Sentenza N. 69 del 1964
Corte Costituzionale
Data generale
30/06/1964
Data deposito/pubblicazione
30/06/1964
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/06/1964
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott.
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,
Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 ottobre
1963 dal Tribunale di Lanciano nel giudizio di esecuzione penale a
carico di Di Gironimo Domenico, iscritta al n. 205 del Registro
ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
n. 336 del 28 dicembre 1963.
Visto l’atto di intervento in giudizio del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 13 maggio 1964 la relazione del
Giudice Giovanni Battista Benedetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Con sentenza 21 novembre 1962 la Corte di cassazione, nel rigettare
il ricorso proposto da Di Gironimo Domenico avverso la sentenza della
Corte di appello de L’Aquila, che confermava la condanna inflittagli
dal Tribunale di Lanciano per il reato di lesioni, condannava il
ricorrente al pagamento della somma di lire 30.000 in favore della
cassa delle ammende ai sensi dell’art. 549 del Codice di procedura
penale.
In sede di esecuzione di tale sentenza il Di Gironimo proponeva
ricorso dinanzi al Tribunale di Lanciano sollevando questione di
legittimità costituzionale dell’art. 549 del Codice di procedura
penale, nella parte in cui prevede la condanna al pagamento di una
somma in favore della cassa delle ammende, in riferimento all’art. 24
della Costituzione.
Il Tribunale, disattendendo il contrario avviso del Pubblico
Ministero, con ordinanza 24 ottobre 1963, ritenuta la rilevanza e la
non manifesta infondatezza della dedotta questione, ha rimesso gli atti
alla Corte costituzionale osservando che la sanzione pecuniaria
prevista dall’art. 549 del Codice di procedura penale nei casi di
rigetto o di inammissibilità del ricorso in cassazione, è in
contrasto con il diritto alla tutela giurisdizionale garantito in modo
assoluto ed incondizionato dall’art. 24 della Costituzione.
L’ordinanza di rinvio, comunicata ai Presidenti delle Camere,
notificata ritualmente alle parti e al Presidente del Consiglio dei
Ministri, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
del 28 dicembre 1963, n. 336.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte è intervenuto soltanto il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall’Avvocatura
dello Stato, con deposito di atto di intervento e memoria in
cancelleria rispettivamente in data 28 novembre 1963 e 30 aprile 1964.
Nei propri scritti l’Avvocatura rileva che la questione di
legittimità appartiene concettualmente e sistematicamente alla materia
degli oneri di carattere patrimoniale imposti da norme di legge a
carico delle parti al fine di garantire, a tutela dell’interesse
pubblico, il regolare svolgimento del processo.
Inquadrando la norma impugnata nell’ambito dei principi esposti
dalla Corte, specialmente con le recenti sentenze nn. 83 e 113 del
1963, non può contestarsi – continua l’Avvocatura -, che la funzione
della norma sia di pubblico interesse tendendo ad evitare la
proposizione di ricorsi temerari e infondati con conseguente intralcio
nell’amministrazione della giustizia.
Trattasi di norma che non comporta esclusione o limitazione del
diritto dell’imputato a far valere le proprie ragioni mediante la
impugnazione, in quanto si limita a sanzionare, successivamente alla
definizione del giudizio, la infondatezza dell’impugnativa onde indurre
l’imputato, e per esso il difensore, a valutare preventivamente e
responsabilmente la serietà del ricorso per cassazione che egli
intenda proporre.
L’Avvocatura conclude, pertanto, chiedendo che la Corte voglia
dichiarare non fondata la proposta questione di legittimità
costituzionale.
Secondo il Tribunale la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 549
del Codice di procedura penale per i ricorsi per cassazione che siano
rigettati o dichiarati inammissibili sarebbe in contrasto con
l’assolutezza del diritto alla tutela giurisdizionale garantito
dall’art. 24 della Costituzione.
È facile però osservare in contrario che il diritto alla tutela
giurisdizionale non è così assoluto e incondizionato, come ritiene il
giudice a quo, non essendo possibile dare ad esso una estensione tale
da farne deviare la funzione dirigendola a uno scopo sterile e
dilatorio (sentenza n. 56 del 27 aprile 1963).
La condanna al pagamento di una somma alla cassa delle ammende
prevista dall’art. 549 del Codice di procedura penale è un onere
patrimoniale imposto alla parte privata nel processo penale per la
tutela di un preminente interesse pubblico essendo diretta ad evitare
che siano proposti ricorsi per cassazione per semplici fini dilatori.
Come risulta dalla relazione ministeriale al progetto definitivo
del Codice di procedura penale con l’anzidetta sanzione si è inteso
impedire la presentazione di ricorsi che hanno il solo scopo di
prolungare la durata del processo e di ritardare il momento della
esecuzione della condanna.
La sanzione ha una funzione analoga al deposito preventivo
stabilito a pena di inammissibilità per i ricorsi per cassazione in
materia civile.
Anche per i ricorsi in materia penale era previsto dal Codice di
procedura del 1865 (art. 656) il deposito preventivo; ma con il Codice
del 1913 si ritenne opportuno sostituire al deposito la sanzione
pecuniaria da applicarsi con la sentenza che dichiara inammissibile il
ricorso per cassazione o lo rigetta. E la sanzione è rimasta ferma
anche nel Codice vigente.
È chiaro che in tal modo quelli che intendono esercitare il
diritto di impugnativa si trovano in una condizione più favorevole
poiché il deposito preventivo è una condizione per la valida
costituzione del rapporto processuale, mentre la sanzione pecuniaria
non incide direttamente sul procedimento di impugnazione, essendo
applicata con la sentenza, di inammissibilità o di rigetto, che ad
esso pone termine.
Non può quindi tale sanzione ritenersi idonea a impedire o
comunque a limitare il diritto di produrre ricorso per cassazione e
difendersi in tale sede.
E’stato obiettato che il timore della sanzione pecuniaria può
indurre a non esercitare il diritto di impugnativa. A tale osservazione
è però agevole replicare che la sanzione tende a rafforzare la
responsabilità processuale, responsabilità che deve essere
particolarmente sentita quando, dopo avere goduto della tutela
giurisdizionale nel giudizio di merito, si intenda promuovere il
giudizio per cassazione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 549 del Codice di procedura penale nella parte relativa alla
sanzione pecuniaria prevista nel caso di rigetto o di inammissibilità
del ricorso per cassazione, in riferimento all’art. 24 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1964.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.