Sentenza N. 64 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
12/07/1965
Data deposito/pubblicazione
12/07/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
23/06/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott.
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,
regionale siciliana 26 gennaio 1953, n. 2, promosso con ordinanza
emessa il 18 dicembre 1961 dalla Commissione provinciale delle imposte
dirette e indirette di Palermo su ricorso di Russo Lucia ed altri
contro l’Ufficio del registro di Termini Imerese, iscritta al n. 92 del
Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 157 del 27 giugno 1964 e nella Gazzetta Ufficiale della
Regione siciliana, n. 27 del 20 giugno 1964.
Visti l’atto di costituzione di Russo Lucia, Russo Maria e
Lanzarotta Agostina Maria, e l’atto di intervento del Presidente della
Regione siciliana;
udita nell’udienza pubblica del 12 maggio 1965 la relazione del
Giudice Giuseppe Chiarelli;
uditi l’avv. Pietro Virga, per le ricorrenti, e l’avv. Salvatore
Orlando Cascio, per il Presidente della Regione siciliana.
1. – Le signore Lucia e Maria Russo e Agostina Maria Lanzarotta,
rispettivamente figlie e moglie di Andrea Russo, deceduto ab intestato
in Termini Imerese il 7 marzo 1957, provvedevano alla denuncia di
successione e al pagamento dell’imposta principale. In seguito ad
accertamento di maggior valore e a concordato, effettuavano il
pagamento dell’imposta complementare.
In sede ispettiva, veniva successivamente rilevato che nella
liquidazione dell’imposta era stata percetta l’addizionale del 10 per
cento, mentre alla data dell’apertura della successione vigeva
l’addizionale del 15 per cento, di cui 10 per cento giusta il D. L. 7
novembre 1954, n. 1025, e 5 per cento giusta la legge regionale 26
gennaio 1953, n. 2; agli eredi era pertanto ingiunto di pagare una
differenza di L. 743.715.
Contro tale ingiunzione, le eredi ricorrevano alla Commissione
provinciale delle imposte dirette e indirette di Palermo, deducendo,
tra l’altro, la illegittimità della detta legge regionale.
La Commissione, con ordinanza emessa il 18 dicembre 1961, ma
trasmessa a questa Corte con regolari notifiche solo il 29 maggio 1964,
ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione della
legittimità costituzionale dell’art. 2 di detta legge, in riferimento
agli artt. 36, 14 e 17 dello Statuto siciliano e agli artt. 3, 23 e 53
della Costituzione.
2. – Si osserva nell’ordinanza che l’art. 2 della legge regionale
26 gennaio 1953, n. 2, disponeva che nel territorio della Regione era
protratta fino al 30 giugno 1958 l’efficacia della legge statale 2
gennaio 1952, n. 1, che aveva istituito una addizionale a carattere
eccezionale, per la durata di un anno, destinata a coprire le spese
sopportate dallo Stato per le opere di assistenza a favore degli
alluvionati del Polesine. Se non che, prosegue l’ordinanza, con la
detta legge regionale veniva in realtà istituito un nuovo tributo,
diverso da quello previsto dalla legge statale, in quanto l’addizionale
stabilita dalla Regione aveva carattere generale e continuativo, ed era
destinata a sovvenzionare l’esecuzione di opere da parte di enti di
assistenza e di culto, previste dall’art. 3 della stessa legge e dai
successivi regolamenti. Si deduce, quindi, la violazione dei citati
artt. 36, 14 e 17 dello Statuto siciliano, in base ai quali il potere
normativo in materia tributaria deve essere esercitato dalla Regione
con l’osservanza dei principi e interessi generali a cui si informano
le leggi dello Stato per ogni singolo tributo.
L’ordinanza aggiunge che, essendosi ritenuto che la Regione possa
solo adattare le leggi statali preesistenti alle particolari esigenze
regionali, anche sotto questo riflesso pare dubbio che possa ad essa
riconoscersi il potere di istituire nuovi tributi.
Motivi di perplessità, prosegue l’ordinanza, sorgono anche in
relazione all’art. 53 della Costituzione, il quale, ribadendo il
precetto dell’art. 3, sancisce l’eguaglianza di tutti i cittadini di
fronte al regime tributario, mentre l’imposizione di una aliquota di
addizionale sull’imposta di successione, non prevista dalla legge
nazionale, porta alla conseguenza che, se la liquidazione dell’imposta
avviene nell’isola, il cittadino è assoggettato a un più grave carico
tributario.
Infine, l’ordinanza prospetta il dubbio che la legge regionale de
qua contrasti con l’art. 23 della Costituzione, in quanto la riserva in
questo contenuta si riferisce alla legge statale, e comunque a una
fonte legislativa primaria, emanante da una potestà piena. Il potere
di imposizione di nuovi tributi non può, pertanto, trovare la sua
fonte in un potere normativo di carattere complementare e subordinato,
come quello previsto dall’art. 17 dello Statuto siciliano.
3. – Si sono costituite in giudizio le eredi Russo, rappresentate e
difese dall’avv. Pietro Virga, con deduzioni depositate il 24 aprile
1964.
In esse si sostiene, in primo luogo, l’incompetenza della Regione a
istituire un tributo nuovo, di carattere generale e continuativo, non
previsto dalla legislazione dello Stato. Infatti, non essendo state
ancora emanate le norme di attuazione dell’art. 36 dello Statuto
siciliano, la Regione siciliana ha una potestà legislativa concorrente
e sussidiaria a quella dello Stato e deve esercitarla senza turbare
l’unità dell’ordinamento tributario generale. Se ne deduce che non
può adottare disposizioni di carattere fiscale che non corrispondano
ai “tipi” previsti dalla legislazione statale: principio che, affermato
in giurisprudenza per le esenzioni fiscali, a maggior ragione va
applicato alle nuove imposizioni tributarie.
Inoltre, si deduce la violazione del principio di eguaglianza
tributaria, in quanto i cittadini, per effetto della legge impugnata,
vengono assoggettati a trattamento diseguale, secondo che il fatto
generatore dell’imposta si verifichi entro o fuori il territorio della
Regione.
Le deduzioni concludono nel senso che sia dichiarata
costituzionalmente illegittima la legge regionale n. 2 del 1953, per
quanto attiene alla imposizione di una addizionale ai tributi erariali.
4. – La Regione, rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore
Orlando Cascio, si è costituita con deduzioni depositate il 16 luglio
1964, nelle quali si chiede che la questione sia dichiarata
manifestamente infondata.
La difesa della Regione si richiama alla sentenza dell’Alta Corte
per la Regione siciliana 23 gennaio – 20 agosto 1953, la quale rigettò
censure analoghe a quelle ora sollevate, in relazione alla medesima
legge regionale. Ricorda, inoltre, che la Corte costituzionale ha
ammesso che una legge regionale può istituire un’addizionale che
corrisponda a un “tipo” previsto dall’ordinamento statale e ai principi
a cui questo si ispira (sentenza n. 34 del 1961). Poiché, nella
specie, tale corrispondenza è stata riconosciuta nella citata sentenza
dell’Alta Corte, la difesa della Regione insiste nel chiedere il
rigetto della eccezione di illegittimità costituzionale.
5. – In memoria 28 aprile 1965 la difesa degli eredi Russo ha
osservato che il richiamo alla sentenza dell’Alta Corte è
controproducente per la tesi della Regione, in quanto i motivi per i
quali la legge regionale n. 2 del 1953 fu impugnata innanzi all’Alta
Corte erano diversi da quelli denunciati nel presente giudizio, e in
quanto la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ha
ritenuto che ai limiti della potestà tributaria regionale riconosciuti
dall’Alta Corte sia da aggiungere quello dei principi fondamentali
della legislazione statale per ogni singolo tributo. Inoltre la memoria
insiste sulla violazione del principio di eguaglianza tributaria.
Nella discussione orale i difensori delle parti hanno svolto le
tesi rispettive.
1. – Il decreto legge 30 novembre 1937, n. 2145 (convertito in
legge 25 aprile 1938, n. 614) istituiva una addizionale destinata
all’integrazione dei bilanci degli Enti comunali di assistenza, nella
misura di due centesimi per ogni lira di vari tributi erariali,
comunali e provinciali. Con la stessa legge veniva soppressa
l’addizionale per fini di assistenza sociale istituita con R.D.L. 30
dicembre 1936, n. 2171. Successivamente, con decreto legislativo 18
febbraio 1946, n. 100, la misura dell’addizionale E. C. A. veniva
portata a cinque centesimi.
La legge 2 gennaio 1952, n. 1, elevava ulteriormente la detta
addizionale a centesimi dieci, per il periodo dal 1 gennaio al 31
dicembre 1952, stabilendo però che il maggior provento derivante
dall’aumento era riservato all’Erario e sarebbe stato versato in
apposito capitolo dello stato di previsione. Nella relazione al disegno
di legge era detto che tale provento sarebbe stato destinato alla
copertura delle spese per gli alluvionati del Polesine.
La legge regionale siciliana 26 gennaio 1953, n. 2, dispose
all’art. 2 che l’efficacia della predetta legge statale 2 gennaio 1952,
n. 1, era protratta, nel territorio della Regione, sino al 30 giugno
1958. L’art. 3 stabiliva che il provento che sarebbe derivato
dall’applicazione dell’articolo precedente era destinato in varia
misura, anche in relazione ai diversi esercizi finanziari successivi,
alla esecuzione di opere, di interesse di enti di assistenza e
beneficenza giuridicamente costituiti, aventi per oggetto la
costruzione o il miglioramento di brefotrofi e ospizi per vecchi
indigenti; alla concessione di contributi per il medesimo fine; ad
opere e spese di carattere straordinario e di interesse di enti di
culto, di beneficenza e di assistenza, per la costruzione, il
completamento e l’arredamento di edifici destinati alle rispettive
finalità; infine, a contributi in favore dei predetti enti pubblici e
privati mediante assunzione della spesa per rette di ricovero di minori
poveri e di vecchi indigenti, anche a integrazione dei contributi dello
Stato.
L’art. 2 di questa legge è stato denunciato per illegittimità
costituzionale, in relazione agli artt. 36, 14, 17 dello Statuto
siciliano, nonché in relazione agli artt. 53, 3 e 23 della
Costituzione.
2. – Per procedere all’esame delle dedotte questioni di
legittimità costituzionale è necessario premettere che nell’art. 2
della legge regionale 1953, n. 2, non può ravvisarsi una proroga di
una legge preesistente.
A parte che, come questa Corte ha già affermato, una legge di
proroga è sempre, agli effetti della sua sindacabilità
costituzionale, un atto legislativo a sé stante, nella specie si è di
fronte a un atto che è manifestazione dell’autonomia della Regione,
laddove l’atto di cui si sarebbe prorogata l’efficacia, e cioè la
legge dello Stato, era una manifestazione della sovrana potestà
legislativa di quest’ultimo.
Nell’art. 2 in esame va pertanto riconosciuta una nuova imposizione
di tributo disposta autonomamente dalla Regione.
Il problema di legittimità costituzionale, in relazione alle norme
dello Statuto siciliano, si pone, quindi, nei seguenti termini: se la
Regione, con la detta norma abbia superato i limiti del suo potere
normativo tributario. Per rispondere al quesito è necessario
richiamare i principi che questa Corte ha ripetutamente enunciati in
proposito.
3. – Sin dalla sentenza n. 9 del 1957, questa Corte ha affermato
che, in base all’art. 36 dello Statuto, la Regione siciliana ha potere
normativo in materia tributaria anche riguardo ai tributi erariali,
salvi i limiti che la stessa sentenza ha indicati e che nella
successiva giurisprudenza sono stati confermati e ulteriormente
precisati.
Questi limiti derivano, innanzi tutto, dal carattere non esclusivo,
ma sussidiario (o, come altrimenti si dice, concorrente con la
competenza dello Stato) della competenza legislativa regionale in
materia. In base all’art. 17 dello Statuto, che prevede tale tipo di
competenza, le leggi regionali tributarie, mentre debbono essere
emanate al fine di soddisfare alle condizioni particolari e agli
interessi propri della Regione, debbono rispettare i limiti derivanti
dai principi ed interessi generali cui s’informa la legislazione dello
Stato. In particolare, in materia tributaria la legislazione regionale
deve uniformarsi all’indirizzo e ai principi fondamentali della
legislazione statale per ogni singolo tributo, in modo che sia
soddisfatta l’esigenza del coordinamento, in un sistema unitario, della
finanza regionale con la finanza dello Stato e degli altri enti locali.
Nel caso in esame, la questione se i richiamati principi hanno
trovato applicazione va considerata tenendo presente il carattere di
“addizionale” a imposte erariali, proprio del tributo stabilito dalla
norma impugnata.
Osserva la Corte che, in linea generale, non può escludersi che il
potere impositivo della Regione si esplichi con la previsione di
imposte addizionali a tributi dello Stato. Nel nostro ordinamento
tributario il sistema delle cosiddette addizionali o sovraimposte è
largamente usato nel campo dei tributi degli enti locali e degli altri
enti pubblici, e non può perciò ritenersi che, solo col far ricorso a
tale mezzo, la Regione contraddica al sistema dell’ordinamento
tributario generale.
Però, in conformità ai principi innanzi richiamati, la Regione,
ricorrendo alla forma dell’addizionale, non può introdurre tributi che
non corrispondano a un tipo previsto dall’ordinamento statale e ai
principi a cui questo s’ispira. Questa precisazione la Corte ha avuto
occasione di fare nella sentenza n. 34 del 1961.
L’affermazione che l’addizionale imposta dalla Regione deve
corrispondere a un “tipo” di addizionale erariale va intesa nel senso
che deve presentare caratteri comuni con imposte addizionali conosciute
dall’ordinamento tributario generale, dai quali risulti la conformità
di essa ai principi di questo ordinamento, in modo che non sia alterato
il sistema delle imposte erariali.
Per accertare, nei casi concreti, se la Regione, imponendo una
addizionale, abbia osservato gli indicati limiti, occorre, innanzi
tutto, riferirsi al rapporto di complementarietà e di dipendenza, che
è proprio dell’addizionale rispetto al tributo (o ai tributi) a cui si
aggiunge.
Tale rapporto implica che fra il tributo principale e l’addizionale
esista una identità di base, nel senso che entrambi i tributi, non
solo si riferiscano a determinati redditi, individuati con certezza, ma
non siano informati a differenti criteri di valutazione delle capacità
contributive, in modo che nell’addizionale non risultino alterati i
caratteri del tributo principale e non ne derivi contrasto con l’unità
del sistema tributario. È questa la ragione per cui, come questa Corte
ha ritenuto nella ricordata sentenza n. 34 del 1961, la Regione non
può introdurre una addizionale che sia basata su una discriminazione
ignota all’ordinamento statale fra i contribuenti delle imposte
erariali.
In relazione al ricordato rapporto di supplementarietà, che
collega l’addizionale al tributo principale, anche la misura
dell’imposta, che per se stessa, dato il suo carattere meramente
quantitativo ed elastico, non può fornire un criterio qualificatore
del tributo, può assumere rilevanza, nel giudizio di legittimità
dell’imposizione, quando è tale da rompere il detto rapporto, anche
qui con conseguente alterazione del sistema tributario generale. Sotto
questo riflesso, il criterio di valutazione della legittimità
dell’imposizione può essere fornito dal confronto con la misura delle
addizionali affini, già conosciute dall’ordinamento.
Analogo ragionamento può farsi per quanto riguarda la destinazione
del tributo. È noto che lo scopo per il quale un tributo viene imposto
non può valere a caratterizzare il tributo stesso, salva la rilevanza
che ad esso eventualmente attribuisca la legge istitutiva. Pertanto,
se la legge che stabilisce l’addizionale prevede una determinata
destinazione del provento di essa, viene con ciò stesso fornito un
elemento di giudizio circa la sua legittimità e la sua conformità
all’ordinamento tributario generale, desumibile, oltre che dalla
corrispondenza della detta destinazione ai fini istituzionali,
costituzionalmente garantiti, dell’ente impositore, dall’affinità di
essa con gli scopi di altre addizionali, esistenti nell’ordinamento
tributario.
Sulla base degli esposti criteri, e degli indici di legittimità
costituzionale da essi deducibili, può fondarsi il giudizio sulla
norma impugnata.
4. – In proposito va innanzi tutto rilevato che l’addizionale in
esame aveva un carattere temporaneo, come l’addizionale prevista dalla
legge statale 2 gennaio 1952, n. 1, di cui si era detto che si
prorogava l’efficacia. Il pagamento di essa era infatti disposto per il
periodo dal 31 dicembre 1952, data in cui aveva cessato di avere
efficacia la detta legge statale, al 30 giugno 1958. Con la legge
impugnata non si era pertanto introdotta nel sistema tributario una
nuova imposta di carattere continuativo, come si afferma
nell’ordinanza, bensì un’imposta di durata determinata e di carattere
eccezionale, in relazione a particolari interessi pubblici, come
risulta dalla destinazione dei proventi e dalla loro distribuzione nei
successivi esercizi finanziari, secondo diverse misure per i vari anni,
prevista dall’art. 3.
Ciò premesso, l’indagine sui caratteri della detta addizionale non
porta a ritenerne la illegittimità costituzionale.
I tributi-base ai quali essa si riferiva erano i medesimi
dell’addizionale istituita con D. L. 30 novembre 1937, n. 2145, ed
elevata da due a cinque centesimi con decreto legislativo 18 febbraio
1946, n. 100. Su questa addizionale la legge statale 2 gennaio 1952,
n. 1, aveva disposto – come si è innanzi ricordato – un aumento
temporaneo di altri cinque centesimi, con destinazione ad apposito
capitolo dello stato di previsione dell’entrata. La legge regionale in
esame dispone, per un successivo periodo di tempo, l’ulteriore
pagamento di una addizionale destinata a scopi di interesse regionale,
nella stessa misura di cinque centesimi e sulla base dei medesimi
tributi su cui gravava l’addizionale statale.
Da ciò si deduce che la legge regionale, pur avendo
sostanzialmente introdotto un nuovo tributo, non aveva creato un tipo
di addizionale in contrasto con l’ordinamento generale, in quanto si
basava su tributi che già l’ordinamento dello Stato aveva considerato
suscettibili di una sovrimposizione in forma di addizionale, ed in
quanto, nel disporla, la Regione si era servita del sistema, già
seguito dallo Stato, di imporre temporaneamente, e con destinazione
autonoma, ma non contrastante con la destinazione dell’imposta
principale, una maggiorazione di una preesistente addizionale.
Né la misura dell’addizionale imposta dalla Regione era tale da
turbare il sistema tributario generale, giacché, come si è detto,
essa corrispondeva alla misura dell’aumento che lo stesso Stato aveva
imposto per un anno, con la legge la cui efficacia era cessata nel
momento in cui fu emanata la legge regionale. Non può, in proposito,
aver rilevanza il fatto che, circa due anni dopo, con D. L. 7 novembre
1954, n. 1025, lo Stato riportò a dieci centesimi l’addizionale
istituita nel 1937, per il periodo dall’entrata in vigore del decreto
al 31 ottobre 1956, limitatamente alle imposte di registro, di
successione e ipotecarie, trattandosi di imposizione successiva
all’emanazione della legge regionale impugnata, della quale non avrebbe
mai potuto produrre retroattivamente l’illegittimità costituzionale.
Né può, in concreto, disconoscersi che la misura dell’addizionale
temporaneamente imposta dalla Regione non contrastava con la misura di
addizionali normalmente disposte dallo Stato, com’è confermato dalle
leggi statali innanzi ricordate.
Infine, la norma impugnata non può considerarsi costituzionalmente
illegittima sotto il riflesso della destinazione attribuita ai proventi
dell’addizionale. Come si è innanzi esposto, tale destinazione
consisteva nella costruzione e nell’ampliamento e riparazione di
edifici destinati a orfanotrofi, brefotrofi e ospizi per vecchi
indigenti, e nell’assunzione della spesa per rette di ricovero di
minori poveri e vecchi indigenti. Ora, tale destinazione, mentre
rientra nel fine di soddisfare alle ben note condizioni particolari
della Regione e corrisponde agli interessi propri di essa (art. 17
Statuto), trova riscontro nella finalità dell’addizionale statale a
cui l’addizionale regionale si aggiungeva: infatti, l’addizionale
statale, che aveva sostituito l’addizionale “per fini di assistenza
sociale”, era destinata, come si è detto, all’integrazione dei bilanci
degli Enti comunali di assistenza; vale a dire, era destinata a scopi
di assistenza di indigenti, mediante integrazione dei mezzi finanziari
degli enti per tali scopi istituiti. Affini a tali scopi sono quelli
della legge regionale, la quale ha ugualmente previsto una integrazione
dei mezzi finanziari degli enti giuridici diversi dall’E. C. A.,
istituiti per analoghi scopi di assistenza.
Per le esposte ragioni non può ritenersi che con la norma
impugnata la Regione abbia oltrepassato i limiti che derivano dallo
Statuto al suo potere di imposizione tributaria.
5. – Ugualmente insussistente deve ritenersi la violazione
dell’art. 53, in relazione all’art. 3, della Costituzione.
È fuori dubbio che l’art. 53 enuncia il fondamentale principio
dell’eguaglianza dei cittadini di fronte al carico tributario:
principio al quale sono tenuti a uniformarsi lo Stato e tutti gli altri
enti investiti di potere tributario.
Il principio va però considerato in armonia con l’altro principio
dell’autonomia finanziaria delle Regioni, sancito dalla Costituzione
(art. 119), e con le norme degli Statuti speciali che prevedono una
competenza regionale in materia tributaria. È ovvio che l’attribuzione
alle Regioni a statuto speciale di una potestà di istituire tributi
propri, osservando i principi dell’ordinamento tributario statale,
implica necessariamente una diversità nel carico gravante sui
contribuenti: diversità che si verifica in tutto l’ordinamento
tributario, per effetto dei tributi degli enti locali. Ma tale
diversità non incide sul principio di eguaglianza di trattamento dei
contribuenti, in relazione alle singole imposte.
Del resto, questa Corte ha già ripetutamente riconosciuto la
legittimità di leggi regionali che disponevano riduzioni o esenzioni
tributarie. Ora, sarebbe veramente violato il principio di eguaglianza,
nei confronti dei contribuenti del restante territorio statale, se per
i contribuenti delle Regioni a statuto speciale si ammettesse che la
Regione, mentre può emettere disposizioni a loro favore, non possa
invece imporre ad essi particolari tributi, sempre nei limiti più
volte ricordati.
6. – Infine, la norma impugnata non contrasta con l’art. 23 della
Costituzione.
Ove la disposizione per cui nessuna prestazione può essere imposta
se non in base alla legge dovesse intendersi nel senso che solo la
legge dello Stato possa imporre tributi, si escluderebbe con ciò
stesso la potestà normativa tributaria della Regione; ma ciò
contrasterebbe con quelle altre norme costituzionali che attribuiscono
tale potestà.
Alla stessa conseguenza si perverrebbe ove si attribuisse alla
parola “legge”, usata nell’art. 23, il significato di norma emanata
nell’esercizio di una potestà legislativa piena, e cioè esclusiva. A
parte il rilievo che questa interpretazione dell’art. 23 sarebbe
arbitrariamente restrittiva, dato che gli atti emanati dalla Regione
nell’esercizio della competenza legislativa concorrente o sussidiaria
sono, nel linguaggio dei testi costituzionali, “leggi”come le altre,
l’attribuire il predetto significato all’art. 23 equivarrebbe a negare
quella competenza legislativa, che la Corte ha riconosciuto alla
Regione nelle sentenze più volte ricordate, precisando che trattasi di
competenza non esclusiva, ma concorrente e sussidiaria della competenza
statale.
D’altra parte, il valore dell’art. 23 sta nel disporre una riserva
legislativa, che è garanzia della sfera giuridica dei singoli
soggetti, in quanto è diretta a escludere ogni limitazione e ogni
invasione di essa, da parte della pubblica autorità, che non sia
voluta dalla legge o posta in essere in base alla legge. La logica del
sistema richiede che questa garanzia agisca ugualmente nei confronti
dello Stato come della Regione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, proposta con l’ordinanza in
epigrafe, sulla legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge
regionale siciliana 26 gennaio 1953, n. 2, in riferimento agli artt.
36, 14 e 17 dello Statuto regionale siciliano, nonché agli artt. 3, 53
e 23 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.