Sentenza N. 60 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
05/05/1967
Data deposito/pubblicazione
05/05/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/04/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
parte, del Codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il
23 novembre 1965 dal Pretore di Viterbo nel procedimento civile
vertente tra Di Guglielmo Francesco ed altri contro la Società “La
Surrina”, iscritta al n. 59 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 118 del 14 maggio 1966.
Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1967 la relazione del
Giudice Luigi Oggioni.
Nel procedimento per esecuzione mobiliare promosso avanti al
Pretore di Viterbo da Di Guglielmo Francesco ed altri contro la
Società “La Surrina”, opponente, veniva nominata custode dei beni
mobili pignorati Della Ca’ Paola alla quale, non avendone ella fatto
richiesta, l’ufficiale giudiziario non riconosceva diritto al compenso,
a norma dell’art. 522, primo comma, del Codice di procedura civile.
Costei peraltro, nell’ulteriore corso del procedimento, chiedeva la
liquidazione del compenso cui si opponevano i creditori procedenti
osservando che nulla le era dovuto a norma del citato art. 522, primo
comma, del Codice di procedura civile.
Il Pretore, con ordinanza emessa il 23 novembre 1965, sollevava di
ufficio questione di legittimità costituzionale della predetta norma,
per contrasto non solo col principio informatore della Costituzione
secondo cui l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro,
ma anche con gli artt. 35, primo comma, e 36, primo comma, della
Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro in tutte le sue forme
ed applicazioni, e riconoscono al lavoratore il diritto ad una
retribuzione proporzionata alla quantità del lavoro svolto.
Osserva il Pretore nell’ordinanza che indubbiamente l’esercizio
della custodia comporta da parte del designato un’attività lavorativa
per l’espletamento dei compiti di conservazione ed amministrazione dei
beni affidatigli, la cui inosservanza, inoltre, induce responsabilità
di ordine civile e perfino penale. Il custode pertanto avrebbe diritto
al compenso, indipendentemente dalla sua richiesta che, in difetto di
espresso interpello da parte dell’ufficiale giudiziario, non potrebbe
d’altra parte considerarsi come rinuncia in quanto, nella maggioranza
dei casi, sarebbe dovuta ad ignoranza della norma di legge.
Il Pretore poi, motivando sulla rilevanza della questione, ne
afferma la pregiudizialità in quanto, contestualmente alla decisione
sul procedimento esecutivo, si devono liquidare le relative spese di
cui fa parte il compenso al custode.
L’ordinanza, notificata il 22 dicembre 1965 e comunicata ai
Presidenti dei due rami del Parlamento, è stata pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 118 del 14 maggio 1966. Non essendovi stata
costituzione di parti avanti alla Corte costituzionale, la causa è
stata decisa in camera di consiglio, a norma degli artt. 26, comma
secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle Norme integrative
per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.
1. – La questione di legittimità costituzionale proposta con
l’ordinanza in esame, solleva il dubbio che l’art. 522, prima parte,
del Codice di procedura civile, condizionando il compenso al custode di
beni mobili pignorati al riconoscimento della relativa spettanza da
parte dell’ufficiale giudiziario procedente oltre che all’espressa
richiesta del custode stesso, possa essere in contrasto con le norme
costituzionali ordinate alla tutela di ogni genere di attività
lavorativa e della conseguente retribuzione (artt. 1, 35, primo comma,
36, primo comma, della Costituzione). Per la soluzione di tale
questione è indispensabile precisare preliminarmente la figura
giuridica del custode di beni sottoposti ad esecuzione forzata e, in
particolare, del custode di beni mobili.
L’art. 65 del Codice di procedura civile che fa menzione del
custode è collocato sotto il Capo terzo del Libro primo del Codice e,
mentre il titolo di questo Libro comprende la categoria generale degli
organi giudiziari, il Capo terzo riguarda gli ausiliari del giudice.
Come tale, appunto, deve essere definito il custode: non già
mandatario o rappresentante legale del debitore, a questi legato da un
rapporto privatistico, ma incaricato dell’esercizio di funzioni a
carattere pubblicistico, quale collaboratore dell’ufficio esecutivo a
titolo di munus publicum nella conservazione dei beni pignorati.
2. – La ragione del fatto che il compenso al custode di beni mobili
pignorati è attribuibile solo in via facoltativa e in misura
discrezionale, risiede, secondo la concezione che ha ispirato la
corrispondente norma del Codice di rito, nella particolare natura e
modalità dell’incarico.
Il principio di facoltatività, già riconosciuto fin dall’art. 603
del precedente Codice di rito ed ora ribadito dall’art. 522, prima
parte, è giustificato da quanto leggesi nella relazione del
Guardasigilli: cioè mancanza, nella maggior parte dei casi, di alcun
apprezzabile onere per i custodi ed esigenza di arginare lamentate
pretese di custodi di professione.
D’altra parte, si è anche considerato che l’incarico di custode
non può essere imposto ma è subordinato alla accettazione del
designato, il quale, soltanto con l’accettazione volontaria, si
sottopone alle conseguenze di legge e che, per la particolare
fisionomia dell’istituto, il compenso, come può essere richiesto,
così può essere anche validamente rinunciato.
3. – Ciò premesso e precisato, occorre accertare se queste ragioni
che risultano come giustificatrici della norma di rito, contrastino o
meno con i suindicati principi della Costituzione.
La Corte non ravvisa la dedotta incompatibilità.
Con la dichiarazione prima che pone il lavoro a fondamento della
Repubblica, si è inteso affermare la preminenza di ogni attività
lavorativa nel sistema dei diritti – doveri spettanti ai cittadini. Con
le dichiarazioni 35 e 36, comprese sotto il titolo dei “rapporti
economici” si è inteso garantire al lavoro, come sopra considerato,
ampia tutela ed ai lavoratori subordinati, quale corrispettivo delle
loro prestazioni, una retribuzione proporzionata ed in ogni caso
sufficiente a soddisfare le esigenze, individuali e familiari, di
un’esistenza libera e dignitosa.
La tutela della retribuzione del lavoro di cui all’art. 36, non si
adegua al compenso attribuibile al custode di beni mobili pignorati.
Tale compenso, infatti, si differenzia, per sua natura, dalla
retribuzione, la cui tutela costituzionale ha la finalità, tutta
propria, di far corrispondere alle prestazioni da cui il lavoratore
debba trarre prevalentemente e continuativamente i mezzi di sussistenza
il sufficiente profitto, a differenza dell’attività, del tutto
occasionale e temporanea, del custode di beni mobili pignorati.
La questione proposta deve, quindi, dichiararsi non fondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 522, prima parte, del Codice di procedura civile, sollevata
con ordinanza del Pretore di Viterbo, in relazione agli artt. 1, 35,
primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.