Sentenza N. 71 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
12/07/1965
Data deposito/pubblicazione
12/07/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
23/06/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA –
Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
1952, n. 3396, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1964 dal
Tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra Di Lella
Francesco ed altri e la Sezione speciale per la riforma fondiaria in
Puglia e Lucania, iscritta al n. 123 del Registro ordinanze 1964 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 212 del 29
agosto 1964.
Visto l’atto di costituzione dell’Ente di riforma;
udita nell’udienza pubblica del 16 giugno 1965 la relazione del
Giudice Costantino Mortati;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò,
per l’Ente di riforma.
I germani Francesco, Vittorio e Luigi Di Lella, insieme ai germani
Filippo, Grazia e Giuseppina Giuliani e il padre di questi ultimi
Gennaro Giuliani, convenivano avanti al Tribunale di Bari l’Ente di
riforma agraria Puglie e Lucania, e ivi sollevavano preliminarmente
questione di illegittimità costituzionale del decreto delegato 18
dicembre 1952, n. 3396, che aveva trasferito in proprietà all’Ente
stesso terreni appartenenti agli istanti, in violazione degli artt. 4 e
8 della legge n. 841 del 1950, lamentando in primo luogo che
l’espropriazione a carico della signora Di Lella Maria Vittoria, la
sola assoggettabile alle leggi di riforma fondiaria, era stata disposta
per l’intero fondo incluso nel comprensorio di riforma, mentre esso
apparteneva pro indiviso ad altri condomini, e pertanto avrebbe potuto
essere espropriato solo per la metà. In secondo luogo che oggetto di
esproprio era stato anche l’intero fabbricato posto sul fondo, mentre
apparteneva alla predetta solo per metà, e che non era stata accertata
la sua natura, né corrisposta alcuna indennità.
Il Tribunale riteneva la questione rilevante, avendo respinta
l’eccezione sollevata dalla difesa dell’Ente, di intervenuta
prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2947 del Codice civile,
dato che la pretesa degli istanti è rivolta ad ottenere l’equivalente
economico del bene espropriato a titolo di indennizzo, non già il
risarcimento di danni, mancando l’illiceità dell’atto, venuto in vita
in base a legge valida al tempo della sua emanazione. Riteneva inoltre
la questione stessa non manifestamente infondata, risultando l’eccesso
di delega e la conseguente violazione dell’art. 76 della Costituzione
per effetto del contrasto con l’art. 8 della legge 18 maggio 1951, n.
333, ed altresì con il principio generale stabilito dall’art. 727 del
Codice civile, e sembrando inoltre violato l’art. 42 della
Costituzione.
Pertanto con sua ordinanza del 30 aprile 1964 sospendeva il
giudizio e disponeva il rinvio degli atti alla Corte costituzionale.
L’ordinanza, debitamente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 212 del 29 agosto 1964.
Nel giudizio avanti alla Corte si è costituita la Sezione speciale
riforma fondiaria dell’Ente Puglia e Lucania, in persona del suo
presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale
dello Stato, con deduzioni depositate il 24 luglio 1964.
In esse si contesta la fondatezza delle questioni sollevate,
osservandosi come il testo letterale del citato art. 8 della legge n.
333 consente l’espropriazione dei terreni che siano oggetto di
comunione, in danno del singolo condomino fino ad esaurimento della
quota ideale spettante al medesimo singolo condomino. Nella specie la
quota ideale spettante alla condomina soggetta ad esproprio, Di Lella
Maria Vittoria, venne legittimamente fatta cadere sul fondo sito nel
comprensorio di riforma, mentre le quote degli altri condomini vennero
riservate e trasferite sugli altri beni, pure essi comuni, fuori del
comprensorio stesso. La legittimità del procedimento seguito risulta
confermata dall’art. 13 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, secondo
cui nel caso di terreni espropriabili solo parzialmente l’Ente ha il
diritto di esaurire la intera quota di scorporo sulla parte dei beni
espropriabili.
Ugualmente infondata, ad avviso dell’Avvocatura, la seconda censura
perché, a tenore dell’art. 18 della legge n. 841 ora citata,
l’indennità deve equivalere al valore definitivo accertato ai fini
dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, di cui all’art.
9 del T. U. 9 maggio 1950, n. 203, e pertanto nel valore accertato
devono intendersi compresi tutti gli accessori e pertinenze dei fondi
espropriati come sono i fabbricati. Conclude chiedendo che la Corte
dichiari l’infondatezza delle questioni sollevate dall’ordinanza.
Fuori termine, e cioè in data 5 ottobre 1964, si costituiva con
deduzioni e deposito del fascicolo di parte l’avv. Vittorio Di Lella.
1. – La Corte ritiene che nessuna delle due questioni di
legittimità costituzionale del D.P.R. 18 dicembre 1952, n. 3396,
sollevate dal Tribunale di Bari sia fondata. In ordine alla prima, non
appare esatta l’interpretazione che questo dà dell’art. 8 della legge
18 maggio 1951, n. 333, secondo la quale nel caso di terreni posseduti
pro indiviso da vari proprietari, di cui uno solo assoggettabile alla
espropriazione prevista dalle leggi di riforma fondiaria, e distribuiti
in diverse località, così da trovarsi in parte inclusi nei
comprensori di riforma in parte fuori, l’Ente espropriante dovrebbe
determinare la quota ideale del condomino colpito dall’esproprio con
riferimento ai soli terreni situati entro i comprensori predetti.
Occorre ricordare, in contrario, come, secondo l’art. 4 della legge n.
841 del 1950, la quota espropriabile della proprietà terriera sita nei
territori soggetti a trasformazione fondiaria doveva essere determinata
in base al reddito dominicale, quale risultava al 1 gennaio 1943,
dell’intera proprietà, comprensiva, a tenore della legge
interpretativa n. 1206 del 1952, di tutti i beni terrieri posseduti in
qualunque parte del territorio nazionale. La quota, così commisurata
sul coacervo dei terreni, doveva poi venire applicata in concreto
mediante scorporo, fino alla totale applicazione della quota medesima,
dei fondi o di una loro porzione, compresi nella zona di riforma,
secondo la precisa statuizione dell’art. 13 della stessa legge n. 841.
Essendo sorto dubbio se il procedimento così disciplinato potesse
essere seguito anche nei confronti di proprietà indivise, soggette
esse pure ad esproprio (art. 4, secondo comma, legge n. 841), è
intervenuta la legge n. 333 del 1951 che all’art. 8 lo ha risolto in
senso affermativo, precisando cioè che l’Ente espropriante può
provvedere all’espropriazione dei terreni sui quali grava la comunione
fino all’esaurimento del valore della quota ideale spettante al
condomino (da determinare, alla stregua delle norme prima ricordate,
sul coacervo di tutti i beni comuni) con correlativa imputazione, nella
successiva divisione, della porzione espropriata alla quota del suo
titolare. Pertanto, facendo esatta applicazione del principio secondo
il quale nelle comunioni il diritto di ciascun condomino investe tutto
intero il bene indiviso, legittimamente il provvedimento espropriativo
ha potuto colpire (fino a coprire l’intero valore della quota ideale
spettante alla signora Maria Vittoria Di Lella) il terreno che, per
essere ubicato nella zona di riforma, era il solo suscettibile di
esproprio, senza che a ciò potesse formare ostacolo la comproprietà
di alcuni soggetti immuni da sottoposizione alle leggi di riforma. Ciò
sotto il riguardo che i diritti di costoro rimangono salvaguardati per
effetto dell’accennato obbligo di imputazione della proprietà
espropriata nella quota del condomino colpito. Se si pensasse
altrimenti il soggetto dell’espropriazione, per il solo fatto di essere
proprietario di beni ancora indivisi, verrebbe ad essere trattato in
modo più favorevole dei titolari della integrale proprietà, in base
all’asserito impedimento a procedere nei suoi confronti alla totale
applicazione della quota di esproprio prescritta dal detto articolo.
Né vale invocare, a sostegno della contraria opinione, l’art. 727
del Codice civile poiché i criteri che questo stabilisce per la
determinazione delle porzioni spettanti ai vari condomini non rivestono
carattere inderogabile, ed anzi devono cedere in presenza di beni la
cui divisione potrebbe arrecare danno ad interessi generali (come
risulta dall’ultimo comma dello stesso articolo, e dall’art. 722). E
non è dubbio che ad un interesse generale corrisponde assicurare la
continuità territoriale di terreni sui quali deve essere effettuata la
riforma, come emerge anche dall’art. 7 della legge n. 333 del 1951.
2. – La seconda questione, relativa al fabbricato esistente nel
fondo espropriato è prospettata sotto due aspetti; e cioè della
violazione delle leggi di riforma per il fatto di essere stato
espropriato per intero, mentre entrava nella quota di proprietà della
signora Maria Vittoria Di Lella solo per metà, e inoltre della
violazione dell’art. 42 della Costituzione in quanto sarebbe mancata la
corresponsione dell’indennizzo dovuto per l’ablazione di tale bene, non
ancora iscritto a catasto.
La prima doglianza deve dichiararsi infondata sulla base degli
stessi motivi esposti sub 1.
Quanto all’altra è da rilevare come, a norma del primo comma
dell’art. 18 della legge n. 841, l’indennità per i terreni espropriati
deve corrispondere al valore definitivo accertato ai fini dell’imposta
straordinaria progressiva sul patrimonio, istituita col decreto
legislativo 29 marzo 1947, n. 143, e poi regolata dal T.U. 9 maggio
1950, n. 203, il cui art. 9 fa riferimento ai valori medi del periodo 1
luglio 1946-31 marzo 1947, da ottenere mediante applicazione del
reddito imponibile dominicale, risultante dalla revisione disposta con
il R.D.L.4 aprile 1939, n. 589. Nel valore così accertato devono
intendersi compresi tutti gli accessori e le pertinenze, fra le quali
ultime rientrano (come la Corte ha ritenuto con la sentenza n. 65 del
1957) anche i fabbricati rurali, perché essi, pur non avendo nel
sistema dell’imposta fondiaria un reddito proprio, concorrono a
determinare il reddito complessivo del fondo, nel quale quindi quello
del fabbricato, anche se non venga menzionato a parte, rimane compreso.
Nella specie si allega che il caseggiato insistente sul fondo
espropriato è stato costruito dopo la iscrizione in catasto, come
risulterebbe da una lettera dell’Ispettorato provinciale
dell’agricoltura di Foggia dell’8 marzo 1941, con cui si invitava
l’interessata a presenziare al collaudo di opere di miglioramento
fondiario effettuate in località Ischia d’Abate, sede del fondo
scorporato. Poiché, secondo queste stesse affermazioni di parte,
l’immobile in parola esisteva fin dall’inizio dell’anno 1941, cioè
anteriormente alla data del 1 gennaio 1943, di entrata in vigore del
nuovo catasto, gli interessati avrebbero dovuto curare l’iscrizione
dell’immobile stesso, mentre era in corso la revisione generale degli
estimi disposta con il D. L.4 aprile 1939, n. 589, e giovandosi
dell’art. 16 del R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, di approvazione del
T.U. sul nuovo catasto, secondo cui dovevano essere compresi nel
catasto terreni i fabbricati rurali con i loro accessori, nonché degli
artt. 104,105, lett. b, 113 e 114 del R.D. 8 dicembre 1938, n. 2153, di
approvazione del relativo Regolamento, che dettano norme circa
l’introduzione dei beni non ancora censiti.
L’omissione di tale aggiornamento, quale avrebbe dovuto essere
promosso dall’iniziativa dei proprietari interessati, rende
inattaccabile la liquidazione dell’indennità, che risulta effettuata
regolarmente, sulla base del reddito conforme alle risultanze del nuovo
catasto al 1 gennaio 1943, in applicazione del citato art. 4 della
legge, n. 841.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del D.P.R. 18 dicembre 1952, n. 3396, sollevata dall’ordinanza in
epigrafe, in relazione agli artt. 76 e 42 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO
MANCA – ALDO SANDULLI – GIUSEPPE
BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO
MORTATI – GIUSEPPE CHIARELLI –
GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI.