una ingiustificata e
irrazionale disparità di trattamento, aggravata dall’efficacia
retroattiva comportata dalla natura di norma di interpretazione
autentica.
2. – Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito l’appellato
chiedendo l’accoglimento della questione.
Pur condividendo le argomentazioni e le conclusioni del Tribunale,
la parte privata nega che la disposizione denunciata abbia natura di
norma di interpretazione autentica, mancando nel caso di specie il
presupposto di gravi anfibologie o interpretazioni contrastanti che
possano giustificare un intervento legislativo di questo tipo. Il
difetto di tale carattere priva di ogni giustificazione la
retroattività della norma, e rende ancora più evidente la
violazione del principio di eguaglianza a danno degli agenti di
assicurazione nei confronti degli altri ausiliari del commercio. Ne
risulta violato inoltre il principio dell’affidamento del cittadino,
principio-cardine dello Stato di diritto.
Queste considerazioni sono ribadite e sviluppate in una memoria
depositata nell’imminenza dell’udienza di discussione. In essa si
osserva ulteriormente che l’innovazione introdotta dalla norma
denunciata costituisce un privilegium odiosum, il quale, essendo
contenuto in un decreto-legge, avrebbe dovuto essere corredato di
adeguata motivazione circa la sussistenza dei presupposti
costituzionali e la ragione delle scelte.
Si è costituito anche l’INPS con atto depositato il 29 ottobre
1990, e quindi fuori termine.
4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, concludendo per una
dichiarazione di infondatezza della questione.
L’Avvocatura osserva che, di fronte alla giurisprudenza della
Corte di cassazione, che estendeva il beneficio agli agenti di
assicurazione sul riflesso di una loro minore capacità contributiva
al pari delle altre categorie agevolate, il legislatore è
intervenuto con una interpretazione restrittiva dell’art. 20, n. 1,
del d.-l. n. 30 del 1974, escludendo dal suo ambito applicativo la
categoria degli agenti di assicurazione, “ritenuta evidentemente non
abbisognevole del trattamento di favore”. La scelta non sarebbe
suscettibile di rilievi di irragionevolezza e di ingiustificata
disparità di trattamento di situazioni omogenee.
della Costituzione, l’art. 2, sedicesimo comma (divenuto quindicesimo
in seguito alla soppressione del nono comma operata in sede di
conversione) del d.-l. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito nella legge
7 dicembre 1989, n. 389, il quale dispone che la riduzione
dell’aliquota dei contributi alla Cassa unica per gli assegni
familiari, prevista dall’art. 20, primo comma, n. 1 del d.-l. 2 marzo
1974, n. 30, convertito nella legge 16 aprile 1974, n. 114, in favore
dei datori di lavoro iscritti negli elenchi nominativi degli
esercenti attività commerciale per l’assicurazione di malattia deve
intendersi non applicabile agli agenti di assicurazione.
2. – La questione non è fondata.
Il collegamento del beneficio accordato dall’art. 20, n. 1, del
d.-l. n. 30 del 1974 con l’iscrizione negli elenchi nominativi per
l’assicurazione di malattia dei commercianti conduce il giudice
remittente a individuare il tertium comparationis occorrente per
fondare la denunciata violazione del principio di eguaglianza
nell’art. 1, terzo comma, lett. c) della legge 25 novembre 1971, n.
1088, il quale equipara gli agenti di assicurazione agli agenti di
commercio ai fini dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie.
In base a questa norma la giurisprudenza più recente – in contrasto
con l’interpretazione restrittiva accolta da pronunce anteriori (cfr.
Cass. n. 1266 del 1984) e sostenuta dall’INPS nella deliberazione n.
61 del 1982 e nella successiva circolare n. 708 – estendeva il
beneficio in questione agli agenti di assicurazione (cfr. Cass. nn.
2512 e 3627 del 1987, 813 del 1988, 5732 del 1990).
Va però rilevato che l’equiparazione disposta dalla legge n. 1088
del 1971 non è fondata su una omogeneità di contenuti (e quindi di
funzioni di mercato) delle attività di agente di commercio e di
agente di assicurazione, ma soltanto su una valutazione di
opportunità circoscritta alla materia della previdenza sociale per i
lavoratori autonomi, nell’ambito della quale all’identità di natura
del rapporto contrattuale tra gli agenti dell’una e dell’altra
categoria e i loro preponenti deve corrispondere, indipendentemente
dalla diversità delle rispettive attività, uniformità di
disciplina. Fuori dal campo della tutela previdenziale del rapporto
di agenzia non opera un criterio di equiparazione, ma il criterio
opposto risultante dalla norma generale dell’art. 2195 cod. civ., il
quale tiene distinta l’attività assicurativa dall’attività
commerciale in senso stretto (ossia intermediaria nella circolazione
dei beni), e conseguentemente separa anche le corrispondenti
attività ausiliarie. Perciò il riferimento dell’art. 20, n. 1, del
d.-l. n. 30 del 1974 all’iscrizione negli elenchi nominativi di cui
alla legge n. 1397 del 1960 non è un dato utilizzabile per una
interpretazione estensiva eccedente la lettera legislativa, la quale
limita ai “datori di lavoro artigiani e commercianti” il beneficio
della riduzione dell’aliquota dei contributi previdenziali per gli
assegni familiari ai dipendenti: tale interpretazione non ha qui il
supporto dell’identità di ratio sottesa all’equiparazione degli
agenti di assicurazione agli agenti di commercio agli effetti
dell’assicurazione obbligatoria, nel loro interesse, contro le
malattie.
Si giustifica così l’intervento del legislatore con una norma di
interpretazione autentica volta a chiarire – a fronte della
giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione – che la detta
equiparazione non vale ai fini della determinazione dei contributi
dovuti alla Cassa unica per gli assegni familiari spettanti agli
ausiliari subordinati delle agenzie di assicurazione.
3. – Sul riflesso che l’interpretazione sancita dalla citata
giurisprudenza della Corte di cassazione costituiva, comunque,
“diritto vivente”, la parte privata ha contestato la natura di
interpretazione autentica della disposizione impugnata, affermandone,
invece, la natura di norma innovativa munita di retroattività. Tale
questione (risolta nel primo senso dalla medesima Corte con la
sentenza n. 9899 del 1990) non può essere qui presa in esame perché
l’art. 2, sedicesimo comma, del d.-l. n. 338 del 1989 non è stato
impugnato, nemmeno in subordine, nella parte in cui incide
retroattivamente sugli obblighi contributivi già scaduti prima
dell’entrata in vigore del decreto stesso.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, sedicesimo comma (divenuto quindicesimo in seguito alla
soppressione del nono comma del medesimo articolo operata in sede di
conversione), del d.-l. 9 ottobre 1989, n. 338 (“Disposizioni urgenti
in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri
sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento
dei patronati”), convertito, con modificazioni, nella legge 7
dicembre 1989, n. 389, sollevata, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, dal Tribunale di Torino con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1990.
Il Presidente: CONSO
Il redattore: MENGONI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1990.
Il cancelliere: DI PAOLA