Sentenza N. 6 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
19/02/1965
Data deposito/pubblicazione
19/02/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/02/1965
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO,
Giudici,
quarto comma, del R.D. L. 15 ottobre 1925, n. 2033, promosso con
ordinanza emessa il 29 novembre 1963 dal Pretore di Palermo nel
procedimento penale a carico di Pace Carmelo, iscritta al n. 12 del
Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 54 del 29 febbraio 1964.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 5 novembre 1964 la relazione del
Giudice Giovanni Battista Benedetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nel corso di un procedimento a carico di Pace Carmelo, imputato dei
reati previsti dagli artt. 516 del Codice penale e 10 del D. P. R. 19
maggio 1958, n. 719, per avere prodotto e posto in commercio polveri
per bibite non genuine, il Pretore di Palermo, con ordinanza 29
novembre 1963, accogliendo la istanza della difesa, sollevava questione
di legittimità costituzionale degli ultimi due commi dell’art. 44 del
R.D. L. 15 ottobre 1925, n. 2033 e successive disposizioni concernenti
l’aumento delle somme che debbono essere depositate per poter impugnare
il risultato dell’analisi che ha dato luogo alla denuncia all’autorità
giudiziaria.
Nella ordinanza il Pretore si limitava ad osservare che le
disposizioni impugnate appaiono in contrasto con i principi di
eguaglianza e di parità di diritti di tutti i cittadini di fronte alla
legge e quindi in contrasto cogli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54 del 29
febbraio 1964.
Nel giudizio davanti a questa Corte il Pace non si è costituito.
È intervenuto, invece, il Presidente del Consiglio dei Ministri
rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato.
Nell’atto di intervento e in una successiva memoria, depositati
rispettivamente in cancelleria il 13 febbraio e il 20 ottobre 1964,
l’Avvocatura osserva che il preteso contrasto con l’art. 3 della
Costituzione non sussiste perché le norme impugnate, pur ponendo, in
funzione di un particolare interesse pubblico, un onere a carico di
coloro che intendono chiedere la revisione delle analisi, si
riferiscono a una categoria di persone determinate genericamente e
oggettivamente senza toccare quelle condizioni soggettive che l’art. 3
della Costituzione impone di considerare non influenti ai fini della
tutela e dell’eguaglianza giuridica.
In ordine poi al preteso contrasto con l’art. 24 della
Costituzione, l’Avvocatura rileva che il deposito previsto dall’art. 44
sopra ricordato non limita l’esercizio del diritto alla tutela
giurisdizionale poiché la revisione dell’analisi, che ha luogo su
istanza da presentarsi tramite l’autorità giudiziaria, pur
inquadrandosi nel procedimento giurisdizionale diretto all’accertamento
della eventuale responsabilità penale, si svolge su di un piano
distinto da questo essendo di carattere preliminare alla celebrazione
del processo.
L’onere che fa carico all’interessato, oltre a presupporre un
accertamento sfavorevole nei suoi confronti, che può essere
considerato titolo sufficiente a giustificare l’imposizione, risponde
all’esigenza di pubblico interesse di evitare che si impugnino per fini
dilatori i risultati delle analisi esponendo l’Amministrazione a
ulteriori e dispendiose attività di accertamento.
Il diritto di agire e di difendersi in giudizio non è violato
poiché l’imputato che ha lasciato trascorrere il termine per chiedere
la revisione in limine del processo penale, può sempre chiedere nel
corso del giudizio una perizia. E questa perizia può essere disposta
senza che l’imputato debba effettuare alcun deposito preventivo.
Per quanto, infine, riguarda l’art. 113 l’Avvocatura sostiene che
esso sarebbe stato invocato fuori proposito poiché le analisi compiute
dalla pubblica Amministrazione non costituiscono atti amministrativi in
senso proprio e nel significato nel quale l’espressione è usata in
detto articolo.
L’Avvocatura conclude, pertanto, chiedendo che la questione di
legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata infondata.
1. – Nell’ordinanza, sebbene succintamente motivata, viene
chiaramente sollevata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della
Costituzione, la questione relativa alla legittimità costituzionale
delle norme vigenti che, in tema di repressione delle frodi nella
preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti
agrari, stabiliscono l’onere, per coloro che chiedono la revisione
dell’analisi, in base alla quale erano stati denunciati, di effettuare
un preventivo deposito di somme per ogni campione.
Nonostante che nell’ordinanza risultino richiamati soltanto i commi
terzo e quarto dell’art. 44 del R.D. L. 15 ottobre 1925, n. 2033, e si
faccia generico riferimento a “successive disposizioni concernenti
l’aumento del deposito di somme”, è evidente che le disposizioni
realmente denunciate come incostituzionali – e sulle quali, per
conseguenza, la Corte deve portare il suo esame – sono quelle contenute
nell’art. 1, commi terzo e quarto, della legge 27 febbraio 1958, n.
190, le quali nel modificare e sostituire il vecchio testo degli
indicati commi dell’art. 44 del R.D.L. n. 2033 del 1925, hanno elevato
a lire 10.000 per ogni campione il deposito da effettuare dagli
interessati che, intendendo impugnare i risultati delle analisi, ne
chiedano la revisione.
2. – Le disposizioni impugnate, in tema di repressione delle frodi
agrarie, stabiliscono che, in seguito alla denuncia presentata
all’autorità giudiziaria dal capo del laboratorio analizzatore e alla
contemporanea comunicazione dell’esito dell’analisi all’interessato,
questi può impugnarla, mediante richiesta di revisione da inoltrare
alla competente autorità giudiziaria, nel termine perentorio di
quindici giorni dalla comunicazione. Alla richiesta va unita la
ricevuta comprovante l’avvenuto deposito nella cassa erariale della
somma di lire 10.000 per ogni campione.
Per meglio intendere la portata e lo scopo del preventivo deposito
è d’uopo richiamare l’art. 117 del R.D. 1 luglio 1926, n. 1361,
contenente il regolamento per l’esecuzione del R.D.L. 15 ottobre 1925,
n. 2033, sulle repressioni delle frodi agrarie, il quale stabilisce che
quando la revisione riesce favorevole al richiedente, il giudice, nel
pronunciare sentenza di assoluzione, deve ordinare la restituzione del
deposito, e nel caso, invece, che la revisione riesca sfavorevole,
l’Istituto che eseguì la revisione comunica all’ufficio demaniale il
dispositivo della sentenza, perché metà del deposito sia incamerato a
favore dell’erario e l’altra metà sia corrisposta all’Istituto.
L’art. 2 della legge 27 febbraio 1958, n. 190, che ha sostituito il
testo dell’art. 45 del R.D.L. 2033 del 1925, stabilisce, infine, che
“in ogni caso in cui agli effetti giudiziari o amministrativi” occorra
“una perizia o una revisione dell’analisi” queste saranno eseguite da
determinati istituti e che “tutte le spese relative alle analisi, alle
loro revisioni e alle perizie sono a carico del richiedente ove la
prima analisi venga confermata”.
Dal contesto delle indicate disposizioni e dal loro collegamento
emerge evidente che il procedimento di revisione, pur tendendo
all’accertamento della responsabilità del denunciato, opera in un
momento preliminare al processo penale, consiste in un accertamento
tecnico eseguito in sede amministrativa da determinati laboratori ed
enti cui spetta il compito di controllare la rispondenza dei prodotti
analizzati alle prescrizioni di legge, tende, in definitiva, al fine di
confermare o meno l’originaria denuncia a seconda che il risultato
dell’analisi di revisione sia sfavorevole o non all’interessato.
L’onere del preventivo deposito, fondato su presupposti oggettivi e
determinato in misura tale da renderne possibile l’adempimento, trova
adeguata giustificazione in ragioni di pubblico interesse quali quelle
di evitare che con domande di revisione prive di fondamento, meramente
avventate o defatigatorie, vengano chiesti riesami di accertamenti
tecnici, spesso complessi e costosi, che comportano impiego di lavoro
ed attrezzature specializzate da parte di quegli Istituti che per legge
sono tenuti ad eseguirli.
Nelle disposizioni impugnate non si ravvisa alcuna violazione dei
principi costituzionali che garentiscono l’eguaglianza di tutti i
cittadini davanti alla legge, il loro diritto di agire e difendersi in
giudizio e la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica
Amministrazione.
Per quanto riguarda in particolare i diritti garantiti dagli artt.
24 e 113 della Costituzione giova rilevare che i risultati delle
analisi che hanno dato luogo alla denuncia non sono impugnabili solo in
via amministrativa mediante il procedimento della revisione. L’art. 2
della legge n. 190 del 1958 consente infatti al giudice di disporre, in
quanto occorra agli effetti giudiziari, una perizia per l’espletamento
della quale nessuna somma dovrà essere anticipata dall’imputato,
essendo la relativa spesa posta a suo carico solo nel caso in cui la
prima analisi sia confermata.
La possibilità di impugnare i risultati dell’analisi con tale
mezzo di difesa, riconosciuta dalla legge proprio a coloro che, per
qualsiasi motivo, non si siano potuti giovare del rimedio della
revisione, sta a dimostrare come la tutela giurisdizionale sia ad essi
pienamente assicurata.
La questione di legittimità costituzionale è, pertanto,
infondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 44, commi terzo e quarto, del R.D.L. 15 ottobre 1925, n.
2033, concernente la repressione delle frodi nella preparazione e nel
commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari, nel testo
sostituito dall’art. 1 della legge 27 febbraio 1958, n. 190, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 febbraio 1965.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.