Sentenza N. 74 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
11/04/1969
Data deposito/pubblicazione
11/04/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/03/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE, Giudici,
siciliana, notificato il 17 luglio 1968, depositato in cancelleria il
23 successivo ed iscritto al n. 14 del Registro ricorsi 1968 con il
quale è stato sollevato conflitto di attribuzione tra la Regione
stessa e lo Stato, derivato dal decreto interministeriale 16 maggio
1968 (determinazione del perimetro della Valle dei Templi di Agrigento,
delle prescrizioni d’uso e dei vincoli di inedificabilità), ed è
stata proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 bis
della legge 28 settembre 1966, n. 749 (conversione in legge, con
modificazioni, del decreto legge 30 luglio 1966, n. 590, recante
provvedimenti a favore della città di Agrigento in conseguenza del
movimento franoso verificatosi il 19 luglio 1966).
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 12 febbraio 1969 la relazione del
Giudice Giuseppe Chiarelli;
uditi gli avvocati Pietro Virga e Salvatore Orlando Cascio, per la
Regione siciliana, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco
Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – L’art. 2 bis della legge 28 settembre 1966, n. 749, di
conversione del decreto legge 30 luglio 1966, n. 590, contenente
provvedimenti a favore della città di Agrigento in conseguenza della
frana del 19 luglio di quell’anno, dichiarava “zona archeologica di
interesse nazionale” la Valle dei Templi, e stabiliva che “il Ministro
per la pubblica istruzione, di concerto con il Ministro per i lavori
pubblici determinerà con proprio decreto il perimetro della zona, le
prescrizioni di uso e i vincoli di inedificabilità”.
In attuazione di queste disposizioni, fu emanato il decreto
ministeriale 16 maggio 1968, col quale fu delimitata la predetta Valle
dei Templi e il territorio compreso nel perimetro di essa fu suddiviso
in cinque zone: una zona A, di inedificabilità pressocché assoluta, e
quattro zone (B, C, D, E) di inedificabilità limitata. Per le opere e
le costruzioni consentite in ciascuna delle zone erano stabilite
apposite prescrizioni.
Contro tale decreto il Presidente della Regione siciliana,
rappresentato e difeso dagli avvocati Pietro Virga e Salvatore Orlando
Cascio, con atto depositato il 23 luglio 1968 e ritualmente notificato,
ha proposto ricorso per risoluzione di conflitto di attribuzione,
chiedendo l’annullamento del decreto stesso, che avrebbe invaso la
competenza regionale di cui all’art. 14, lettera n, dello Statuto
speciale, e avrebbe violato l’art. 20 dello stesso Statuto e l’art. 1
del decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1956, n. 510,
contenente norme di attuazione in materia di turismo. Con lo stesso
ricorso si chiede che sia previamente dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 2 bis della legge n. 749 del 1966, per
violazione dei predetti artt. 14, lettera n, e 20 dello Statuto.
Si afferma nel ricorso che l’art. 2 bis contiene una norma di legge
speciale, in quanto introduce, per la sola Valle dei Templi, un vincolo
che non trova riscontro nella legislazione in materia di tutela delle
cose di interesse storico ed artistico. Ma l’emanazione di una legge
speciale, territorialmente limitata alla Sicilia, è, nella materia di
legislazione esclusiva, di competenza dell’Assemblea regionale, della
quale si sarebbe perciò avuta illegittima invasione.
Col successivo decreto ministeriale si sarebbero pertanto
esercitati dei poteri arbitrari, fondati su una norma
costituzionalmente illegittima.
Inoltre, assume la Regione, il decreto impugnato, avrebbe
esorbitato dai limiti imposti dallo stesso art. 2 bis della legge n.
749 del 1966, in quanto, per ragioni di tutela paesistica, e perciò
estranee a quelle per le quali il potere era stato conferito, ha esteso
i vincoli a zone non interessate alla ricerca archeologica.
Atteggiandosi come provvedimento di vincolo panoramico e non
archeologico, il decreto ha anche usurpato la competenza dell’Assessore
regionale al turismo, perché, essendo Agrigento una località
dichiarata stazione di cura, soggiorno e turismo, si richiedeva il
concerto col detto Assessore, a cui erano state trasferite le
competenze statali in virtù del decreto del Presidente della
Repubblica 9 aprile 1956, n. 510.
2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocato generale dello Stato,
con deduzioni depositate il 5 agosto 1968.
In relazione alla dedotta incostituzionalità dell’art. 2 bis della
legge n. 749 del 1966, in esse si sostiene che la competenza esclusiva
della Regione di cui all’art. 14, lett. n, dello Statuto speciale, non
si estende ai beni archeologici o artistici interessanti servizi di
carattere nazionale, che, per l’art. 32 dello Statuto, non sono stati
trasferiti alla Regione ed hanno carattere di strumentalità, in
relazione al fine pubblico del-l’istruzione e dell’educazione. Tra tali
beni entrerebbe la Valle dei Templi di Agrigento. Si nega, pertanto,
l’incostituzionalità del denunciato art. 2 bis, avendo esso riguardo a
un bene facente parte del demanio archeologico dello Stato.
In merito al conflitto di attribuzione, la difesa del Presidente
del Consiglio osserva che non è fondata l’argomentazione del
ricorrente, secondo cui il decreto ministeriale impugnato avrebbe posto
un vincolo non solo archeologico, ma anche panoramico, che avrebbe
richiesto il concerto con l’Assessore regionale per il turismo.
L’estensione del vincolo alla zona limitrofa all’archeologica non è
stata infatti adottata per ragioni di tutela dell’ambiente paesistico,
ma per ragioni di tutela e di miglior valorizzazione del complesso
archeologico. Siffatta estensione non è nuova in materia, com’è
comprovato dall’art. 21 della legge n. 1089 del 1939, sulla tutela
delle cose di interesse artistico e storico.
Si chiede pertanto che sia dichiarata infondata la questione di
legittimità costituzionale e, col rigetto del ricorso, sia dichiarato
che spetta allo Stato la titolarità dei poteri amministrativi
correlativi ai monumenti archeologici costituenti la Valle dei Templi
di Agrigento.
3. – Gli esposti argomenti sono stati sviluppati nella memoria
della difesa del Presidente del Consiglio.
In particolare ivi si nota che l’art. 14, lett. n, dello Statuto
speciale siciliano, adopera la formula “conservazione delle
antichità”, e perciò va intesa in senso restrittivo, in relazione
alla diversa estensione dei concetti di conservazione e di tutela.
Si ribadisce che, comunque, i beni che hanno formato oggetto della
legge de qua, e del provvedimento amministrativo di applicazione di
essa, non sono entrati a far parte del demanio regionale.
Per quanto concerne il conflitto di attribuzione, si pone in
rilievo il carattere unitario, sotto il profilo archeologico, della
Valle dei Templi, che giustifica l’estensione di tale vincolo alle zone
B, C, D, E, e non rende possibile alcun riferimento alla legge n. 1497
del 1939, sulla protezione delle bellezze naturali e panoramiche.
Agli argomenti della difesa dello Stato ha replicato, nella sua
memoria, la difesa della Regione.
In essa si sostiene che l’appartenenza alla Regione degli immobili
riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico risulta
dall’essere le relative materie attribuite alla potestà legislativa
esclusiva della Regione. Si afferma inoltre che il non essere ancora
intervenute le norme per il passaggio all’Assessorato per la pubblica
istruzione delle attribuzioni della direzione antichità e belle arti
non ha rilevanza ai fini del giudizio sulla costituzionalità della
legge, e si insiste sul motivo del mancato concerto con l’Assessore
regionale al turismo.
Nella discussione orale i difensori delle parti hanno svolto i
rispettivi argomenti.
1. – La questione della legittimità costituzionale dell’art. 2
bis della legge statale 28 settembre 1966, n. 749, viene dedotta dalla
Regione in via preliminare ed incidentale. L’esame di essa deve
pertanto precedere la risoluzione del conflitto di attribuzione,
proposto in relazione al decreto del Ministro per la pubblica
istruzione 16 maggio 1968, emanato in base a detta legge.
2. – È fuori contestazione che la Regione siciliana ha, per l’art.
14, lett. n, dello Statuto speciale, competenza legislativa esclusiva
in materia di “tutela del paesaggio “e di conservazione delle
antichità e delle opere artistiche”.
Per la soluzione delle prospettate questioni occorre però
stabilire se tale norma statutaria abbia attribuito direttamente alla
Regione l’esercizio dei poteri relativi alle indicate materie, senza
bisogno di ulteriore integrazione, e se conseguentemente ne derivi un
obbligo per lo Stato di astenersi, in esse, dall’esercizio della
propria potestà legislativa e amministrativa.
Osserva la Corte che la norma in esame non contiene una puntuale
precisazione della sfera di competenza attribuita alla Regione e che
non si sono ancora realizzate le condizioni per l’esercizio di tale
competenza.
Per quanto riguarda la “conservazione delle antichità e delle
opere artistiche” è da tener presente che, nella legge dello Stato
sulla “tutela delle cose d’interesse artistico e storico” (legge 1
giugno 1939, n. 1089), la “conservazione” di queste forma oggetto solo
di una parte delle disposizioni in essa contenute (quelle del capo II),
mentre le disposizioni successive riguardano l’alienazione e gli altri
modi di trasmissione delle cose (capo III), la loro esportazione e
importazione (capo IV e VII), i ritrovamenti e le scoperte (capo V),
le riproduzioni e il godimento pubblico (capo VI) e le sanzioni, che
sono anche di natura penale (capo VIII). Se, pertanto, la
“conservazione” delle cose artistiche e storiche è solo un aspetto
della loro tutela, ne deriva la necessità che siano precisati il
contenuto e i limiti della competenza regionale, anche in riferimento
al suo oggetto, e che sia stabilito un coordinamento della funzione di
conservazione, attribuita alla Regione, con le altre forme di tutela
delle cose artistiche e storiche, previste dalla legislazione dello
Stato.
Inoltre, l’esercizio della competenza regionale, nelle materie
della tutela del paesaggio e della conservazione delle cose storiche e
artistiche, trova ostacolo, attualmente, nel fatto che non si è ancora
avuto il passaggio delle funzioni dello Stato alla Regione:
trasferimento che è condizionato dalla emanazione delle norme di
attuazione previste dall’art. 43 dello Statuto speciale.
La norma statutaria in esame richiede pertanto, per diventare
operativa, che siano emanate le dette norme di attuazione, la cui
necessità non è eliminata dal carattere esclusivo della competenza
(sentenza n. 14 del 1962).
Tale necessità è rafforzata dal fatto che la competenza esclusiva
della Regione siciliana, nelle materie in esame, costituisce un unicum,
rispetto alle norme della Costituzione (articolo 117) e degli altri
Statuti speciali, e va considerata nel quadro della tutela del
paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione (art. 9).
3. – Discende dalle esposte considerazioni che, nell’attuale
situazione normativa, non esiste, nei confronti della Regione
siciliana, un obbligo negativo dello Stato, di astensione
dall’esercizio della propria potestà legislativa e amministrativa
nelle materie in questione.
Già in precedenti sentenze questa Corte ha affermato che, non
essendo intervenute norme di attuazione delle disposizioni statutarie
per la tutela del paesaggio (come non ne sono intervenute per la
conservazione delle antichità), deve riconoscersi allo Stato la
potestà, attribuitagli dalle vigenti leggi, di emanare provvedimenti
per le dette materie (sentenza n. 65 del 1959 e n. 83 del 1962). Non
esiste un impedimento costituzionale, per lo Stato, a provvedere con
legge, in deroga alle leggi generali in materia, e a disporre
particolari procedimenti, per la tutela del paesaggio e delle cose
artistiche, in presenza di particolari esigenze, che, secondo la sua
discrezionale valutazione, giustifichino una speciale disciplina della
materia, in relazione a località e a beni archeologici determinati.
Nella specie, l’art. 2 bis ha disposto un vincolo su la zona dei
Templi (rimettendo all’autorità amministrativa la determinazione del
perimetro di essa) in conseguenza di un fatto di eccezionale gravità,
qual’era stato il movimento franoso del 1966, ed in considerazione del
preminente carattere archeologico della zona e dell’interesse generale
a impedire ulteriori effetti dannosi di quell’evento.
Per il suo stesso carattere speciale, la norma impugnata non
sottrae alla Regione la materia che le è stata genericamente
attribuita dalla norma statutaria, né preclude l’esercizio futuro
della sua competenza, nella sfera che sarà precisata con le norme di
attuazione.
Anche sotto il riflesso della sua natura speciale, il denunziato
art. 2 bis della legge n. 749 del 1966 non si può quindi ritenere
lesivo della competenza regionale.
4. – Esclusa la illegittimità costituzionale della norma di legge
impugnata, viene a cadere la censura, mossa dalla Regione in sede di
conflitto di attribuzione, secondo la quale il decreto ministeriale di
attuazione di quella norma avrebbe invaso la competenza regionale
perché fondato su norma costituzionalmente illegittima.
Dalla Regione si assume inoltre che tale decreto avrebbe esorbitato
dai limiti imposti dallo stesso art. 2 bis della legge n. 749 del 1966,
in quanto avrebbe esteso il vincolo a zone estranee alle ricerche
archeologiche, atteggiandosi così come decreto di vincolo paesistico.
Come tale, sarebbe in contrasto col decreto del Presidente della
Regione 6 agosto 1966, n. 807, che aveva già posto il vincolo
paesistico, in aderenza con le norme di legge, e avrebbe usurpato la
competenza dell’Assessore regionale al turismo, perché, essendo
Agrigento una località dichiarata stazione di cura, soggiorno e
turismo, si richiede, ai sensi dell’art. 13 della legge 29 giugno 1939,
n. 1497, il concerto con detto Assessore, a cui sono state trasferite
le competenze del Ministro per il turismo (decreto del Presidente della
Repubblica 9 aprile 1956, n. 510): concerto che, nella specie, è
mancato.
Le censure non hanno fondamento.
Il decreto del Ministro per la pubblica istruzione 16 maggio 1968,
dopo aver determinato (art. 1) il perimetro dell’intera zona sottoposta
al vincolo, ha suddiviso il territorio compreso in detto perimetro in
cinque zone, disponendo per la prima di esse (zona A) una
inedificabilità quasi assoluta, e per le altre una edificabilità
limitata. La ragione della imposizione di vincoli a queste zone è
indicata, nelle premesse del decreto, nella necessità di “salvaguardia
dell’interesse archeologico nazionale del comprensorio”, e i vincoli
stessi sono stati disposti in relazione alla distanza dai monumenti
archeologici, allo scopo di non danneggiarne la prospettiva e di
assicurare particolari cautele circa le modifiche delle culture e l’uso
di mezzi meccanici nella lavorazione dei terreni. Trattasi dunque di
prescrizioni disposte in funzione della tutela del valore archeologico
della zona, in conformità all’art. 2 bis della legge n. 749.
Il denunziato conflitto di attribuzione pertanto non sussiste,
perché il decreto impugnato è stato emesso nell’esercizio dei poteri
attribuiti da tale articolo al Ministro, per l’attuazione della tutela
dei valori archeologici che il legislatore ha voluto assicurare. Dal
decreto 6 agosto 1966, n. 807, emesso dal Presidente della Regione
quale organo decentrato dello Stato, ai sensi della legge 29 giugno
1939, n. 1497, non derivava un limite alla piena attuazione dell’art. 2
bis e dei suoi scopi, per le stesse ragioni per le quali la legge n.
1497, e l’altra legge del 1 giugno 1939, n. 1089, sulle bellezze
naturali e panoramiche, non costituivano un limite per il legislatore
nel disporre quel particolare vincolo archeologico, che è stato posto
in essere col decreto impugnato.
Comunque, sono rimaste ferme, in quanto compatibili con l’art. 2
bis della legge n. 749 del 1966, le disposizioni delle predette leggi,
nonché il provvedimento del Presidente della Regione, emanato in base
ad esse (art. 5 del decreto ministeriale).
5. – Egualmente infondata è la censura riguardante il mancato
concerto con l’Assessore del turismo.
Tale concerto sarebbe stato richiesto qualora il provvedimento
fosse stato emesso in applicazione della legge sul paesaggio, com’era
nel caso deciso con la sentenza di questa Corte n. 65 del 1959.
Poiché, invece, il provvedimento impugnato è stato emanato in
conformità e nei limiti dell’art. 2 bis della legge n. 749 del 1966,
non è ad esso applicabile la disposizione di cui all’art. 13, terzo
comma, della legge 29 giugno 1939, n. 1497.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2 bis della legge 28 settembre 1966, n. 749 (conversione in
legge, con modificazioni, del decreto legge 30 luglio 1966, n. 590,
recante provvedimenti a favore della città di Agrigento in conseguenza
del movimento franoso verificatosi il 19 luglio 1966), sollevata col
ricorso della Regione siciliana in epigrafe indicato;
dichiara la competenza del Ministro per la pubblica istruzione a
emanare i provvedimenti di cui al detto articolo;
respinge, in conseguenza, il ricorso proposto dal Presidente della
Regione siciliana per l’annullamento del decreto ministeriale 16 maggio
1968, “Determinazione del perimetro della Valle dei Templi di
Agrigento, delle prescrizioni d’uso e dei vincoli di inedificabilità
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.