Sentenza N. 595 del 1990
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1990
Data deposito/pubblicazione
28/12/1990
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1990
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv.
Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, prof.
Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
terzo, ultima parte, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione
del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale),
promosso con ordinanza emessa il 22 maggio 1990 dal Consiglio di
Stato Sezione IV giurisdizionale sul ricorso proposto dal Ministero
delle Finanze ed altra contro Tacchini Ubaldo, iscritta al n. 508 del
registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 1990;
Visto l’atto di costituzione di Tacchini Ubaldo;
Udito nell’udienza pubblica del 27 novembre 1990 il Giudice
relatore Vincenzo Caianiello;
Uditi gli avvocati Gregorio Leone e Vittorio Nuzzaci per Tacchini
Ubaldo;
sospensione dell’esecuzione di una sentenza di primo grado, il
Consiglio di Stato, con ordinanza in data 22 maggio 1990, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, comma 1, e 35, comma 1,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 53, comma 3, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, nella parte
in cui non prevede che la sospensione di diritto dalle attività di
spedizioniere doganale, disposta a seguito di mandato di cattura,
cessi con la concessione della libertà provvisoria.
Ad avviso del giudice a quo, la norma impugnata impone il
mantenimento della sospensione obbligatoria anche nell’ipotesi in cui
venga concessa la libertà provvisoria, istituto ormai venuto meno,
nonché nei casi di rimessione in libertà di cui all’art. 299
dell’attuale codice di procedura penale. Nello stesso senso, infatti,
sono state interpretate da questa Corte e dalla giurisprudenza della
Cassazione due disposizioni analoghe, nella ratio e nella lettera, a
quella censurata, e cioè rispettivamente: l’art. 39, comma 1, lett.
c), e comma 4, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, concernente la
professione di dottore commercialista (sentenza n. 766 del 1988), e
l’art. 139 n. 1 legge 16 febbraio 1913, n. 89, concernente la
professione di notaio (giurisprudenza della Cassazione). Tale
interpretazione risulterebbe ulteriormente avvalorata dal combinato
disposto degli artt. 53, comma 1, lett. b), comma 2 e 3, e 54 del
citato d.P.R. n. 43 del 1973, secondo il quale la sospensione di
diritto per emissione di mandato o ordine di cattura cessa soltanto
con la sentenza, anche non definitiva, di proscioglimento, di
assoluzione o di condanna alla pena della reclusione per un periodo
inferiore all’anno.
In punto di rilevanza, il giudice remittente disattende la tesi
sostenuta nella pronuncia di primo grado, secondo la quale, per
effetto della sentenza n. 766 del 1988 che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 39, comma 1, lett. c), e
comma 4, d.P.R. 27 ottobre 1953, n.1067 (ordinamento della
professione di dottore commercialista), nella parte in cui non
prevedeva che la sospensione di diritto avesse a cessare quando
veniva concessa la libertà provvisoria, deve ora considerarsi,
analogicamente, venuta meno anche la disposizione impugnata nella
stessa parte in cui non consente il riesame della posizione dello
spedizioniere doganale sospeso a seguito di ordine o mandato di
cattura, una volta che l’interessato sia stato rimesso in libertà.
Ad avviso del giudice a quo l’art. 53 del d.P.R. n. 43 del 1973, sul
quale si fonda la propria pronuncia cautelare, deve invece ritenersi
vigente finché non ne venga espressamente dichiarata
l’incostituzionalità diretta o derivata.
La rigidità della misura amministrativa, che rimane ferma
nonostante la concessione della libertà provvisoria, determinerebbe
– secondo quanto già affermato nella citata sentenza di questa Corte
n. 766 del 1988 – un’ingiustificata disparità di trattamento
rispetto alla disciplina prevista per l’equivalente misura cautelare
dell’interdizione provvisoria dalla professione o dal pubblico
ufficio disposta, durante l’istruttoria, ai sensi degli artt. 140
codice penale e 290 codice di procedura penale, per la quale è
comunque stabilito un limite massimo di durata.
La predetta rigidità, inoltre, escludendo l’adattamento del
provvedimento amministrativo di sospensione alle circostanze
concrete, risulterebbe in sé irragionevole e, potendo comportare il
sacrificio ingiustificato del diritto al lavoro del professionista,
si porrebbe in contrasto, oltre che con l’art. 3, anche con gli artt.
4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione.
2. – Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita la parte
appellata, che ha preliminarmente rilevato la completa
equiparabilità tra le categorie professionali del commercialista e
dello spedizioniere doganale (entrambi tenuti a superare un esame per
entrare in carriera), con la conseguente possibilità di ritenere che
l’illegittimità costituzionale affermata nella sentenza n. 766 del
1988 in relazione alla prima categoria professionale sussista anche
nei confronti della legge che disciplina la seconda. Né un elemento
di differenziazione fra le due professioni potrebbe rinvenirsi nel
requisito della “fiducia dell’amministrazione”, richiesto dall’art.
48 del d.P.R. n. 43 del 1973 per la nomina a spedizioniere doganale;
tale requisito, infatti, non consisterebbe in altro che nell’assenza
di precedenti condanne penali del candidato, le quali, se intervenute
successivamente alla nomina, danno invece luogo alla revoca della
stessa, analogamente a quanto dispone l’ultimo comma dell’art. 31 del
d.P.R. n. 1067 del 1953, regolante l’ordinamento della professione di
commercialista.
Nel ribadire la validità delle argomentazioni svolte con
l’ordinanza di rimessione, la parte privata ha infine rilevato
l’ingiustificata disparità di trattamento che, in relazione alla
stessa misura cautelare amministrativa, si viene a determinare nei
confronti degli altri professionisti e dei pubblici dipendenti.
dell’art. 53, comma 3, ultimo periodo (rectius degli artt. 53, commi
1, lett. b), 2 e 3, e 54, comma 2, ultimo periodo) del d.P.R. 27
ottobre 1953, n.1067, nella parte in cui non prevede che la
sospensione di diritto dalle attività di spedizioniere doganale,
disposta a seguito di ordine o mandato di cattura, cessi con il
riacquisto della libertà da parte dell’imputato.
Ad avviso del giudice a quo, tale mancata previsione profila un
contrasto con l’art. 3 della Costituzione in quanto la rigidità
della misura amministrativa che ne esclude l’adattamento alle
circostanze concrete, quale la sopravvenuta rimessione in libertà
dell’interessato, oltre che apparire irragionevole in sé, determina
una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina
prevista per l’equivalente misura cautelare dell’interdizione
provvisoria dalla professione o dal pubblico ufficio disposta,
“durante l’istruttoria”, ai sensi degli “articoli 140 codice penale e
290 codice di procedura penale”, per la quale è comunque stabilito
un limite massimo di durata. Altro contrasto viene ravvisato in
riferimento agli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione,
in quanto la predetta rigidità della misura amministrativa comporta
un ingiustificato sacrificio del diritto al lavoro del
professionista.
2. – La questione, sollevata in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, è fondata.
In proposito va ricordato che la Corte ha dichiarato (sentenza n.
766 del 1988) l’illegittimità costituzionale dell’art. 39, comma 1,
lett. c), e comma 4, del d.P.R. n. 1067 del 1953, perché dal loro
combinato disposto derivava la permanenza della sospensione cautelare
dalla professione di dottore commercialista, conseguente ad emissione
del mandato di cattura anche dopo la concessione della libertà
provvisoria. L’illegittimità costituzionale delle predette norme fu
dichiarata in riferimento all’art. 3 della Costituzione, e cioè
sulla constatata irragionevolezza della persistenza della sospensione
di diritto, una volta ripristinata la situazione di libertà e sulla
ingiustificata situazione deteriore del professionista sospeso de
jure, in base ad un provvedimento amministrativo emanato in
conseguenza di un mandato di cattura, rispetto alla situazione del
professionista sospeso, ex art. 140 codice penale, con un
provvedimento del giudice soggetto invece a garanzia di durata.
Situazione non dissimile è quella che si produce per effetto
della disciplina oggetto della questione di legittimità
costituzionale sollevata con l’ordinanza in esame, in quanto detta
norma concerne la sospensione obbligatoria dell’attività di
spedizioniere doganale per effetto di un ordine o mandato di cattura
dell’imputato esercente tale professione, senza che sia prevista la
cessazione della sospensione a seguito del riacquisto dello stato di
libertà. Difatti il terzo comma, ultimo periodo, dell’art. 53 del
d.P.R. n. 43 del 1973 prevede che è sempre disposta la sospensione
dello spedizioniere doganale quando per qualsiasi reato sia stato
emesso nei suoi confronti mandato o ordine di cattura e, secondo
quanto ritiene il giudice a quo, dal collegamento di tale previsione
con il primo comma, lett. b), e con il secondo comma dello stesso
art. 53, nonché con il secondo comma, ultimo periodo, dell’art. 54,
deriva che la sospensione di diritto per emissione del mandato o
ordine di cattura venga meno soltanto con la sentenza, anche non
definitiva, di proscioglimento, di assoluzione o di condanna alla
pena della reclusione per un periodo non superiore ad un anno.
Orbene, pur potendosi condividere il risultato
dell’interpretazione sistematica formulata dal giudice a quo sulla
base del collegamento fra loro delle disposizioni richiamate, non
può invece seguirsi l’impostazione che esso propone, quando, sia
pure in termini problematici, sembra auspicare una pronuncia della
Corte che tenga in qualche modo conto del regime relativo alla
custodia cautelare, quale previsto dal nuovo codice di procedura
penale del 1988. Come risulta, difatti, dalla stessa ordinanza di
rinvio, il giudizio amministrativo, nel quale è stata sollevata la
questione in esame, ha per oggetto una vicenda maturatasi sotto il
regime dell’abrogato codice di procedura penale, in quanto
l’interessato era stato destinatario di un ordine di cattura seguito
da un provvedimento di libertà provvisoria. Né, dall’ordinanza di
rimessione, risulta che, con il sopravvenire del nuovo codice di
procedura penale del 1988, siano state adottate nuove misure
cautelari limitative della libertà personale, o che sia stato
modificato, alla stregua del nuovo regime, il titolo del precedente
provvedimento di libertà provvisoria, per cui non si vede quale
rilevanza potrebbe avere nel giudizio amministrativo a quo una
pronuncia che tenesse conto della nuova disciplina del processo
penale.
Il thema decidendum può riguardare perciò le norme impugnate
solo in relazione al regime delle misure limitatrici della libertà
personale e delle loro cause di cessazione quali previste nel codice
di procedura penale precedente, perché il provvedimento impugnato
dinanzi al giudice amministrativo è quello con cui è stato disposta
la sospensione a tempo indeterminato a seguito dell’ordine di cattura
emesso nei confronti del ricorrente, nonostante la già intervenuta
scarcerazione per effetto di un provvedimento di libertà
provvisoria.
Così circoscritta la questione sotto l’aspetto della rilevanza, è
necessario altresì precisare che, pur invocandosi nel dispositivo
dell’ordinanza di rimessione una dichiarazione di illegittimità
costituzionale riguardante esclusivamente l’art. 53, comma 3, ultimo
periodo, del d.P.R. n. 43 del 1973, tuttavia deve tenersi conto che
è lo stesso giudice a quo che, come si è già rilevato, nella
motivazione dell’ordinanza sottopone a scrutinio di legittimità
costituzionale la disciplina risultante dal combinato disposto
dell’art. 53, commi 1, lett. b), 2 e 3, e dell’art. 54, comma 2,
ultimo periodo, perché è in particolare quest’ultima disposizione
che, nel prevedere l’ipotesi di cessazione della sospensione di
diritto, non contempla la riacquisizione dello stato di libertà.
È perciò per effetto del combinato disposto dei commi richiamati
che, a detta dello stesso giudice a quo, si determina una situazione
identica a quella che, nella già richiamata sentenza n. 766 del
1988, aveva dato luogo alla dichiarazione di illegittimità
costituzionale di un analogo complesso normativo riguardante un’altra
categoria di professionisti. Ed è dunque in relazione a tale
combinato disposto che i principi affermati in detta sentenza pongono
in evidenza, come si deduce nella ordinanza di rinvio, analoghi
profili di incostituzionalità, perché non appare razionale che un
provvedimento amministrativo, quale quello della sospensione
obbligatoria, che ha la stessa natura e si basa sulle stesse
situazioni per le quali è previsto un provvedimento giudiziario,
come quello ex art. 140 codice penale, non offra al cittadino
analoghe garanzie di durata.
3. – L’accoglimento della questione in riferimento all’art. 3
della Costituzione, assorbe i profili che fanno riferimento agli
altri parametri costituzionali invocati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 53, commi 1,
lett. b), 2, 3, ultimo periodo, e 54, comma 2, ultimo periodo, del
d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni legislative in materia doganale), nella parte in cui non
prevedono che la sospensione di diritto dello spedizioniere doganale
venga meno con la concessione della libertà provvisoria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1990.
Il Presidente: CONSO
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1990.
Il cancelliere: DI PAOLA