Sentenza N. 61 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
06/07/1965
Data deposito/pubblicazione
06/07/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/06/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA
JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott.
ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof.
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
del T. U. delle leggi di p.s., approvato con R.D. 18 giugno 1931, n.
773, promossi con due ordinanze emesse l’8 marzo 1963 dal Pretore di
Oppido Mamertina nei procedimenti penali a carico di Anastasi Giuseppe
e di Lemma Angelo Teodoro, iscritte ai nn. 74 e 75 del Registro
ordinanze 1964 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
n. 126 del 23 maggio 1964.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 26 maggio 1965 la relazione del
Giudice Michele Fragali;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Il Pretore di Oppido Mamertina, in due ordinanze dell’8 marzo
1963 emesse in due procedimenti penali promossi rispettivamente contro
Giuseppe Anastasi e Angelo Teodoro Lemma, ha denunciato per
illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 4 della
Costituzione, l’art. 134 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, contenente il
testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Questo articolo esige la
licenza prefettizia per esercitare opera di vigilanza o custodia di
proprietà mobiliari o immobiliari, e il Pretore lo ha investito sotto
il riflesso che esso violerebbe il diritto al lavoro che ad ogni
cittadino è stato attribuito dalla Costituzione, toglierebbe al
cittadino la libertà di svolgere il proprio lavoro secondo le proprie
possibilità e la propria scelta e contrasterebbe con l’impegno
programmatico, contenuto nel suddetto art. 4 della Costituzione, di
rendere effettivo il diritto al lavoro.
Il Pretore rileva che la norma assoggetta a controllo
dell’autorità amministrativa la scelta individuale delle vie di lavoro
e quindi menoma o sottrae al cittadino la libertà di una sua
decisione; non può essere collegata a ragioni di pubblica sicurezza,
perché queste sono salvaguardate dalle disposizioni dettate per gli
strumenti usati nell’esercizio dell’attività di custodia (generalmente
le armi), e, dando alla pubblica amministrazione il potere di impedire
una attività di ripiego al cittadino che non fosse idoneo ad altra
attività produttiva per le sue condizioni fisiche o per mancanza di
qualificazione professionale, non permette di rimuovere le circostanze
operanti come preclusione o limite del diritto al lavoro.
Delle due ordinanze, l’una, quella emessa nel processo contro
Anastasi fu pubblicata in udienza alla presenza dell’imputato, l’altra,
emessa nel processo contro Lemma, fu notificata all’imputato contumace
il 22 febbraio 1964. Entrambe furono comunicate il 21 ottobre 1963 al
Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della
Repubblica; il 22 febbraio 1964 vennero poi notificate al Procuratore
della Repubblica di Palmi e al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Pervenute alla Corte dopo gli ultimi adempimenti, il 4 maggio 1964,
furono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 23 maggio 1964, n. 126.
2. – Nessuno si è costituito per le parti private; la Presidenza
del Consiglio dei Ministri è intervenuta il 13 novembre 1963 e ha
dedotto che:
a) la rilevanza dell’attività esplicata dai soggetti esercitanti
la vigilanza privata (i loro verbali fanno fede in giudizio fino a
prova contraria e nella funzione di prevenzione e di repressione dei
reati gli agenti predetti assumono la qualità di pubblici ufficiali)
fa ritenere necessario un controllo preventivo dei requisiti di chi
intende svolgerla;
b) per quanto discrezionale sia la valutazione di quei requisiti,
l’atto che nega l’autorizzazione è suscettibile di controllo di
legittimità;
c) la garanzia costituzionale di un diritto al lavoro non esclude
che si possa prescrivere il possesso di determinati requisiti per
l’esercizio di attività che non possono essere lasciate all’iniziativa
di qualsiasi soggetto.
3 – All’udienza del 26 maggio 1965 l’Avvocatura dello Stato ha
ribadito per la Presidenza del Consiglio dei Ministri le tesi già
esposte.
A torto il Pretore invoca l’art. 4 della Costituzione per spiegare
il dubbio da lui avanzato sulla legittimità costituzionale della norma
denunciata.
Il predetto art. 4 enuncia il principio che impone allo Stato di
favorire il massimo impiego delle attività libere (sentenza 16 gennaio
1957, n. 3) e di determinare e di mantenere situazioni economiche,
sociali e giuridiche tali da aprire concretamente alla generalità dei
cittadini la possibilità di procurarsi un posto di lavoro (sentenze 7
giugno 1963, n. 105, e 26 maggio 1965, n. 45). Il medesimo art. 4 della
Costituzione riconosce al cittadino un diritto alla scelta
dell’attività lavorativa e del modo di esercitarla, come un mezzo
fondamentale di attuazione dell’interesse allo sviluppo della sua
personalità; un diritto presidiato dal divieto di creare e di lasciar
sussistere nell’ordinamento norme che pongano o consentano di porre
limiti a tale libertà o che tale libertà direttamente o
indirettamente rinneghino (citata sentenza 26 maggio 1965, n. 45).
Ma è incontestabile che il principio della libertà di scegliere
una attività di lavoro non è leso da limitazioni poste dalla legge a
tutela di altri interessi e di altre esigenze sociali (sentenza 15
marzo 1960, n. 12): ogni libertà trova contemperamenti al contatto di
sfere concorrenti, che siano ugualmente meritevoli di protezione
costituzionale (sentenze 5 giugno 1956, n. 1; 16 gennaio 1957, n. 2; 20
aprile 1959, n. 27; 21 gennaio 1960, n. 1; 13 febbraio 1960, n. 6). Sul
fondamento di tali premesse questa Corte ha ritenuto che non comprima
il diritto al lavoro l’iscrizione in albi professionali (sentenza 16
gennaio 1957, n. 3), la determinazione di requisiti particolari per
l’accesso ai posti di lavoro e in genere la determinazione di modi e di
condizioni per l’assunzione dei lavoratori (sentenza 8 aprile 1958, n.
30, e citata sentenza 7 giugno 1963, n. 105), la posizione di norme
dirette a disciplinare praticamente la soddisfazione del bisogno di
impiego (sentenza 9 aprile 1957, n. 53); ha però giudicato che limite
di legittimità delle restrizioni ad ogni diritto di libertà è che
questo non ne risulti praticamente soppresso ovvero gravemente
affievolito o compresso (citata sentenza 13 febbraio 1960), e, a
proposito del diritto al lavoro, ha negato valore alle limitazioni che
chiudono l’esercizio di una professione entro una cerchia avente le
caratteristiche delle antiche e tramontate corporazioni locali
(sentenza 17 marzo 1961, n. 13).
Ora, l’art. 134 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, contenente il
testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, è tra le norme che
regolano l’accesso all’esercizio di una attività di lavoro, ma non
eliminano o eccessivamente ed intollerabilmente riducono la libertà
della sua scelta. Esige la licenza prefettizia per svolgere opera di
vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari od opera di
investigazione, di ricerca e di informazione per conto di privati; e,
mentre chiaramente allude ad un’ipotesi di lavoro esplicato in modo
professionale, non mira ad altro che ad accertare l’esistenza di
specifiche condizioni: la cittadinanza italiana, la capacità di
obbligarsi, l’immunità da condanne per delitto non colposo,
l’esclusione di ogni compito che implichi esercizio di pubbliche
funzioni o permetta menomazione della libertà individuale dei terzi.
Verificata la concorrenza di codeste circostanze, l’autorizzazione non
potrà essere negata: la discrezionalità amministrativa è pertanto
limitata, il che assicura contro il pericolo di arbitri lesivi della
libertà costituzionalmente riconosciuta.
La disciplina legislativa ha, del resto, la sua ragione. A parte
la disposizione dell’art. 255 del regolamento 6 maggio 1940, n. 635,
che secondo quanto era previsto nel testo unico anteriore ma non è
stato ripetuto in quello vigente, attribuisce alle guardie particolari
il potere di stendere verbali nell’adempimento del servizio cui sono
destinate e per tali verbali stabilisce che fanno fede in giudizio fino
a prova contraria, è importante notare che la professione di cui si
tratta, ha, nella soddisfazione di un bisogno privato di informazione e
in quello di protezione della proprietà privata, scopi convergenti con
le finalità della funzione di polizia, e però è stata ritenuta
attività integrativa di questa: ciò spiega il perché la professione
di guardia particolare non sia permessa se non previo accertamento di
un minimo di requisiti idonei ad affidare contro gli abusi. L’opera di
tali guardie il più delle volte si risolve in un servizio organizzato,
che implica utilizzazione di uomini armati; pertanto è logico che,
prima di ammetterne l’esplicazione, si ricerchi se il suo fine sia
lecito e se essa verrà a dispiegarsi in un ambito di legalità.
Non è dunque il libero esercizio di una attività di lavoro che si
restringe con la norma denunciata, ma si garantisce alla comunità che
una attività autonomamente scelta è conforme alle esigenze della
sicurezza pubblica e a quelle della libertà dei cittadini con i quali
le guardie private possono venire in relazione; in modo da non potersi
temere attentati all’una e all’altra. Per il che non basta certamente,
come invece ravvisa il giudice a quo, l’applicazione delle norme che
regolano il porto delle armi.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riunisce le due cause;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 134 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, contenente il testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza, proposta dal Pretore di Oppido
Mamertina con le ordinanze dell’8 marzo 1963, in riferimento all’art. 4
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.