Sentenza N. 70 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
09/04/1969
Data deposito/pubblicazione
09/04/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/03/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE, Giudici,
Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, n. 1475, e n. 1490,
promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1967 dal tribunale di Cosenza
nel procedimento civile vertente tra Boscarelli Nicola e l’Opera per la
valorizzazione della Sila, iscritta al n. 185 del Registro ordinanze
1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 del
14 ottobre 1967.
Visti gli atti di costituzione degli eredi Boscarelli e dell’Opera
per la valorizzazione della Sila;
udita nell’udienza pubblica del 26 febbraio 1969 la relazione del
Giudice Giuseppe Verzì;
uditi l’avv. Giuseppe Guarino, per gli eredi Boscarelli ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l’Opera
Sila.
In attuazione della legge 12 maggio 1950, n. 230 (legge Sila), con
decreti presidenziali del 24 dicembre 1951, nn. 1475 e 1490, venivano
espropriati in danno di Boscarelli Nicola ettari 374.01.90 di terreni,
di cui ettari 313.04.07 in territono del Comune di Bisignano ed ettari
60.97.20 in Comune di Santa Sofia d’Epiro.
Con due distinti atti di citazione, il Boscarelli conveniva davanti
il tribunale di Cosenza l’Opera valorizzazione Sila chiedendone la
condanna alla restituzione dei terreni, ovvero al pagamento del
controvalore, previa dichiarazione di illegittimità costituzionale dei
menzionati provvedimenti presidenziali in riferimento agli artt. 76 e
77 della Costituzione, in quanto i piani particolareggiati di
espropriazione erano stati formulati in base agli elementi del nuovo
catasto in formazione entrato in funzione il 1 agosto 1955, e non già
in base al catasto vigente alla data del 15 novembre 1949. E poiché
secondo i dati risultanti da quest’ultimo l’intera proprietà del
Boscarelli ammontava ad ettari 666.40.01, con la espropriazione di
ettari 374.01.90, si sarebbe inciso sulla quota intangibile di ettari
300.
L’Opera Sila contestava l’assunto dell’attore, ponendo in evidenza
che con i ripetuti decreti non era stata intaccata la quota
intangibile.
Riuniti i due procedimenti, il tribunale con ordinanza del 21
novembre 1962, sottoponeva a questa Corte la questione di legittimità
costituzionale nei termini prospettati dal Boscarelli. Nel giudizio si
costituivano gli eredi del Boscarelli, deceduto il 5 dicembre 1952, e
l’Opera valorizzazione Sua. Interveniva anche il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Con provvedimento del 12 dicembre 1963, la Corte restituiva gli
atti al tribunale perché procedesse all’accertamento della effettiva
consistenza dei terreni di proprietà del Boscarelli alla data del 15
novembre 1949.
Il tribunale procedeva all’accertamento della consistenza dei
terreni alla data sopraindicata – sia della consistenza risultante dai
dati del catasto, sia di quella effettiva, discordante dalla prima -,
e, con ordinanza del 7 giugno 1967, rimetteva nuovamente gli atti a
questa Corte, rilevando che, tenuti presenti i dati catastali, in base
ai quali la proprietà è di ettari 671.04.83, sarebbe stata intaccata
la quota intangibile dei 300 ettari, dal momento che i decreti
espropriativi comprendono terreni per la superficie di ettari
374.01.90.
Per le medesime ragioni addotte dalla ordinanza, gli eredi
Boscarelli ribadiscono che è stata intaccata la quota dei 300 ettari,
dovendosi tener conto – secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte – della consistenza terriera risultante dal catasto.
L’Opera valorizzazione Sila, invece, rileva che questa Corte con
l’ordinanza sopraindicata con la quale ha richiesto gli accertamenti,
si è riferita alla consistenza effettiva dei terreni, e non a quella
risultante dal catasto. E poiché la proprietà Boscarelli è
risultata, secondo la relazione del consulente tecnico, della
estensione di ettari 896.04.83, dopo l’espropriazione di ettari
368.16.20, sono residuati 530.68.86 ettari a libera disponibilità dei
proprietari. Per altro la quota intangibile di ettari 300 non è stata
intaccata neppure facendo riferimento ai 671.04.83 ettari risultanti
dai libri catastali. Infatti, a seguito di rettifica operata a norma
della legge 15 marzo 1956, n. 156, per il pagamento delle indennità, i
terreni espropriati sono stati ridotti ad ettari 368.16.20, e sono
residuati perciò ettari 302.98.63 e cioè più della quota
intangibile. Pertanto la questione di illegittimità sarebbe infondata.
Ad eguale conclusione è pervenuta anche l’Avvocatura generale
dello Stato, la quale ha addotto le stesse suindicate ragioni.
Con memoria del 13 febbraio 1969, la difesa dei Boscarelli insiste
nella tesi che si debba tenere conto soltanto dei dati risultanti dal
catasto, assumendo che i decreti di espropriazione sarebbero
illegittimi se fossero fondati su dati diversi. Per dimostrare ciò, la
difesa stessa esamina in quale modo e sulla base di quali principi, il
Governo delegato, possa decidere, caso per caso, se e quanta area sia
da espropriare, dopo avere lasciato al proprietario la quota dei 300
ettari. Qualora si dovesse prescindere dai dati catastali, dai quali
possono essere desunti principi e criteri direttivi, la legge delega n.
230 del 1950 sarebbe illegittima per violazione dell’art. 76 della
Costituzione. Ad evitare ciò, occorre interpretare gli artt. 2, 3 e 5
della legge Sila in maniera da individuare in essi i presupposti
oggettivi ed uniformi ai quali risulti vincolato il potere di scelta
rimesso al legislatore delegato. Escluso che la legge abbia potuto
fare obbligo di procedere ad una misurazione della consistenza
effettiva di tutti i terreni, per individuare un criterio obbiettivo ed
uniforme, anche se non specificato dalla legge, occorre fare
riferimento al regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1572, testo unico delle
leggi sul nuovo catasto, il cui scopo è, fra l’altro, quello di
accertare le proprietà immobiliari e tenerne in evidenza le mutazioni.
E questo accertamento è indubbiamente vincolante per la pubblica
autorità in ogni caso in cui l’esercizio di un potere abbia per
presupposto l’accertamento della consistenza della proprietà, e non
sia previsto un metro diverso di valutazione. Inoltre una legge
espropriativa, quale è quella in esame, deve intendersi integrata
dalla normazione generale in materia e deve quindi ritenersi
applicabile l’art. 16 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, che, per
quanto concerne la individuazione dei beni, si riporta ai dati iscritti
nei registri catastali. Ed, infine, l’art. 7 della stessa legge n. 230
del 1950 stabilendo che l’indennità di espropriazione è commisurata
ai valori definitivamente accertati per l’applicazione dell’imposta
straordinaria progressiva sul patrimonio, richiama implicitamente le
norme di legge, le quali, per la valutazione dei terreni fanno
esplicito riferimento al reddito dominicale, e cioè al reddito
stabilito dal catasto. Pertanto, la legge Sila va interpretata nel
senso che esiste un criterio direttivo anche per l’esercizio del potere
relativo alla quantità dei beni da espropriare. Esso è rappresentato
dai dati catastali dai quali non si può prescindere nella valutazione
della consistenza della proprietà.
Se le suesposte considerazioni non fossero esatte, si dovrebbe
sollevare – sempre secondo la difesa dei Boscarelli – la questione di
legittimità costituzionale della legge 12 maggio 1950, n. 230, sotto i
seguenti, distinti profili:
1) contrasto degli artt. 2, 3 e 5 con gli artt. 76 e 77 della
Costituzione;
2) contrasto della intera legge con gli artt. 3 e 42 della
Costituzione, per il differente trattamento fra la pubblica
amministrazione che, per il pagamento delle indennità, si avvale dei
dati catastali ed il privato per il quale tali dati non hanno rilievo;
3) violazione degli artt. 3 e 42 della Costituzione, con
riferimento anche agli artt. 24, 25 e 27;
4) violazione dell’art. 81 della Costituzione, per mancanza di
copertura della spesa per gli anni successivi all’esercizio 1949-1950.
1. – La Corte ritiene di dovere limitare il proprio esame alla sola
questione di eccesso di delega dei decreti del Presidente della
Repubblica 24 dicembre 1951, nn. 1475 e 1490, sottopostale dal giudice
a quo, senza pronunziarsi invece sulle rimanenti questioni sollevate
dalla parte privata per la prima volta nella memoria difensiva
depositata in data 13 febbraio 1969 e poi svolte alla udienza nei
confronti della legge di delega 12 maggio 1950, n. 230. La risoluzione
di tali questioni né è stata chiesta infatti dal giudice a quo, né
appare in alcun modo strumentale rispetto alla decisione dell’unica
questione che forma oggetto del presente giudizio.
2. – A seguito degli accertamenti peritali, che il tribunale di
Cosenza ha disposto in esecuzione dell’ordinanza n. 173 del 12 dicembre
1963, con la quale questa Corte richiedeva che si stabilisse quale era
– alla data del 15 novembre 1949 – la consistenza effettiva della
proprietà terriera di Nicola Boscarelli, è risultata una notevole
differenza fra la estensione reale di ettari 896.85.06 e quella
ricavabile dai dati catastali di ettari 671.04.83, ond’è che, al fine
di risolvere la questione di legittimità dei decreti espropriativi e
di vedere se è stata dagli stessi intaccata la quota intangibile di
trecento ettari, occorre decidere di quali dati – a termini dell’art. 2
della legge 12 maggio 1950, n. 230 – si debba tenere conto: se di
quelli veri rilevati dalla misurazione diretta, oppure di quelli non
esatti (per mancato aggiornamento oppure per errore) indicati dal
catasto. Il tribunale di Cosenza ha ritenuto che occorre seguire i dati
catastali “in conformità della costante opinione espressa dalla Corte
costituzionale” come si legge nella ordinanza di rimessione del 7
giugno 1967, con la quale ha riproposto la questione di legittimità
costituzionale dei decreti espropriativi.
Ai fini di siffatta indagine, la Corte ritiene opportuno porre in
evidenza, per prima cosa, la differente rilevanza che i dati catastali
assumono nelle due leggi di espropriazione, bonifica e colonizzazione
dei terreni, 12 maggio 1950, n. 230 (la cosiddetta legge Sila) e 21
ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio), perché mentre in quest’ultima
la quota da espropriare viene determinata in base al reddito
dominicale, desumibile dalla qualità e classe dei terreni e da altri
dati che si rinvengono soltanto nel catasto, per la legge Sila invece
sono soggette alla espropriazione le persone e le società che “al 15
novembre 1949 avevano più di trecento ettari” di terreni suscettibili
di trasformazione; e ciò a motivo della uniformità dei terreni e
della vetustà del catasto nel territorio considerato, come risulta
dalla relazione al Senato del Ministro proponente, e come è stato di
già posto in rilievo dalla sentenza di questa Corte n. 19 del 1968.
Per la legge Sila, dunque, l’unico elemento essenziale – oltre il
requisito della possibilità di trasformazione agraria – è quello
della estensione della proprietà terriera che superi la quota
intangibile dei 300 ettari. E poiché la legge omette di dare qualsiasi
prescrizione in merito al modo di accertare tale estensione, affida
evidentemente al libero apprezzamento dell’ente espropriante la scelta
del mezzo più idoneo per raggiungere lo scopo, compreso quello
eventuale della misurazione diretta del terreno. Dal che deriva, in
primo luogo, che, pur non potendosi negare una funzione strumentale ai
dati risultanti dal catasto, essi non hanno tuttavia rilevanza diretta,
tale da farli ritenere determinanti; ed, in secondo luogo che, nel caso
di incertezza oppure di differenza fra i dati catastali e la
consistenza reale, è questa ultima che deve avere la preferenza,
siccome decisiva. Per altro tale principio è stato più volte
affermato da questa Corte, anche a proposito della legge stralcio, non
solo per quanto riguarda le intestazioni catastali a persone diverse
dal proprietario del terreno, ma anche per quanto attiene allo stato di
fatto dei terreni, perché occorre tenere presente quello che è lo
scopo delle leggi di scorporo, di colpire cioè la proprietà
appartenente ad un determinato soggetto giuridico, alla data del 15
novembre 1949, nella sua consistenza reale e non già in quella
apparente (sentenza n. 9 del 1963).
3. – Non ha pregio la tesi sostenuta dalla difesa delle parti
private che – anche agli effetti della legge Sila – le risultanze
catastali sarebbero determinati, costituendo esse i principi direttivi
ed i criteri, che la legge delegante implicitamente dà al Governo per
la determinazione delle proprietà espropriabili. Ed invero, anche se
questa affermazione fosse esatta in via di fatto, non potrebbe di certo
derivarne la conseguenza che, una volta accertato l’errore delle
risultanze catastali, queste debbono ciononostante costituire la base
dei decreti espropriativi, perché sarebbe antigiuridico anteporre –
alla realtà – l’errore. Per altro sta di fatto che la norma di legge,
la quale statuisce che trecento ettari di terreno rimangono al
proprietario ed il rimanente è soggetto ad espropriazione,
rappresenta, di per se stessa, un quadro completo dell’ambito nel quale
debbono agire i decreti delegati. E, per queI che riguarda la quantità
di terreno espropriabile, i criteri direttivi si traggono da numerosi
elementi posti in essere dalla legge, quali la suscettibilità dei
terreni alla trasformazione agraria, il computo di altre terre
appartenenti allo stesso proprietario, la formazione della proprietà
contadina, la colonizzazione ed altri elementi relativi alla riforma
fondiaria.
4. – Risultando pertanto che, sulla intera proprietà di ettari
896.85.06, sono stati espropriati ettari 374.01.80, come risulta dai
decreti impugnati (oppure ettari 368.16.20, come in definitiva è
risultato per rettifica eseguita a termini dell’art. 5 della legge 15
marzo 1956, n. 156) non può certamente affermarsi che sia stata
intaccata la quota intangibile dei trecento ettari. Dal che deriva la
infondatezza della questione sollevata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dei decreti del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, nn. 1475
e 1490, proposta dal tribunale di Cosenza in relazione agli artt. 2 e 5
della legge 12 maggio 1950, n. 230, ed in riferimento agli artt. 76 e
77 della Costituzione con ordinanze del 21 novembre 1962 e del 7 giugno
1967.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.