Sentenza N. 593 del 1990
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1990
Data deposito/pubblicazione
28/12/1990
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1990
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv.
Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
comma, e 517 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza
emessa il 18 giugno 1990 dal Pretore di Massa – sezione distaccata di
Pontremoli nel procedimento penale a carico di Hadovic Safet,
iscritta al n. 520 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale,
dell’anno 1990;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 28 novembre 1990 il Giudice
relatore Ugo Spagnoli;
nel quale, dopo che il P.M. aveva contestato all’imputato la recidiva
specifica infraquinquennale, il difensore di questi aveva formulato
richiesta di giudizio abbreviato, ottenendo al riguardo il consenso
del P.M., il Pretore di Massa – sez. distaccata di Pontremoli –
ritenuto che il processo fosse definibile allo stato degli atti, ma
che l’istanza non fosse accoglibile in quanto avanzata oltre il
termine perentorio di quindici giorni decorrente dalla notifica del
decreto di cui all’art. 555 cod. proc. pen. – ha sollevato, in
riferimento all’art. 24 Cost., una questione di legittimità
costituzionale degli artt. 560, primo comma, cod. proc. pen. e 517
cod. proc. pen., “nella parte in cui non consentono, in caso di
contestazione suppletiva, di rimettere in termini le parti per la
richiesta dell’adozione di un rito abbreviato o comunque di un rito
speciale”.
Rilevato che la contestazione suppletiva, elevabile in qualsiasi
momento del dibattimento (art. 517 cod. proc. pen.), può determinare
l’interesse dell’imputato alla scelta di un rito speciale, il giudice
rimettente assume che la preclusione esistente al riguardo violerebbe
il diritto di difesa, che a suo avviso include la garanzia della
lealtà e correttezza nell’esercizio dell’azione penale. Sotto questo
profilo, non dovrebbe consentirsi al P.M. di integrare o modificare
l’accusa dopo che l’imputato non è più in grado di determinare le
sue scelte difensive. Né potrebbe farsi carico a costui di
“prevedere una tale ‘strategia accusatoria’ del P.M., preoccupandosi
di ‘patteggiare’ sul rito o sulla pena quando ciò era ancora nelle
sue facoltà”.
In tal modo si aderirebbe, invero, ad una “logica intrinsecamente
inquisitoria”, per la quale “chi è imputato di un reato deve, per
evitare i rischi delle nuove contestazioni e per usufruire del
beneficio dei riti speciali, confessare l’esistenza di tutte le
circostanze aggravanti e di tutti i reati concorrenti”.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite
l’Avvocatura dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata
infondata.
Gli “interessi” delle parti in ordine alla scelta dei riti
alternativi – osserva l’Avvocatura – sono un fenomeno normativamente
indifferente e non hanno relazione alcuna col diritto di difesa che
è garantito sia in tali riti, sia, a fortiori, nel rito ordinario.
Il legislatore è quindi libero di stabilire specifici momenti che
precludono alle parti ulteriori opzioni sul rito da adottare, nel
quadro di una necessaria regolamentazione delle singole cadenze
processuali.
sez. distaccata di Pontremoli, dubita della legittimità
costituzionale degli artt. 560, primo comma, e 517 cod. proc. pen.,
nella parte in cui non consentono, in caso di contestazione
suppletiva, di rimettere in termini le parti per la richiesta
dell’adozione di un rito abbreviato o comunque di un rito speciale. A
suo avviso, tali norme violerebbero il diritto di difesa (art. 24
Cost.), in quanto ne risulterebbe leso il sopravvenuto interesse
dell’imputato e, per altro verso, il potere del P.M. di elevare nuove
contestazioni quando la scelta di tali riti è ormai preclusa
lederebbe la garanzia di lealtà e correttezza dell’esercizio
dell’azione penale.
2. – La questione non è fondata.
La fissazione del termine di quindici giorni dalla notifica del
decreto di citazione a giudizio come ultima data entro la quale
l’imputato può, nel procedimento pretorile, chiedere il giudizio
abbreviato, è, invero, del tutto coerente ed inscindibilmente
connessa alla logica che presiede all’introduzione di questo istituto
nel nuovo sistema processuale. Come questa Corte ha già avuto modo
di osservare (cfr. sent. n. 277 e ordinanze nn. 361 e 477 del 1990),
l’interesse dell’imputato a beneficiare dei vantaggi che discendono
dall’instaurazione di tale rito speciale – e tra questi, oltre alla
riduzione della pena di un terzo (art. 442, secondo comma), anche la
preclusione per il pubblico ministero ad effettuare contestazioni
nuove o suppletive (art. 441, primo comma) – in tanto rileva, in
quanto egli rinunzi al dibattimento, accettando di essere giudicato
sostanzialmente sulla base degli elementi raccolti dall’organo
dell’accusa – senza partecipare alla formazione della prova in
contraddittorio – e di subire limiti alla proponibilità dell’appello
(cfr. l’articolo 561 e le disposizioni ivi richiamate). L’interesse
dell’imputato trova cioè tutela solo in quanto la sua condotta
consenta l’effettiva adozione di una sequenza procedimentale, che,
evitando il dibattimento e contraendo le possibilità di appello,
permette di raggiungere quell’obiettivo di rapida definizione del
processo che il legislatore ha inteso perseguire con l’introduzione
del giudizio abbreviato e più in generale dei riti speciali.
Perciò, quando ormai per l’inerzia dell’imputato tale scopo non
può più essere pienamente raggiunto – in quanto si è già
pervenuti al dibattimento – sarebbe del tutto irrazionale consentire
che, ciononostante, a quel giudizio si addivenga in base alle
contingenti valutazioni dell’imputato sull’andamento del processo.
In ciò non può ravvisarsi alcuna violazione del diritto di
difesa, dato che questo nel dibattimento ordinario è pienamente
garantito e non incontra, anzi, i limiti che sono propri del giudizio
abbreviato. Né la possibilità del P.M. di effettuare in tale fase
contestazioni nuove o suppletive può dirsi violatrice del principio
di lealtà e correttezza nell’esercizio dell’azione penale, dato che
tale possibilità è, al contrario, pienamente coerente al ruolo che
nel nuovo processo è assegnato, rispettivamente, alle indagini
preliminari ed al dibattimento: le une, inidonee a formare la prova
in senso proprio; l’altro, sede principale dell’accertamento e non
strumento di verifica di verità storiche già compiutamente
acclarate.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 560, primo comma e 517 del codice di procedura penale,
sollevata in riferimento all’art. 24 Cost. dal Pretore di Massa –
sezione distaccata di Pontremoli, con ordinanza del 18 giugno 1990.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1990.
Il Presidente: CONSO
Il redattore: SPAGNOLI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1990.
Il cancelliere: DI PAOLA