Sentenza N. 73 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
25/05/1970
Data deposito/pubblicazione
25/05/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/05/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
primo ed ultimo comma, e 29, comma secondo, della legge 16 giugno 1927,
n. 1766, sul riordinamento degli usi civici, promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanze emesse il 27 marzo 1969 dalla Corte di appello di Roma
– sezione speciale per gli usi civici – nei procedimenti civili
vertenti rispettivamente tra le frazioni di Ponte e di Rocchetta ed il
comune di Cerreto di Spoleto; Scarpetta Gilda ed altri ed il comune di
Fondi; Cervelloni Narcisa ed altri, il comune di Terracina e Mari
Alberto ed altri, iscritte ai nn. 246, 247 e 248 del registro ordinanze
1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 179 del
16 luglio 1969;
2) ordinanza emessa il 9 luglio 1969 dalla Corte di appello di Roma
– sezione speciale per gli usi civici – nei procedimenti civili riuniti
vertenti tra gli eredi di Scalfati Alfredo ed altri ed il comune di
Terracina ed altri, iscritta al n. 382 del registro ordinanze 1969 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 280 del 5
novembre 1969.
Visti gli atti di costituzione delle frazioni di Ponte e di
Rocchetta, dei comuni di Terracina e di Sabaudia, delle società
Domiziana e G.I.S.A., di Scarpetta Gilda, Roma Antonio, Cervelloni
Narcisa ed altri, Mari Alberto ed altri, e l’atto d’intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 25 febbraio 1970 il Giudice
relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi l’avv. Guido Astuti, per Scarpetta e Roma; gli avvocati
Eugenio Cannada Bartoli e Domenico Barillaro, per il comune di
Sabaudia; l’avv. Guido Cervati, per le frazioni di Ponte e di Rocchetta
e per Cervelloni ed altri; l’avv. Gastone Curis, per il comune di
Terracina e per Mari ed altri; l’avvocato Francesco Franchi, per la
società Domiziana; ed il sostituto avvocato generale dello Stato
Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel giudizio promosso avverso la sentenza del commissario
regionale per la liquidazione degli usi civici con sede in Roma dell’8
settembre 1967, dalle frazioni di Ponte e di Rocchetta nei confronti
del comune di Cerreto di Spoleto e del procuratore generale presso la
Corte di appello di Roma, con ordinanza del 27 marzo 1969, ed in
parziale accoglimento delle eccezioni proposte dalle frazioni e dal
p.m., la Corte di appello di Roma, sezione speciale per gli usi civici,
sollevava la questione incidentale di legittimità costituzionale degli
articoli 27, commi primo e ultimo, e 29, comma secondo, in relazione al
primo, della legge 16 giugno 1927, n. 1766, in riferimento agli artt.
108, comma secondo, e 25, della Costituzione.
Altre tre ordinanze di identico contenuto emetteva la stessa Corte
di appello, sezione speciale per gli usi civici (due sotto la medesima
data e la terza il 9 luglio 1969) rispettivamente: nel giudizio
promosso con appello del 29 luglio 1967 da Gilda Scarpetta e Antonio
Roma avverso la sentenza del 14 giugno 1967 del commissario per gli usi
civici di Roma e vertente tra gli appellanti, il comune di Fondi ed il
p.m., ed a seguito di eccezione di illegittimità costituzionale
proposta dal p.m.; b) nel giudizio promosso con appello del 23
settembre 1966 da Narcisa Cervelloni, Laura Cervelloni e Adele Di
Girolamo ved. Cervelloni (in proprio e quale esercente la patria
potestà sul figlio minore Franco Cervelloni) avverso la sentenza del
30 luglio 1966 del commissario per gli usi civici di Roma e vertente
tra le appellanti, il comune di Terracina, Alberto Mari, Salvatore
Rossi è Giuseppe Rossi, Ermanno Bottiglia quale cittadino utente del
comune di Terracina ed il p.m., ed a seguito di eccezione di
illegittimità costituzionale proposta dalle appellanti e dal p.m.; e
c) nei procedimenti riuniti vertenti tra Giulio Scalfati, Pasquale
Scalfati, Margherita Scalfati in Biagiarelli, Teresa Di Salvo ved.
Scalfati ed il comune di Terracina; tra la S.p.A. Domiziana e Giulio
Scalfati, Pasquale Scalfati, Margherita Scalfati in Biagiarelli, Teresa
Di Salvo ved. Scalfati, il comune di Terracina, Violante Schisani,
Teresa Schisani ed Edoardo Schisani, il comitato per i demani comunali
di Terracina, la S.p.A.
Gestioni ed investimenti ed il comune di Sabaudia; e tra gli eredi
di Alfredo Scalfati ed il comune di Terracina, la S.p.A. Domiziana,
Violante Schisani, Teresa Schisani ed Edoardo Schisani ed il comitato
per i demani comunali di Terracina e tutti nei confronti del p.m.:
giudizi promossi con vari atti di appello avverso l’ordinanza del 4
aprile 1958 e la sentenza del 22 giugno 1961 del commissario per gli
usi civici di Roma, ed a seguito di eccezione di illegittimità
costituzionale proposta dal p.m., dal comune di Sabaudia e da Violante
e Teresa Schisani.
2. – Con le dette ordinanze il giudice a quo precisava che la
denuncia concerneva le norme indicate nelle parti in cui si riferivano
a poteri esercitati nelle fattispecie dal commissario e che la
sollevata questione non si presentava prima facie manifestamente
infondata.
Osservava, in generale, che “l’indipendenza del giudice va innanzi
tutto affermata in relazione alla possibilità che in concreto, un
altro organo estraneo alla funzione giurisdizionale possa influire, sia
pure per la tutela di interessi generali, sulle sue decisioni” e che
“l’indipendenza tuttavia implica un concetto più ampio, perché non
può prescindersi da ogni altro elemento che possa porre in pericolo
l’imparzialità del giudice: l’indipendenza cioè è richiesta in ogni
caso proprio per il pericolo della parzialità”.
A suo avviso, la questione andava quindi esaminata con criteri
obiettivi: doveva, in altri termini, farsi “esclusivo riferimento alla
posizione che ha in concreto l’organo giurisdizionale ed accertarsi se
la detta posizione possa per se stessa non offrire adeguata garanzia di
indipendenza e di imparzialità, sia pure come remoto pericolo”.
Ed andava infine rilevato, e sempre in generale, che “non può
considerarsi indipendente, e conseguentemente imparziale, in senso
obiettivo, il giudice, il quale, in una determinata controversia, abbia
in precedenza svolto la sua attività in relazione ad elementi che sono
(ora) oggetto del suo giudizio”.
La Corte di appello faceva poi riferimento ad alcune pronunce di
questa Corte (nn. 30 del 1967, 55 del 1966, 133 del 1963 e 80 del 1967)
che avrebbero lumeggiato, sotto vari profili che presentavano interesse
nella specie, il principio dell’indipendenza del giudice.
Ed infine esaminava in concreto l’effettiva posizione del
commissario regionale per la liquidazione degli usi civici nella sua
funzione giurisdizionale, allo scopo di accertare se le suindicate
norme garantissero o meno l’indipendenza e quindi l’imparzialità del
giudice alla luce dei principi anzidetti.
A tal riguardo, ricordava che nel sistema della legge fondamentale
del 1927 il commissario ha una funzione essenzialmente amministrativa:
“quella di accertare la esistenza dei diritti di uso civico e similari
e di procedere alle relative operazioni di liquidazione mediante
scorporo (o imposizione di canone per le terre migliorate)”; che in
tale funzione primaria può procedere d’ufficio o sopperire all’inerzia
degli enti pubblici (che per altro non rappresenta) titolari dei
diritti di uso civico, per la tutela degli interessi generali delle
popolazioni, università agrarie, ecc. Esso “anche fuori di un vero e
proprio rapporto gerarchico, costituisce l’organo sul quale il
Ministero dell’agricoltura deve fare il suo affidamento nell’ambito dei
suoi poteri istituzionali in materia”; e, pur non identificandosi con i
soggetti titolari di diritti di uso civico e similari, per i suoi
poteri di impulso e sostitutivi, appresta a quei diritti un’efficace
garanzia.
Il commissario ha inoltre una funzione giurisdizionale a carattere
occasionale ed incidentale, per la risoluzione delle controversie
sorte, in occasione dello svolgimento delle funzioni amministrative o
anche indipendentemente da queste, tra gli enti che si affermano
titolari di un diritto civico ed altri soggetti (in genere privati) che
contrastano l’esistenza del diritto stesso.
L’affidamento di codesta funzione all’organo investito di quella
amministrativa, è il risultato di una scelta di politica legislativa:
si è preferito l’organo specializzato per la complessa funzione
amministrativa e si è inteso, d’altro canto, garantire quanto più è
possibile i diritti delle popolazioni e degli enti pubblici.
Ma il sistema così creato, secondo la Corte di appello, “non
sembra compatibile con il principio dell’indipendenza e
dell’imparzialità del giudice sancito dall’art. 108, secondo comma,
della Costituzione”, in quanto “il commissario, in sede
giurisdizionale, si pronunzia sulla legittimità dei suoi stessi
provvedimenti presi in sede amministrativa”.
Tale situazione ricorre, “ad esempio, in materia di occupazione di
terre di uso civico da parte di soggetti, dal commissario ritenuti
privi di titolo, in sede amministrativa, e che poi, sostenendo invece
un proprio diritto sulle terre stesse, adiscono il commissario in sede
giurisdizionale” e pare altresì evidente nell’ipotesi in cui sia
negata “l’autorizzazione ad una conciliazione della controversia, in
base ad una valutazione di merito” e la controversia venga
successivamente esaminata dal commissario, come giudice.
In base al sistema in discorso, inoltre, il commissario “potrebbe
ritenersi non sufficientemente indipendente dall’esecutivo”, dato che
(per l’art. 37 della legge n. 1766 del 1927) “la suprema direzione per
l’esecuzione della legge stessa è affidata al Ministero
dell’agricoltura il quale, indipendentemente da un vero e proprio
rapporto gerarchico nei confronti del commissario si avvale delle
funzioni del predetto proprio per tale compito istituzionale”; e dato
che il ministro determina la circoscrizione e la sede di ciascun
commissariato (art. 27, ultimo comma della legge, che, per altro,
“sembra contrastare con il principio della riserva di legge in materia
giurisdizionale di cui all’art. 25 della Costituzione”), e nel
l’ipotesi in cui debba procedersi all’affrancazione di usi civici e ad
operazioni similari su terre comprese nel territorio di due diversi
commissariati regionali, “stabilisce, con un suo decreto, a quali
commissari debba essere affidata l’esecuzione – delle operazioni e la
decisione di tutte le controversie dipendenti da esse” (giusta il cit.
art. 27 in sé e in correlazione all’art. 67 del regolamento approvato
con R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, che per altro sarebbe in contrasto
con l’art. 25 della Costituzione).
Ed infine il pericolo di parzialità deriverebbe dalle norme che
riconoscono al commissario il potere di impulso di ufficio e che ne
caratterizzano in senso parzialmente inquisitorio la giurisdizione (ed
in particolare dall’art. 3 del regolamento del 1928 per cui il
commissario, se ritiene che a favore di una popolazione esistano
diritti civici non dichiarati, può procedere alla nomina di un
istruttore per accertare i diritti anzidetti).
3. – Le quattro ordinanze sono state regolarmente comunicate,
notificate e pubblicate.
Nei relativi giudizi davanti a questa Corte si sono costituiti:
a) le frazioni di Ponte e di Rocchetta (del comune di Cerreto di
Spoleto) a seguito di deliberazione delle rispettive rappresentanze
nominate dalla G.P.A. di Perugia, con deduzioni depositate il 30 giugno
1969 ed a mezzo dell’avv. Guido Cervati;
b) Gilda Scarpetta ed Antonio Roma, con deduzioni del 31 luglio
1969, a mezzo dell’avv. Ettore Mosillo;
c) Narcisa Cervelloni, Laura Cervelloni, Adele Di Girolamo ved.
Cervelloni e Franco Cervelloni, con deduzioni del 30 giugno 1969, a
mezzo dell’avv. Guido Cervati;
d) il comune di Terracina (nella causa contro Narcisa Cervelloni ed
altri), in forza di delibera del 5 settembre 1969 della Giunta
municipale approvata dalla G.P.A. di Latina il 15 ottobre 1969, con
memoria del 17 giugno 1969, a mezzo dell’avv. Gastone Curis;
e) Alberto Mari, Giuseppe Rossi ed Ermanno Bottiglia, con memoria
del 17 giugno 1969, a mezzo dell’avv. Gastone Curis;
f) il comune di Terracina (nella causa contro Giulio Scalfati ed
altri), con delibera del 16 dicembre 1969 della Giunta municipale
approvata dalla G.P.A. di Latina il 23 gennaio 1970, con memoria
depositata il 23 ottobre 1969 a mezzo dell’avv. Gastone Curis;
g) la S.p.A. Domiziana, con memoria depositata il 25 novembre 1969,
a mezzo degli avv.ti prof. Virgilio Andrioli, Giulio Cardelli Santucci,
Francesco Franchi e prof. Michele Giorgianni;
h) il comune di Sabaudia, in forza di delibera della Giunta
municipale dell’11 settembre 1969, approvata dalla G.P.A. di Latina il
30 detto e ratificata dal consiglio comunale con delibera del 17
novembre 1969, con deduzioni del 14 ottobre 1969, a mezzo degli avv.ti
proff. Eugenio Cannada Bartoli e Domenico Barillaro; e
i) la S.p.A. gestioni ed investimenti (G.I.S.A.), con deduzioni
depositate il 22 ottobre 1969, a mezzo dell’avv. Renato Marzolo.
Nel giudizio di cui alla terza ordinanza, spiegava intervento, con
atto depositato il 4 agosto 1969, il Presidente del Consiglio dei
ministri, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato.
E nel primo giudizio, sotto la data del 17 settembre 1969 (ma
tardivamente) depositava comparsa il comune di Cerreto di Spoleto,
peraltro poi rinunciandovi.
4. – Le frazioni di Ponte e di Rocchetta e Narcisa Cervelloni ed
altri con le deduzioni (separate ma di identico contenuto) e con la
memoria depositata il 12 febbraio 1970 chiedevano che fosse “dichiarata
illegittima la giurisdizione dei commissari per gli usi civici”.
Dopo avere premesso alcune osservazioni circa i precedenti storici
ed i caratteri della giurisdizione del commissario e notato che in
questo rimangono immanenti i poteri amministrativi anche durante lo
svolgimento del processo (dato che il commissario ha nel pubblico
interesse il potere di promuovere di ufficio i processi quale sostituto
amministrativo dei comuni, frazioni e associazioni agrarie, di ampliare
la domanda, di raccogliere prove di ufficio e di approvare nel merito
le conciliazioni) per cui si ha “una particolare inquisitorietà
nell’interesse è a tutela di una sola parte”, mettevano in evidenza
che anche nelle cause nelle quali erano parti, si sarebbe avuta “la
concentrazione di controllo e di tutela di interessi nell’organo che –
quale giudice – dovrebbe esercitare controllo sul suo operato nel
momento operativo in cui – concedendo terre ed effettuando scorpori o
assegnazioni – non si distingue da qualsiasi altro operatore”.
Tutto ciò non garantirebbe l’indipendenza e l’imparzialità del
commissario in quanto allo stesso soggetto e cioè allo stesso organo
sarebbero attribuite le due funzioni con l’inevitabile sovrapporsi
(particolarmente evidente nella materia delle conciliazioni, e durante
l’intero corso del processo) di tipi di valutazioni che invece
dovrebbero rimanere su piani rigorosamente distinti. Il commissario in
altri termini sarebbe istituzionalmente interessato alla controversia
stante che la mancanza di indipendenza sarebbe essenziale alla
disciplina del procedi mento: e sia nel caso in cui il commissario
abbia promosso d’ufficio il giudizio che in quello opposto di sua
inerzia e di instaurazione del giudizio ad istanza dell’amministrazione
interessata (contro l’avviso del commissario). E di fronte a codesta
posizione del commissario non vi sarebbe per altro la possibilità di
una sua ricusazione.
Dalle norme denunciate, d’altro canto, secondo le sopra dette
parti, risulterebbe che il commissario, nei confronti del ministro, è
inserito in un rapporto gerarchico vero e proprio o si trova in una
situazione di subordinazione in forza di un intenso potere direttivo,
di controllo e sostitutivo spettante al ministro. Tale relazione
nascerebbe anche dal fatto che il ministro nomina e revoca i commissari
(per cui questi non sarebbero inamovibili), promuove e sollecita le
azioni ed esercita poteri istruttori a mezzo di funzionari
amministrativi.
Sarebbe per ciò chiaramente violato l’art. 108. E lo sarebbe del
pari l’art. 25 della Costituzione, perché, pur essendo vero che la
circoscrizione del commissariato con sede in Roma è stata a suo tempo
istituita con legge, il ministro potrebbe, avvalendosi del potere di
cui all’art. 27, ultimo comma, della legge n. 1766, assegnare una data
causa ad altro commissariato attraverso la modificazione delle
circoscrizioni.
5. – Gilda Scarpetta e Antonio Roma, dopo avere osservato che la
Corte di appello aveva inquadrato esattamente la posizione che nel
sistema della legge n. 1766 ha il commissario, rilevavano che nella
specie questo aveva esplicato la sua attività giurisdizionale sulla
base di accertamenti e di valutazioni compiuti da un organo posto alle
sue dipendenze, che agisce in conformità di istruzioni da esso emanate
nell’esercizio di funzioni amministrative o di istruzioni superiori
ricevute per suo tramite.
Assumevano che con le norme denunciate, e giusta gli orientamenti
espressi da questa Corte, sarebbero stati sacrificati i requisiti di
indipendenza e di imparzialità che la Costituzione esige per i giudici
speciali.
E concludevano, perciò, per la fondatezza della questione.
6. – Alberto Mari, Giuseppe Rossi ed Ermanno Bottiglia ed il comune
di Terracina (nella causa contro Narcisa Cervelloni ed altri) con le
deduzioni (separate, ma di identico contenuto) chiedevano che fosse
respinta l’eccezione di incostituzionalità delle funzioni dei
commissari.
Osservavano che il cumulo nello stesso organo di funzioni
amministrative e di funzioni giurisdizionali non comporta
necessariamente l’illegittimità costituzionale delle norme che lo
prevedono.
L’indipendenza del commissario quale giudice, poi, sarebbe
garantita, nonostante che il ministro intervenga nella sua nomina
(atteso il prevalente ed assorbente intervento del Consiglio superiore
della magistratura e non essendovi alcuna norma che neghi
l’inamovibilità) e pur spettando al commissario anche funzioni
istruttorie (potendo tale compatibilità essere giustificata da una
consolidata tradizione).
Né sarebbe possibile pervenire a conclusioni differenti qualora si
volesse considerare l’attività di conciliazione: questa infatti non
dà luogo a transazione, ma a semplice soluzione amichevole della
controversia nel rispetto degli interessi generali in gioco.
Non esistono quindi i lamentati vizi. E se nell’attuale sistema c e
una disfunzione, questa risiede nel mancato esercizio dei poteri di
impulso che la legge espressamente prevede.
7. – Il comune di Terracina (nella causa contro Giulio Scalfati ed
altri), con le deduzioni, a sostegno della richiesta che questa Corte
volesse dichiarare non fondata la questione, si richiamava, anzitutto,
alla legittimità delle giurisdizioni speciali preesistenti all’entrata
in vigore della Costituzione ed in particolare a quella dei commissari
(dato che alla loro nomina provvede il Consiglio superiore della
magistratura). Precisava che il rapporto tra il commissario ed il
ministro è di piena autonomia e trova adeguata giustificazione da un
canto in specifici poteri del ministro (quale quello di proporre
impugnativa avverso determinati atti del commissario) e dall’altro
nella peculiare natura delle funzioni a questo affidate e nelle
caratteristiche tipiche della materia attinente agli usi civici.
Richiamate poi le più importanti sentenze di questa Corte in tema di
indipendenza ed imparzialità del giudice, osservava che, nella specie,
la possibilità che siano esercitate dal commissario funzioni
amministrative e giurisdizionali, non comporta di per sé la dedotta
illegittimità costituzionale della relativa normativa. Né avrebbero
maggior peso le circostanze che i commissari vengono designati dal
ministro, e che vi sarebbe una incompatibilità tra funzioni
istruttorie e decisorie e l’asserita mancanza di inamovibilità dei
commissari (stante che questa non è esclusa da alcuna norma e la sua
mancanza risulta affermata in una sola decisione del Consiglio di Stato
che potrebbe essere ritenuta non corretta). Eventuali imperfezioni del
sistema troverebbero comunque compenso nell’esigenza che si è voluto
realizzare di un processo rapido ed affidato ad un soggetto altamente
qualificato e specializzato.
In ordine alla specifica questione di legittimità costituzionale
degli artt. 27 e 29 della legge n. 1766 il comune si riportava
integralmente al contenuto delle deduzioni della Avvocatura generale
dello Stato nella causa contro Narcisa Cervelloni ed altri (che saranno
ricordate al paragrafo 11 della presente esposizione in punto di fatto)
Ed infine a proposito delle attribuzioni dei commissari,
riportandosi a pronunce della Corte di cassazione, rilevava che il
criterio della loro delimitazione andava ricercato nel contenuto dei
relativi atti di esercizio ed a seconda che questi si riferiscano ad
interessi legittimi o a diritti soggettivi.
8. – La S.p.A. Domiziana, con la memoria di costituzione e con
memoria illustrativa depositata il 12 febbraio 1970, a sostegno della
domanda diretta ad ottenere una pronuncia di inammissibilità o di
infondatezza della sollevata questione, precisato preliminarmente entro
quali limiti la sollevata questione potesse essere esaminata, osservava
che in ordine al problema concernente il giudizio che il commissario
sarebbe chiamato a pronunciare sui suoi stessi provvedimenti, non è
fondato parlare di illegittimità perché da un riesame non è
insidiata l’indipendenza di giudizio quante volte ne sia garantita la
terzietà e perché questa terzietà ricorre in pieno nella specie in
cui “anche nella fase cosiddetta amministrativa, il commissario si pone
super partes e non tutela affatto gli interessi ex necesse parziali
delle comunità, titolari degli usi civici, e, ancor meno, dei
proprietari delle terre, che ne sono gravate”. Codesto riesame, d’altra
parte, non attenta minimamente all’indipendenza del giudice nelle
ipotesi della opposizione a decreto ingiuntivo, della revocazione e
dell’opposizione di terzo, e dato che l’ordinamento positivo appresta,
in concreto, i rimedi dell’astensione e della ricusazione “mai elevata
a ragione di nullità della sentenza adottata dal giudice, che non si
astenne o non fu ricusato”.
A proposito della asserita “promiscuità” tra funzioni
amministrative e giudiziarie, negava che si potesse delineare nella
materia della legittimazione delle occupazioni, e che sussista nella
ipotesi in cui il commissario è chiamato a decidere (secondo l’art.
29, comma secondo) di tutte le controversie circa l’esistenza, la
natura e l’estensione dei diritti di cui all’art. 1 della legge o dello
scioglimento delle promiscuità. Ciò perché “le funzioni
giurisdizionali sono dal commissario esercitate con riferimento a
controversie, consequenziali ad opposizioni avverso progetti di
liquidazione di diritti, di cui egli si è limitato a disporre la
pubblicazione, ovvero ad opposizioni avverso atti istruttori di
scioglimento di promiscuità, in ordine ai quali la sua attività non
è andata oltre la disposizione della pubblicazione”; e perché i
progetti sono opera di assessori o di istruttori e gli atti istruttori
opera dei periti e che lo stesso magistrato non può conoscere dei
progetti, da lui redatti in qualità d’istruttore (talché non rimane
spazio utile neppure per l’astensione e la ricusazione).
Rispondeva infine la società concludente, alle argomentazioni
marginali del giudice a quo; e a proposito della questione di
incostituzionalità dell’art. 27, comma terzo, rappresentava la
necessità che si identificasse il provvedimento di determinazione
della circoscrizione di ciascun commissariato per accertarne se rientri
o meno nello schema del provvedimento del ministro, delineato nella
norma impugnata e concludeva che nella specie, non essendo stato
l’incidente sollevato in relazione al R.D. 16 giugno 1927, n. 1255, la
relativa questione dovesse dirsi inammissibile per difetto di
rilevanza.
9. – Si pronunciava per la fondatezza, con le deduzioni e con la
memoria depositata il 12 febbraio 1970, il comune di Sabaudia.
Prospettava l’illegittimità costituzionale delle norme denunciate,
anche in riferimento agli artt. 102, 103 e 104 della Costituzione; e
sosteneva che per varie ragioni sussistesse il dubbio di
costituzionalità nei termini in cui era stato avanzato dall’ordinanza.
Anzitutto, perché sarebbero indici di dipendenza del commissario dal
ministro, il modo della nomina (che sarebbe ministeriale) e l’esistenza
di un vero e proprio rapporto gerarchico (che comporta un vincolo di
soggezione); perché l’indipendenza sarebbe minacciata dalla mancanza
di norme circa la predeterminazione della durata dell’ufficio; e
perché, mancata una previsione dei casi di incompatibilità, non
sarebbe possibile applicare l’istituto dell’astensione e della
ricusazione. In secondo luogo, perché, avvalendosi il commissario in
sede giurisdizionale di dati da lui stesso predisposti come capo
dell’amministrazione, si avrebbe una contaminazione tra gli
accertamenti. Ed infine, perché, a proposito dell’art. 27, ultimo
comma, della legge, sarebbe violata la riserva assoluta di legge di cui
all’art. 25 e (ponendosi la norma denunciata in correlazione con l’art.
67 del regolamento) il commissario quale giudice non sarebbe
precostituito ma scelto a posteriori.
10. – La S.p.A. Gestioni ed Investimenti (G.I.S.A.) concludeva per
la declaratoria di incostituzionalità delle norme denunciate.
Premetteva che tutta la disciplina concernente la regolamentazione
degli usi civici avrebbe dovuto essere rivista dalle fondamenta con
riferimento alle nuove e diverse condizioni economico – sociali del
Paese. In ordine alla questione, rilevava che, a parte il contrasto
dell’art. 2 della citata legge n. 1766 con l’art. 3 della Costituzione,
l’art. 27 della stessa legge violerebbe gli artt. 25, comma primo, e
108, comma primo, della Costituzione, perché detta norma attribuisce
al ministro di determinare le circoscrizioni dei singoli uffici e di
designare i commissari e perché accentra in un unico organo funzioni
amministrative e giurisdizionali. Quanto poi all’articolo 29, la sua
illegittimità costituzionale deriverebbe dal fatto che esso,
sottoponendo all’approvazione del commissario e del ministro tutte le
conciliazioni, creerebbe una singolare situazione per cui lo stesso
commissario è chiamato a conoscere in sede giurisdizionale delle
questioni a lui già sottoposte in sede amministrativa. Conseguenziale,
sarebbe l’illegittimità dell’art. 37.
Per la società concludente, infine, la chiesta pronuncia dovrebbe
essere estesa alle norme regolamentari dettate per l’esecuzione della
legge e segnatamente agli artt. 67 e seguenti.
11. – Il Presidente del Consiglio dei ministri con l’atto di
intervento (nella terza causa) e con la memoria depositata il 27
gennaio 1970, chiedeva che fosse dichiarata non fondata la questione
proposta con l’ordinanza di rinvio.
L’Avvocatura dello Stato, in relazione alla tesi secondo cui il
commissario si pronuncerebbe in sede giurisdizionale sulla legittimità
dei suoi stessi provvedimenti emessi in sede amministrativa,
preliminarmente escludeva che si potesse ravvisare una violazione
dell’indipendenza del commissario nella mancata previsione della
possibilità di astensione e di ricusazione. Rilevato che mentre
l’ordinamento processuale penale conosce come motivo di ricusazione –
astensione il fatto che il giudice abbia già manifestato il suo parere
sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni
giudiziarie, analogo motivo non è previsto dall’ordinamento
processuale civile, rinveniva il significato della differenza in ciò
che la norma processuale penale mira ad evitare non tanto la cosiddetta
forza della prevenzione quanto che si creda che tale prevenzione
esista. E da cio ricavava che la disciplina in parte de qua
dell’ordinamento processuale penale non è espressione di un principio
costituzionale, non sostanzia cioè un particolare profilo della
garanzia dell’indipendenza del giudice. Per cui nella specifica materia
della attività giurisdizionale dei commissari per la liquidazione
degli usi civici (che per altro rientra negli schemi dell’ordinamento
processuale civile), non ricorre l’esigenza che le parti non debbano
temere una prevenzione del giudice. I commissari, infatti, sono organi
investiti di funzioni amministrative e giurisdizionali che vengono
esercitate con piena autonomia; e la distinzione tra questa
giurisdizione e quella del Consiglio di Stato si basa sempre sul
criterio fondamentale che fa capo alla distinzione tra diritti
soggettivi ed interessi legittimi.
Quando l’interessato propone l’opposizione al commissario su
materia incidente su diritti soggettivi – deduceva inoltre l’Avvocatura
– non può sostenersi che il commissario si sia pronunciato in sede
amministrativa esprimendo inequivocabilmente la propria volontà, ma
può solo dirsi che abbia effettuato una generica delibazione del modo
in cui i dati elaborati sono stati eseguiti, senza aver avuto modo di
effettivamente pronunciarsi sul punto oggetto di contestazione. Non v
e ragione quindi perché la sopra detta tesi possa essere prospettata.
Né le cose stanno diversamente nella particolare materia delle
conciliazioni. Il commissario non provvede in via amministrativa a
termine di un iter che sia penetrante delibazione delle opposte ragioni
giuridiche e non anticipa in alcun modo il giudizio completo che è in
grado di esprimere solo a termine della fase giurisdizionale.
Circa, infine, la pretesa offesa dell’art. 27, ultimo comma, della
legge n. 1766, all’art. 108, comma primo, della Costituzione,
l’Avvocatura ricordava in che modo fossero state fissate le
circoscrizioni dei commissariati e che per quella del commissariato con
sede in Roma si fosse provveduto con un decreto reale su proposta del
ministro competente che, pur non avendo forza di legge, costituiva un
di più che comprendeva il meno (e cioè il decreto ministeriale,
conforme all’ordinamento del tempo); e concludeva per la legittimità
costituzionale della norma denunciata.
12. – All’udienza di discussione gli avvocati Guido Astuti, per
delega dell’avv. Mosillo, per Scarpetta e Roma, Cannada Bartoli e
Barillaro per il comune di Sabaudia, Cervati per le frazioni di Ponte e
di Rocchetta e per Cervelloni ed altri, insistevano nella tesi della
illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
L’avv. Curis per il comune di Terracina si riportava agli scritti
difensivi; mentre l’avv. Franchi per la società Domiziana e il
sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti per il
Presidente del Consiglio dei ministri ribadivano le rispettive tesi
chiedendo che la questione fosse dichiarata non fondata.
1. – La Corte di appello di Roma, sezione speciale usi civici, con
le quattro ordinanze indicate in epigrafe ed aventi identico contenuto,
solleva la questione di legittimità costituzionale degli artt. 27,
commi primo ed ultimo, e 29, comma secondo in relazione al primo, della
legge 16 giugno 1927, n. 1766 in riferimento agli artt. 108, comma
secondo, e 25, della Costituzione.
Dato che le cause così instaurate hanno lo stesso oggetto, i
relativi procedimenti vanno riuniti.
2. – La Corte di appello non precisa come l’eventuale dichiarazione
di illegittimità costituzionale delle norme denunciate possa rilevare
nelle cause sottoposte al suo esame. Osserva solo che codeste norme si
riferirebbero a poteri esercitati nelle fattispecie dal commissario
regionale per la liquidazione degli usi civici, facendo quindi
intendere che, ove di dette norme dovesse risultare l’illegittimità
costituzionale, verrebbe meno ex tunc la base per quei poteri.
L’affermazione ora riportata con la sua probabile interpretazione,
può valere come sufficiente motivazione circa la rilevanza a proposito
dell’art. 27, comma primo, della citata legge 1927 n. 1766 e dell’art.
29, comma secondo in relazione al primo della stessa legge, ma non
anche per quanto ha riferimento all’art. 27, ultimo comma.
L’eventuale dichiarazione di illegittimità di quest’ultima norma,
in forza della quale il Ministero (per l’economia nazionale ed ora
quello) dell’agricoltura e delle foreste ha il potere di determinare la
circoscrizione e la sede di ciascun commissariato, non avrebbe modo di
incidere autonomamente e direttamente sui giudizi di merito (infatti le
controversie di cui si tratta sono sorte in ordine a diritti di uso
civico che interessano popolazioni e comuni che insistono sul
territorio compreso nella circoscrizione del commissariato con sede in
Roma e precisamente sulla parte di detto territorio che è stata ad
esso attribuita con un provvedimento, R.D. 16 giugno 1927, n. 1255,
conforme all’ordinamento del tempo) e non modificherebbe minimamente la
sfera di competenza (nascente da quel provvedimento) del commissario
con sede in Roma, il quale potrebbe continuare a conoscere delle cause
in oggetto.
Conseguentemente, a giudicare dalla motivazione, la questione,
almeno per quanto concerne l’art. 27, ultimo comma, deve dirsi priva di
rilevanza.
3. – La Corte è chiamata, perciò, a pronunciarsi sulla
conformità agli artt. 108, comma secondo, e 25 della Costituzione,
dell’art. 27, comma primo, e dell’art. 29, comma secondo: in base alla
prima norma i commissari regionali provvedono “con funzioni
amministrative e giudiziarie” alla attuazione di quanto è disposto
nella legge riguardante il riordinamento degli usi civici; in virtù
della seconda norma i commissari decidono “tutte le controversie circa
la esistenza, la natura e la estensione dei diritti (di cui all’art. 1
della legge) e delle altre situazioni indicate nel primo comma dello
stesso art. 29, comprese quelle nelle quali sia contestata la qualità
demaniale del suolo o l’appartenenza a titolo particolare dei beni
delle “associazioni, nonché tutte le questioni a cui dia luogo lo
svolgimento delle operazioni loro affidate”.
Di conseguenza la Corte deve rispondere ai quesiti: se sono
garantite l’indipendenza e l’imparzialità del commissario, in quanto
titolare e nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, per il fatto
che allo stesso organo sono assegnate o dalla stessa persona fisica
vengono esercitate funzioni amministrative, ed in particolare perché
il commissario giudica dopo che in sede amministrativa abbia
ispezionato i luoghi in contesa o nominato un istruttore perito (in
sede di verifica demaniale) o delibato, senza modifiche, il progetto di
legittimazione, o disposto la pubblicazione del progetto, o respinto le
opposizioni al progetto e disposto la legittimazione.
4. – Va anzitutto rilevato che dalla pura e semplice coesistenza in
testa al commissario regionale di poteri riconducibili a funzioni
amministrative ed a funzioni giurisdizionali nulla può dedursi in
ordine all’asserita mancanza di indipendenza e di imparzialità del
commissario quale giudice.
Nei casi in cui egli conosca di controversie in sede
giurisdizionale senza che ci sia in corso una fase amministrativa, è
da escludersi che il commissario non abbia l’indipendenza e
l’imparzialità volute; per il (e nel) concreto esercizio dei poteri
giurisdizionali egli non ha vincoli di precedente attività
amministrativa e, appartenendo all’ordine giudiziario, non dipende da
alcuno né è tenuto a seguire istruzioni di alcuno, essendo soggetto
soltanto alla legge.
Ma, anche nell’ipotesi (normale) di esercizio delle funzioni
giurisdizionali nell’ambito di un procedimento incidentale ed
accessorio nei confronti di quello amministrativo, si deve, parimenti,
riconoscere la piena indipendenza e imparzialità dell’organo
giudicante, dato che la coesistenza nella stessa persona delle funzioni
amministrative e giurisdizionali non comporta di per sé che
l’esercizio delle prime pregiudichi quello delle seconde. La sua stessa
condizione di appartenente all’ordine giudiziario è garanzia perché
il commissario distingua una funzione dall’altra con assoluta
obiettività.
D’altra parte le garanzie costituzionali che assistono lo stato
giuridico del magistrato preposto alla funzione commissariale sono tali
da renderlo distaccato non soltanto dall’organo che ne ha proposto la
nomina, la quale oggi è di spettanza del Consiglio superiore della
magistratura, ma anche dall’interesse amministrativo che l’organo
proponente è chiamato a curare.
5. – Non si perviene a conclusioni differenti, in ordine alla
questione in esame, qualora se ne valutino gli aspetti particolari (ed
i riflessi concreti).
La circostanza che il commissario sia chiamato a giudicare e
giudichi dopo che nella materia, in ordine alla quale è insorta la
controversia, abbia compiuto atti nello svolgimento delle sue funzioni
amministrative, non deve far ritenere che il commissario quale giudice
non sia indipendente ovvero manchi o sia messa in pericolo o in forse
la sua imparzialità.
Un primo aspetto del problema si rende evidente nella eventualità
che il commissario giudice abbia compiuto, nell’esercizio delle sue
funzioni amministrative, atti per esempio di ricognizione o di
accertamento o comunque estranei ad un concreto esercizio di poteri
autorizzativi, dispositivi o concessivi, suscettibili di incidere sulle
situazioni giuridiche (non giurisdizionali) non è in contrasto con
l’obiettivo esercizio delle funzioni giurisdizionali. Il fenomeno non
è raro a verificarsi qualora ad un organo giurisdizionale siano
attribuite anche funzioni amministrative da esercitare
pregiudizialmente o preliminarmente rispetto alle funzioni
giurisdizionali, ed è pacifico che non compromette l’indipendenza o
l’imparzialità del giudice. Altrettanto perciò deve dirsi qualora
(come nella specie) ad un organo siano attribuite istituzionalmente
funzioni amministrative e giurisdizionali e l’esercizio di queste
ultime funzioni normalmente sia incidentale.
Un secondo aspetto del problema si coglie nell’eventualità che il
commissario giudice abbia, nell’esercizio delle sue funzioni
amministrative, posto in essere accertamenti o pronunce nella materia o
anche sulla questione che è oggetto del suo esame in sede
giurisdizionale.
Ma neppure in questo caso ricorre l’asserita mancanza della
indipendenza e dell’imparzialità volute dalla Costituzione. È
possibile infatti constatare che l’attività giurisdizionale non è
condizionata nei suoi contenuti da quella amministrativa svolta in
precedenza; e che (a conferma di ciò), in fase giurisdizionale, sul
terreno probatorio il commissario può esercitare d’ufficio un potere
inquisitorio o d’iniziativa e che comunque le opposizioni lo richiamano
in sede giurisdizionale a nuove valutazioni in relazione ai vizi di
attività che gli sono stati denunciati e sui quali deve esprimere
esclusivamente la volontà della legge riferita al caso concreto.
È vero che nell’esercizio dell’attività amministrativa può
accadergli di manifestare il suo pensiero sulla questione, su cui più
tardi deve pronunciarsi come giudice, e che con tutto ciò, in questa
seconda fase, non può essere ricusato né astenersi. Ma occorre
rilevare che l’esigenza di imparzialità, che in generale trova la sua
manifestazione processuale nell’istituzione stessa del giudice, non è
disattesa dai particolari modi di essere della disciplina legislativa
dell’astensione e della ricusazione. A tal proposito – come giustamente
osserva l’Avvocatura dello Stato – è infatti da considerare che,
mentre l’ordinamento processuale penale conosce come espresso e
specifico motivo di ricusazione e astensione il fatto che il giudice
abbia manifestato il suo parere sull’oggetto del processo fuori
dell’esercizio delle funzioni giudiziarie, analogo motivo non è
previsto dall’ordinamento processuale civile; e che la mancanza di
codesta specifica previsione normativa, data la diversità di
situazioni, non sostanzia violazioni dell’invocato principio
costituzionale. E ciò comporta che per il processo in materia di usi
civici, stante il rinvio all’ordinamento processuale civile di cui
all’art. 31, comma terzo, della legge n. 1766 del 1927, si debba
pervenire alle stesse conclusioni.
6. – Posta la questione nei termini sopradetti, non rilevano ai
fini della decisione le numerose è ampie argomentazioni svolte dal
giudice a quo e dalle parti e relative tra l’altro allo statuto del
commissario quale giudice ovvero alla materia delle conciliazioni. E
pertanto, sulla base delle considerazioni fatte nei paragrafi che
precedono, si conclude per la non fondatezza della questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile per difetto di rilevanza la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 27, ultimo comma, della legge 16
giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici, sollevata con
le ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli artt. 25 e 108,
comma secondo, della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 27, comma primo, e 29, comma secondo in relazione al primo,
della stessa legge, sollevata con le indicate ordinanze, in riferimento
agli artt. 25 e 108, comma secondo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.