Sentenza N. 63 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
22/04/1980
Data deposito/pubblicazione
22/04/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/04/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI –
Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA
– Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE –
Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
terzo, cod.proc.civ., promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1978
dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra la
Società ITET e Baltaro Gianna, iscritta al n. 351 del registro
ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 278 del 4 ottobre 1978.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 febbraio 1980 il Giudice
relatore Virgilio Andrioli;
udito l’avvocato dello Stato Vito Cavalli per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Con ordinanza emessa il 20 aprile 1978, debitamente comunicata e
notificata, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 1978
(n. 351 reg. ord. 1978), il Tribunale di Torino, investito
dell’appello, proposto con riserva di motivi dalla datrice di lavoro
s.p.a. Industria Tipografica Editoriale Torinese (I.T.E.T.) in
liquidazione al fine di conseguire la sospensione dell’esecuzione, cui
la dipendente Baltara Gianna aveva dato inizio con la sola copia del
dispositivo della sentenza pretorile di condanna alla corresponsione da
parte della I.T.E.T. della somma di lire 43.006.451, ha ritenuto non
manifestamente infondata la questione di legittimità, sollevata dalla
I.T.E.T., dell’art. 431, comma terzo, c.p.c., a tenor del quale “il
giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che la
esecuzione sia sospesa quando dalla stessa possa derivare all’altra
parte gravissimo danno”, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
Ha osservato il Tribunale in ordine al primo parametro che la
disposizione impugnata “sembra fare riferimento unicamente alla
situazione patrimoniale del datore di lavoro”, e in ordine al secondo
parametro che la insolvenza del lavoratore vittorioso determina, in
caso di riforma della pronuncia appellata, l’estrema difficoltà della
restituzione e, quindi, la sostanziale inutilità del giudizio di
appello.
Avanti la Corte non si è costituita alcuna delle parti; ha
spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri con atto
depositato il 17 ottobre 1978, in cui conclude per la infondatezza
della questione argomentando dal carattere alimentare dei crediti di
lavoro, emergente dall’art. 36 Cost., e dalla minor forza contrattuale
del lavoratore nel rapporto di lavoro, senza che – precisa l’Avvocatura
dello Stato – siano obliterati gli interessi del datore di lavoro, il
quale può ottenere la sospensione dell’esecuzione, che resta
autorizzata fino alla somma di lire cinquecentomila, se gliene deriva
gravissimo danno.
Alla pubblica udienza del 13 febbraio 1980, in cui il giudice
Andrioli ha svolto la relazione, la Presidenza ha insistito nelle già
prese conclusioni.
1. – Il Tribunale non trae motivo di sospetto di violazione
dell’art. 3 da ciò che l’art. 431 prenda in considerazione i crediti
del lavoratore e non anche i crediti del datore di lavoro, che pur
possono trarre occasione dal rapporto di lavoro, e, ancor meno, dal
raffronto tra la disposizione impugnata e il regime dell’inibitoria
delle sentenze appellabili rese a conclusione di processo celebrato con
il rito ordinario, ma, pur ammettendo che il terzo comma dell’art. 431
possa essere diversamente interpretato alla luce dei principi diretti a
garantire la difesa sostanziale delle parti nel processo ordinario e in
particolare della parte soccombente nel giudizio di primo grado, che
s’identifica di solito nel datore di lavoro, lamenta, in buona
sostanza, che la lettera dell’art. 431, comma terzo, facendo parola del
gravissimo danno sofferto dal soccombente in primo grado, che insta per
la sospensione della esecuzione, sembra fare unico riferimento alla
situazione del datore di lavoro, in ciò – e solamente in ciò –
ravvisando violazione del principio di parità, sancito nell’art. 3
Cost.
Nei termini in cui è sottoposta all’esame della Corte la questione
non è fondata.
Giova premettere che il legislatore del 1973, collocandosi nella
direttiva, ad un tempo dottrinale e pragmatistica, intesa ad anticipare
nella sentenza e, in genere, nei provvedimenti del giudice civile il
momento dell’autorità rispetto all’attributo della definitività, ha
modellato l’autorità della sentenza, con cui il giudice di primo grado
pronuncia condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai
rapporti di cui all’articolo 409, sulla disciplina della sospensione
dell’esecuzione della sentenza, pronunciata in grado di appello o in
unico grado, che lo stesso giudice che ebbe a pronunciarla dispone
qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno.
Il raffronto tra l’art. 373, onninamente interpretato nel senso che
l’esecuzione di sentenza di condanna pecuniaria non determina, se non
sia ulteriormente qualificata da caratteristiche in concreto proprie
della condizione del soccombente, danno ad un tempo grave e
irreparabile, e l’art. 431, comma terzo, che non esige la
irreparabilità del danno ma ne sottolinea con l’uso del superlativo la
gravità, induce a concludere che la valutazione della estrema gravità
del danno implica problemi applicativi di norme, il cui scioglimento
non è valutabile alla stregua dell’art. 3 Cost.
2. – Né diverso giudizio deve darsi della questione, scrutinata
alla stregua dell’art. 24, la cui prospettazione, a chi ben guardi, si
risolve non tanto nel denunciare la violazione del diritto di difesa
del datore di lavoro soccombente, quanto nel contestare la opportunità
dell’estremo del gravissimo danno per il soccombente quale condizione
della sospensione prevista nell’art. 431.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità dell’articolo
431, comma terzo, c.p.c. sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24
Cost., con la ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere