Sentenza N. 62 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
24/05/1967
Data deposito/pubblicazione
24/05/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/05/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
comma, del T.U. delle leggi sugli spiriti, approvato con R.D. 30
gennaio 1896, n. 26, riprodotto nel terzo comma dell’art. 37 del T.U.
approvato con D.M. 8 luglio 1924, promosso con ordinanza emessa il 28
gennaio 1966 dal Tribunale di Belluno nel procedimento penale a carico
di Bortoluzzi Luigi, iscritta al n. 32 del Registro ordinanze 1966 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 30
aprile 1966.
Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1967 la relazione del
Giudice Antonino Papaldo.
Con ordinanza emessa dal Tribunale di Belluno il 28 gennaio 1966
nel procedimento penale a carico di Bortoluzzi Luigi è stata sollevata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 del T.U. 30
gennaio 1896, n. 26, della legge sugli spiriti, trasfuso nei testi
unici successivi e ultimamente riportato nell’art. 37 del T.U. vigente,
approvato con D.M. 8 luglio 1924.
Il Tribunale ha ritenuto che la disposizione denunziata, secondo
cui il giudice sarebbe obbligato ad emettere giudizio di
responsabilità sulla sola base di una presunzione juris et de jure,
derivante dalla contemporanea presenza in uno stesso locale o in locali
annessi o attigui dell’apparecchio di distillazione o di parte di esso,
o di materie alcooliche o alcoolizzabili, prima che la fabbrica e gli
apparecchi siano denunziati all’ufficio tecnico di finanza e da esso
verificati, senza possibilità di valutazione in ordine ad altre prove
che emergessero nel corso del procedimento, limita i diritti della
difesa come esercitabili in qualsivoglia altro procedimento penale e
crea disparità di trattamento processuale tra imputato e imputato,
ledendo anche il principio del libero convincimento del giudice, tanto
che questi sarebbe esonerato da qualsiasi altra valutazione ed
assolverebbe all’obbligo della motivazione sol che richiamasse il
generico disposto della legge. La norma predetta sarebbe pertanto in
contrasto con i principi fondamentali della Costituzione e segnatamente
con il disposto degli artt. 3, 24, terzo comma, e 27, prima parte,
della Costituzione stessa.
L’ordinanza è stata notificata, comunicata e pubblicata
ritualmente, ma nessuno si è costituito in questa sede; per cui la
causa viene definita in camera di consiglio.
Poiché l’art. 18 del T.U. 30 gennaio 1896, n. 26, è norma
legislativa, in quanto riproduce testualmente, in virtù dell’art. 23
dell’allegato D, all’art. 2 della legge 8 agosto 1895, n. 486, sui
provvedimenti di finanza e tesoro, l’art. 18 dell’allegato stesso,
devesi ritenere che nell’ordinanza sia stata esattamente indicata la
norma ritenuta viziata di incostituzionalità.
Le dedotte censure non hanno fondamento.
La norma ha inteso punire con le stesse pene previste per la
fabbricazione clandestina di spirito colui che abbia introdotto o
detenga nella fabbrica, o nei locali annessi o attigui, apparecchi di
distillazione o parti di essi, materie alcooliche o alcoolizzabili,
senza aver prima denunziato all’ufficio fiscale, e prima che
dall’ufficio stesso siano stati verificati, l’esistenza della fabbrica
e le cose ivi giacenti.
Ma, così statuendo, la norma non ha posto una presunzione juris et
de jure di responsabilità.
Al contrario, la norma si riferisce ad un fatto proprio
dell’agente, il quale risponde di una sua azione od omissione, in
quanto ha collocato o non ha rimosso certe cose che non possono essere
detenute in determinati locali soggetti a particolare vigilanza senza
che siano osservati alcuni precetti della legge.
Non è esatto che l’imputato sia privo di mezzi di difesa e abbia
minori possibilità di difesa rispetto ad altri procedimenti e che il
giudice sia privo dei consueti poteri di accertamento e di valutazione.
Il giudice dovrà accertare se la detenzione di alcune cose in certi
locali ed in certe circostanze sia conseguenza del comportamento
dell’imputato ed in questo accertamento e nella valutazione che di esso
il giudice deve compiere nessun limite è posto al libero convincimento
ed all’obbligo che egli ha di dare adeguata motivazione. Da parte sua,
l’imputato può fornire tutte le prove che siano atte a dimostrare che
il fatto non sussista o che egli non lo abbia commesso o non vi abbia
concorso e può dedurre tutte le ragioni per illustrare la sua
posizione difensiva.
Né costituisce causa di illegittimità il fatto che, secondo la
norma denunziata, l’infrazione prevista dalla norma stessa debba essere
senz’altro considerata e punita come fabbricazione clandestina, ben
potendo il legislatore equiparare una figura di reato ad un’altra o
disporre una eguale punizione per reati diversi. Ciò rientra nei
poteri del legislatore, cui spetta delineare le figure dei reati e
comminare le pene. E l’esercizio di tali poteri è legittimo ed
insindacabile se non si presenti in contrasto con principi o norme
della Costituzione.
Nella specie non esiste contrasto con l’art. 27, primo comma, della
Costituzione, dal momento che la norma denunziata prevede e punisce un
fatto proprio dell’agente, a lui personalmente imputabile. Nello stesso
senso varie volte si è pronunciata la giurisprudenza di questa Corte
(si veda, per tutte, la sentenza n. 79 del 25 maggio 1963).
Non può dirsi violato l’art. 24, terzo comma, giacché è da
escludere che nei giudizi per l’applicazione della norma denunziata
l’imputato incontri alcuna limitazione o alcun ostacolo alla sua
difesa; e ciò a prescindere da ogni riserva circa l’applicabilità al
caso in esame del canone contenuto nella norma costituzionale predetta
in riferimento all’interpretazione che della norma stessa ha dato
questa Corte nelle sue non poche sentenze sull’argomento.
Si osserva, infine, che, equiparando la infrazione meno grave,
prevista nell’ultimo comma dell’art. 18, al più grave reato della
fabbricazione clandestina di spirito, la norma non urta con il
principio di eguaglianza, giacché codesta equiparazione, disposta dal
legislatore in virtù dei suoi poteri, trova fondamento di
ragionevolezza nella esigenza di predisporre particolari misure atte a
prevenire e reprimere il contrabbando.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 18, ultimo comma, del T.U. delle leggi sugli spiriti,
approvato con R.D. 30 gennaio 1896, n. 26, riprodotto nel terzo comma
dell’art. 37 del T.U. approvato con D. M. 8 luglio 1924, in riferimento
agli artt. 3, 24, terzo comma, e 27, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.