Sentenza N. 60 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
22/04/1980
Data deposito/pubblicazione
22/04/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/04/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI –
Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA
– Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE –
Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
cod.civ. promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 23 marzo 1977 dal pretore di Milano nel
procedimento civile vertente tra Galimberti Martino e Varesi Ferruccio,
iscritta al n. 309 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 193 del 15 luglio 1977;
2) ordinanza emessa il 14 marzo 1978 dal pretore di Piombino nel
procedimento civile vertente tra Maiolini Silvano e Tozzi Iole,
iscritta al n. 298 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250 del 6 settembre 1978.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 febbraio 1980 il Giudice
relatore Guido Astuti;
udito l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
1. – Con ordinanza emessa il 23 marzo 1977 nel corso del giudizio
civile vertente tra Galimberti Martino e Varesi Ferruccio ed avente ad
oggetto la richiesta di risarcimento di danni conseguenti ad incidente
stradale, il pretore di Milano ha sollevato, d’ufficio, questione di
legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art.
1284, primo comma, del codice civile perché, ove le risultanze
processuali avessero suffragato la domanda dell’attore, avrebbe dovuto
condannare il convenuto al risarcimento dei danni provocati, con gli
interessi legali sulla somma liquidata, e cioè al saggio del cinque
per cento annuo. Ma la determinazione, in misura rigida e precostituita
del saggio degli interessi legali porterebbe, secondo il giudice a quo,
ad un ingiustificato diverso trattamento di colui il cui diritto viene
accertato giudizialmente, rispetto al quivis che non sia costretto a
ricorrere alla tutela giudiziale e che, pertanto, sulle somme a lui
dovute può pretendere ed ottenere interessi commisurati al saggio
ufficiale di sconto determinato dall’istituto di emissione.
Davanti a questa Corte non si sono costituite le parti private,
mentre ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, eccependo la non rilevanza
della questione, avendo l’attore chiesto la condanna del convenuto al
risarcimento dei danni “con gli interessi legali sulla somma liquidata”
e non potendo il giudice, in presenza di una eventuale sentenza di
accoglimento della Corte, pronunciare, in violazione dell’art. 112
c.p.c., oltre i limiti della domanda dell’attore.
La questione sarebbe comunque infondata perché la norma impugnata
lascia libere le parti di pattuire gli interessi sulle somme dovute,
con il solo limite costituito dal divieto di interessi usurari, e solo
in mancanza di pattuizioni al riguardo stabilisce in quale misura siano
dovuti gli interessi; quando tale pattuizione non è possibile, come in
materia di obbligazioni extracontrattuali, allora il principio
contenuto nell’art. 1284 prende vigore con carattere di generalità per
tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni.
La circostanza, infine, che il legislatore abbia fatto riferimento
al tasso di interesse legale, piuttosto che a quello praticato nel
libero mercato, costituisce scelta discrezionale, razionalmente
giustificabile con la naturale e storica diffidenza verso i tassi
superiori e con la tutela del debitore.
2. – Con ordinanza emessa il 14 marzo 1978 nel giudizio civile
vertente tra Maiolini Silvano e Tozzi Iole e avente ad oggetto il
pagamento di una somma, il pretore di Piombino ha sollevato – su
eccezione dell’attore – questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1284 c.c. in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost. perché,
stabilendo detta norma il tasso di interesse nella misura del cinque
per cento annuo, e cioè al di sotto del tasso di svalutazione della
moneta:
a) viola il principio di uguaglianza comportando una irragionevole
diversità di trattamento, lesiva per il creditore e favorevole al
debitore (in contrasto pertanto con ogni principio di giustizia
distributiva), in quanto il debitore trarrebbe maggiore interesse a
procrastinare l’adempimento della dovuta obbligazione ovvero anche a
vedersi convenuto in giudizio, dal momento che, a titolo di interessi
legali, deve corrispondere molto meno di quanto può percepire
impiegando le somme oggetto dell’obbligazione nei modi senz’altro più
remunerativi che il sistema economico consente;
b) “vanifica e scoraggia la tutela del risparmio in tutte le sue
forme”, posto che la norma stessa ha indubbiamente finalità
remunerativa del capitale e che tale finalità “è venuta meno ove si
consideri che da circa un decennio il tasso di svalutazione della
moneta ha non solo vanificato la remunerazione, ma anche eroso il
capitale”.
Non si è costituita alcuna delle parti private.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
dall’Avvocatura dello Stato, ha chiesto che la questione venga
dichiarata non fondata. L’art. 1284 c.c., infatti, è norma pienamente
derogabile dalla volontà delle parti, che sono libere di pattuire la
misura del saggio degli interessi sulle somme dovute e che ben possono,
pertanto, premunirsi contro gli effetti della svalutazione. D’altra
parte la legge (art. 1284 c.c.) pone al principio generale, secondo cui
il danno da inadempimento deve essere provato dal creditore che
pretende il risarcimento, una deroga nel caso in cui oggetto della
obbligazione sia una somma di denaro, con la previsione di una
liquidazione legale del danno che si fonda sulla presunzione di
produttività del denaro e che esime il creditore dall’obbligo di
provare il danno, sicché gli interessi sono dovuti “anche se il
creditore non prova di aver sofferto alcun danno”. Lo stesso articolo
prevede poi espressamente che “al creditore che dimostra di aver subito
un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento”, e nel maggior danno
ben può essere ricompreso, appunto, quello conseguente alla
svalutazione della moneta.
1. – L’ordinanza del pretore di Milano, resa in un giudizio di
responsabilità civile in cui veniva chiesto il risarcimento dei danni
da sinistro stradale, “con gli interessi legali”, solleva, in
riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità
costituzionale della disposizione dell’art. 1284, primo comma, del
codice civile, per cui “il saggio degli interessi legali è del cinque
per cento in ragione di anno”; l’ordinanza del pretore di Piombino, in
un giudizio diretto ad ottenere il pagamento del prezzo di merci
vendute, “con gli interessi legali… per entità non inferiori al
tasso di svalutazione monetaria”, solleva la stessa questione, in
riferimento agli artt. 3 e 47 Cost. La disposizione denunciata,
determinando l’interesse legale in misura fissa ed inferiore
all’attuale tasso di svalutazione della moneta, sarebbe fonte di
ingiustificate disparità di trattamento, prospettate sotto due diversi
profili. Secondo la prima ordinanza, tale disparità si verificherebbe
tra coloro che, essendo costretti a chiedere l’accertamento giudiziale
del proprio diritto di credito, possono ottenere la conseguente
attribuzione degli interessi solo nella misura legale, e gli altri
soggetti che hanno di regola la possibilità di pattuire la
corresponsione di interessi nella maggior misura consentita dalle
normali condizioni di mercato. Nella seconda ordinanza è invece
rilevata la disparità di trattamento tra creditori e debitori, in
quanto la misura legale degli interessi non offrirebbe ai primi un’equa
rimunerazione dei loro capitali, e indurrebbe i secondi a procrastinare
l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie per conseguirne ingiusto
vantaggio. La insufficiente misura del saggio legale degli interessi
confliggerebbe altresì con il principio sancito dall’articolo 47 della
Costituzione, perché per effetto di essa sarebbe “vanificata e
scoraggiata la tutela del risparmio in tutte le sue forme”.
2. – Data la identità della questione, i due giudizi possono
essere riuniti e decisi con unica sentenza.
Nel primo giudizio l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito il
difetto di rilevanza della questione di costituzionalità ai fini della
decisione di merito, in quanto, avendo l’attore chiesto la condanna del
convenuto al risarcimento dei danni “con gli interessi legali”, la
cessazione di efficacia della norma impugnata, conseguente
all’eventuale sentenza di accoglimento di questa Corte, “non
abiliterebbe il giudice a pronunciare, in violazione dell’art. 112
c.p.c., oltre i limiti della domanda”.
L’eccezione va disattesa. L’ordinanza di rimessione ha ritenuto la
rilevanza della questione, osservando che una pronuncia di
incostituzionalità “avrebbe effetto nel giudizio, in cui la
statuizione sulla misura degli interessi è conseguenziale a quella
dell’eventuale condanna del convenuto al risarcimento del danno”. Al
riguardo, appare decisivo il rilievo che la domanda relativa agli
interessi legali non può essere rigidamente limitata alla misura del
cinque per cento, fissata dalla legge di cui il giudice pone in dubbio
la legittimità costituzionale, ma va logicamente intesa come diretta
ad ottenere gli interessi nella misura (massima) stabilita dalla norma
applicabile al momento della decisione della causa.
3. – Nel merito, la questione non è fondata. Sarebbe fuori luogo,
ai fini del giudizio di costituzionalità della norma denunciata.
approfondire qui la natura e funzione, controversa in dottrina come in
giurisprudenza, degli interessi legali, richiesti con domanda
accessoria a pretese giudiziali aventi ad oggetto crediti di valore o
rispettivamente di valuta, come quelle formulate nelle due liti a cui
si riferiscono le ordinanze di rimessione; gli interessi richiesti in
entrambe le ipotesi, qualificabili come interessi moratori o come danni
– interessi (senza che occorra qui indagare sul loro carattere
compensativo o risarcitorio), sono puntualmente regolati dalla
disposizione dell’art. 1224, primo comma, del codice civile, per cui
nelle obbligazioni pecuniarie (sempreché non siano stati convenuti
interessi in misura superiore. applicabile anche in caso di mora),
essi sono comunque dovuti nella misura legale stabilita dall’art. 1284,
anche se il creditore non provi di aver sofferto alcun danno; mentre al
creditore che dimostri di aver subito un danno maggiore compete, a
norma dello stesso art. 1224, secondo comma, “l’ulteriore
risarcimento”. E sono ben noti gli sviluppi interpretativi in base ai
quali la recente giurisprudenza della Corte di cassazione ha ammesso
criteri presuntivi in ordine alla prova della sussistenza del danno,
con riguardo alle normali possibilità di impiego e rimunerazione del
denaro offerte dal mercato. Per quanto concerne, d’altra parte, le
obbligazioni di risarcimento del danno da fatto illecito, occorre
ricordare che anche il ritardo della riparazione si ricollega
causalmente all’evento dannoso, e rientra quindi nel danno risarcibile
ai sensi dell’art. 2056 c.c.; nel qual caso gli interessi moratori
possono essere riconosciuti solo per il periodo successivo alla
valutazione e liquidazione giudiziale del danno.
Tale essendo la disciplina legislativa in materia di interessi di
mora e di risarcibilità dell’eventuale maggior danno prodotto dal
ritardo nell’adempimento, imputabile al debitore, appare evidente la
infondatezza delle considerazioni svolte nelle ordinanze di rimessione
circa la incostituzionalità del disposto dell’art. 1284,. primo comma,
c.c., per la disparità di trattamento che sarebbe determinata dal
divario tra il saggio degli interessi legali e il più elevato livello
raggiunto, nelle attuali contingenze, dagli interessi convenzionali.
L’ordinanza del pretore di Milano reputa ingiustificato il
trattamento di chi può richiedere solo l’interesse legale, rispetto a
quanti possono convenzionalmente ottenere interessi commisurati al
saggio ufficiale di sconto, o anche più elevati. Ma non è ammissibile
il raffronto tra situazioni diverse, come quelle di chi, nel difetto di
altro titolo giuridico, ha tuttavia diritto ad ottenere gli interessi
legali, e chi avvalendosi dell’autonomia negoziale pattuisce la
corresponsione di interessi in misura superiore al saggio stabilito
dalla legge comune con norma meramente dispositiva, salvo il requisito
della determinazione per iscritto e il limite del divieto degli
interessi usurari.
Nemmeno possono accogliersi i rilievi dell’ordinanza del pretore di
Piombino, circa la disparità di trattamento che si verificherebbe tra
creditori e debitori per il fatto che il saggio legale degli interessi
è inferiore al tasso di svalutazione annuale della moneta. È
incontestabile ed universalmente noto che il deprezzamento della moneta
incide sul valore reale dei rapporti di credito – debito in valuta: ma
gli effetti della svalutazione monetaria rispetto alle obbligazioni
pecuniarie (specie se a medio o lungo termine) potranno eventualmente
richiedere misure della più varia natura, non necessariamente
l’aumento del saggio degli interessi legali. A prescindere da ogni
possibile riserva sul valore della tradizionale distinzione tra
interessi moratori e interessi corrispettivi, in rapporto alla
identità o diversità della rispettiva funzione, sembra certo che
l’interesse legale, nel vigente regime normativo, può avere carattere
corrispettivo o risarcitorio, ma non ha di regola funzione
reintegrativa del valore delle somme di denaro oggetto della
prestazione principale, erose dalla inflazione.
4. – Privo di fondamento è anche il richiamo al parametro offerto
dall’art. 47 della Costituzione, con l’enunciazione di principio che
la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme.
Come questa Corte ha già avuto occasione di affermare (sentenza n. 29
del 1975), la norma costituzionale segna un indirizzo generale,
rispetto al quale non può dirsi che la disposizione sul saggio degli
interessi legali costituisca puntuale ostacolo, per le considerazioni
dianzi svolte, alla tutela del risparmio.
5. – Per vero, la svalutazione monetaria ha, in relazione alla
disciplina del saggio degli interessi legali, influenza solo indiretta
o mediata, ben diversa da quella che esercita sulle obbligazioni
pecuniarie in genere, determinando squilibri di varia intensità tra le
posizioni creditorie e debitorie.
È innegabile che in presenza di accentuati processi
inflazionistici la misura degli interessi convenzionali è soggetta a
rilevanti lievitazioni, sia per effetto della politica di aumento del
tasso ufficiale di sconto, normalmente adottata a scopo di restrizione
creditizia, sia anche per il conseguente incremento della domanda sul
mercato dei capitali. Ma questa constatazione non consente illazioni in
ordine alla sospettata incostituzionalità della misura del saggio
legale degli interessi.
È ben noto a questa Corte che in altri Paesi della Comunità
economica europea il saggio degli interessi legali è stato elevato con
recenti provvedimenti, anche in relazione alla misura del tasso
ufficiale di sconto. Ma par superfluo osservare che altro è la
politica del tasso di sconto praticata dall’istituto di emissione ed
altro la disciplina degli interessi legali secondo la legge civile,
disciplina che comunque solo al legislatore spetta eventualmente di
modificare con scelte di carattere discrezionale. Di fronte al graduale
deprezzamento della moneta, specie qualora esso assuma dimensioni
patologiche, ben possono essere adottati provvedimenti diretti a
contenere determinati effetti, diretti o indiretti, della svalutazione:
peraltro, siffatti interventi – come già si è avvertito – “sono
sempre frutto di scelte politiche, riservate alla discrezionalità del
potere legislativo, al quale compete di provvedere in sì delicata
materia, sulla base di valutazioni di ordine politico, sociale,
economico, finanziario, che sfuggono di massima al sindacato di
legittimità affidato a questa Corte” (sentenza n. 126 del 1979).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1284, primo comma, del codice civile, sollevata dalle
ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 47 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere