Sentenza N. 68 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
09/04/1969
Data deposito/pubblicazione
09/04/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/03/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE, Giudici,
comma, del Codice civile, promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio
1968 dal pretore di Brindisi nel procedimento civile vertente tra
Cipolla Maria e Fanelli Luigi, iscritta al n. 39 del Registro ordinanze
1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del
20 aprile 1968.
Udita nella camera di consiglio del 30 gennaio 1969 la relazione
del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi.
Con citazione del 21 settembre 1967, proposta col rito speciale
delle controversie individuali di lavoro, Maria Cipolla conveniva in
giudizio davanti al pretore di Brindisi Luigi Fanelli e, premesso di
aver lavorato alle sue dipendenze quale domestica dal 10 maggio 1966
(data questa successivamente corretta in quella del 10 maggio 1963) al
23 luglio 1967, chiedeva la condanna del convenuto al pagamento in di
lei favore della somma di lire 295.369 per retribuzioni ed indennità
non percepite.
Il Fanelli contestava l’ammissibilità e la fondatezza delle
domande dell’attrice, deducendo preliminarmente che le stesse sarebbero
state irritualmente proposte in violazione degli articoli 429 e 2068
del Codice civile e che esso convenuto sarebbe privo di legitimatio ad
causam, ed assumendo nel merito che, avendo la Cipolla lavorato alle
dipendenze della moglie di esso convenuto per non più di due ore e
mezzo al giorno, alla specie non si sarebbe potuto applicare la legge 2
aprile 1958, n. 339, invocata ex adverso.
Successivamente i procuratori delle parti chiedevano d’accordo che,
a sensi dell’art. 446 del Codice di procedura civile, venisse disposto
il passaggio dal rito speciale al rito ordinario e si desse corso
all’attività istruttoria.
Il pretore, con ordinanza fuori udienza del 29 gennaio 1968,
dichiarava preliminarmente di non ritenere di aderire alla richiesta
del mutamento del rito avanzata dai procuratori.
Premesso che l’art. 2068, comma secondo, sottrae espressamente alla
disciplina del contratto collettivo i rapporti di lavoro concernenti
prestazioni a carattere domestico, con la conseguente inapplicabilità
del rito speciale alle controversie derivanti da quei rapporti,
assumeva che codesta limitazione non troverebbe alcun fondamento nel
sistema costituzionale vigente e sarebbe stata sicuramente eliminata
dalla solenne proclamazione della libertà sindacale di cui all’art. 39
della Costituzione.
L’art. 2 della legge n. 339 del 1958, inoltre, prevedendo che
dell’avviamento al lavoro del personale domestico, possono occuparsi le
associazioni di categoria a carattere nazionale, costituirebbe una
conferma, e della possibilità di costituzione di associazioni
sindacali anche nell’ambito dei rapporti di lavoro domestico, e della
conseguente possibilità di stipula di contratti collettivi.
Infine, il divieto contenuto nel secondo comma del citato art.
2068, oltre che con l’art. 39, contrasterebbe con il principio di
eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione: tale divieto,
infatti, determinerebbe una discriminazione non giustificata tra
categorie di prestatori di opera, escludendo, in particolare, i
prestatori di lavoro domestico dal rito speciale previsto per le
controversie individuali di lavoro.
Conseguentemente il pretore sollevava, d’ufficio, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2068, comma secondo, del Codice
civile in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 20 aprile 1968.
Nel giudizio davanti alla Corte non si è costituita nessuna delle
parti private e non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio
dei Ministri. La causa viene, pertanto, decisa in camera di consiglio.
1. – Il pretore di Brindisi, chiamato a pronunciarsi sulla
richiesta di passaggio dal rito speciale previsto per le controversie
individuali di lavoro a quello ordinario, avanzata concordemente dai
procuratori delle parti in causa, ha, con sufficiente motivazione,
giudicato pregiudiziale la risoluzione della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2068, comma secondo, del Codice civile, in
riferimento agli artt. 3 e 39, della Costituzione. L’applicabilità
alla specie dell’art. 446 del Codice di procedura civile, infatti,
presuppone che il rapporto di lavoro domestico rientri tra i “rapporti
di lavoro e di impiego che sono o possono essere disciplinati da
contratti collettivi o da norme equiparate” e che, quindi, la relativa
controversia rientri tra quelle individuali di lavoro, per le quali, a
sensi dell’art. 429 dello stesso Codice, deve essere seguito il rito
speciale. Conseguentemente, si appalesa necessario porre e decidere la
anzidetta questione di legittimità costituzionale.
2. – La Corte, con la sentenza n. 101 del 1968, ha dichiarato
inammissibile, per difetto di rilevanza, la stessa questione sollevata
(solo) in riferimento all’art. 39, comma quarto, della Costituzione,
argomentando dal fatto che l’articolo 2068, comma secondo, del Codice
civile sottrae alla disciplina del contratto collettivo i rapporti di
lavoro concernenti prestazioni di carattere domestico e che nel
giudizio a quo non era stata prospettata o accertata l’applicabilità
alla specie di alcun contratto collettivo operante nel settore del
lavoro domestico.
Con quella sentenza si è affermato che con l’art. 2068, comma
secondo, il legislatore “si rivolge alle associazioni sindacali, dotate
di autonomia collettiva con efficacia generale, e vieta alle stesse che
si possano servire dello strumento, sia pure ad esse connaturale, del
contratto collettivo, e però non detta alcuna disposizione destinata
ad operare direttamente nei confronti dei consociati”. E si è ritenuto
di dover constatare “la mancata attuazione dell’art. 39, ultimo comma,
della Costituzione e l’assenza e di sindacati registrati e di contratti
collettivi, con efficacia generale, posti in essere a sensi di quella
disposizione”.
Non si è per altro escluso che nell’art. 39, considerato nella sua
interezza, risieda la garanzia costituzionale anche per l’autonomia
collettiva delle associazioni sindacali operanti secondo le norme ed i
principi di diritto privato.
3. – Con l’ordinanza di rimessione, come si è sopra ricordato, la
detta questione di legittimità costituzionale è stata prospettata in
riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione.
Il divieto, contenuto nell’art. 2068, comma secondo, in primo luogo
urterebbe – secondo il pretore di Brindisi – contro il principio di
eguaglianza, perché “pone una discriminazione non giustificata tra
prestatori d’opera, escludendo – in caso di tutela giurisdizionale dei
diritti derivanti dai rapporti di lavoro – la categoria degli addetti
ai servizi domestici dal rito del lavoro, che gli artt. 445 e 446 del
Codice di procedura civile qualificano “speciale”, attese le notevoli
particolarità del procedimento e del trattamento tributario”.
La questione, proposta in codesti termini, appare fondata.
La Corte, con la ricordata sentenza n. 101 del 1968, non ha mancato
di dare atto che il settore del lavoro domestico, disciplinato ex
legge, è “tendenzialmente portato a costituire anche oggetto
dell’autonomia collettiva”.
Anche se a proposito del tipico e caratteristico modo di essere del
rapporto di lavoro subordinato, e cioè del lavoro nella impresa,
esistono segni, anche recenti, dell’intervento legislativo dello Stato,
risultano, del pari concretamente, elementi e indizi nel senso sopra
rassegnato nel campo del lavoro domestico. L’esistenza di una
disciplina legislativa, risultante dalle norme del Codice civile e
soprattutto da quelle della legge 2 aprile 1958, n. 339, denuncia e
conferma l’orientamento diretto a sostituire o integrare l’autonomia
privata in materia di lavoro domestico, ma nel contempo non esclude e
addirittura prospetta come eventuale e possibile l’autonomia
collettiva, di diritto privato, nella stessa materia. In particolare,
la legge n. 339 del 1958 prevede, per i lavoratori domestici,
“associazioni di categoria a carattere nazionale” (art. 2, comma
secondo) e “associazioni sindacali di categoria” (articoli 11, comma
secondo, e 12, comma secondo), e per i datori di lavoro (domestico),
“associazioni rappresentative delle famiglie” (art. 11, comma secondo),
(anche se, nel successivo art. 12, la detta parte è espressa da
“persone aventi personale domestico alle proprie dipendenze”).
Questi sono, come si è detto, elementi o indizi della già
rilevata tendenza, che consentono, anche allo Stato, di considerare i
lavoratori domestici come una categoria professionale, nei cui
confronti, pur nell’attuale mancanza di associazioni sindacali
tipicamente portatrici degli interessi della contrapposta categoria,
non può negarsi il ricorso all’autodisciplina collettiva.
Non esistono, in atto, contratti collettivi per lo specifico
settore del lavoro domestico, ma, nonostante le difficoltà obiettive,
se ne stanno costituendo i presupposti, di modo che appare logica e
prevedibile la possibilità che i rapporti di lavoro concernenti
prestazioni di carattere domestico vengano disciplinati da contratti
collettivi, con la conseguenziale rilevanza delle relative
controversie, a sensi e per gli effetti di cui all’art. 429, n. 1, del
Codice di procedura civile.
E ciò, ad avviso della Corte, è sufficiente perché la
limitazione posta dall’art. 2068, comma secondo, valutata in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, si risolva in un trattamento
della categoria dei lavoratori domestici, differenziato nei confronti
degli altri lavoratori subordinati e privo di una razionale e adeguata
giustificazione.
4. – La riconosciuta fondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2068, comma secondo, in riferimento all’art. 3
della Costituzione esime la Corte dall’esaminare l’altro e distinto
profilo di illegittimità, prospettato in riferimento all’art. 39 della
Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2068, comma
secondo, del Codice civile nella parte in cui dispone che sono
sottratti alla disciplina del contratto collettivo i rapporti di lavoro
concernenti prestazioni di carattere domestico.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.