Sentenza N. 74 del 1978
Corte Costituzionale
Data generale
20/07/1978
Data deposito/pubblicazione
20/07/1978
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/07/1978
EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof.
ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN
– Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof.
ANTONIO LA PERGOLA, Giudici,
ottobre 1933, n. 1364 (approvazione del regolamento per la carriera e
la disciplina del personale della Corte dei conti); dell’art. 4 della
legge 13 ottobre 1969, n. 691 (norme integrative della legge 20
dicembre 1961, n. 1345, relativa alla Corte dei conti), promosso con
ordinanza, depositata il 12 febbraio 1976, della Corte dei conti –
sezioni riunite -, sul ricorso di De Pascalis Tommaso, iscritta al n.
236 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 125 del 12 maggio 1976.
Visto l’atto di costituzione di De Pascalis Tommaso; udito
nell’udienza pubblica del 28 giugno 1978 il Giudice relatore Arnaldo
Maccarone;
udito l’avv. Elio Clarizia, per De Pascalis.
1. – Con ordinanza emessa il 12 febbraio 1976 nel giudizio promosso
dal dott. Tommaso De Pascalis avverso i rapporti informativi relativi
alla attività da lui svolta in qualità di primo referendario della
Corte dei conti negli anni 1969, 1970 e 1974, le Sezioni riunite della
Corte medesima hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 101,
secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale: a) dell’art.
29, r.d. 12 ottobre 1933, n. 1364 (Regolamento per la carriera e la
disciplina del personale della Corte dei conti), per il quale “alla
fine di ogni anno i presidenti di sezione, il procuratore generale e il
segretario generale trasmettono al presidente un rapporto informativo
riservato sull’attività dei magistrati da essi dipendenti”; b)
dell’art. 4 legge 13 ottobre 1969, n. 691 (recante norme integrative
della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, relativa alla Corte dei conti),
il quale dispone che il rapporto informativo sopra menzionato deve
essere comunicato integralmente all’interessato.
2. – Nell’ordinanza si osserva, preliminarmente, che il r.d. 12
ottobre 1933, n. 1364, è stato emanato in virtù della delega
legislativa disposta con l’art. 32 legge 3 aprile 1933, n. 255, e
disciplina una materia attinente all’ordinamento della Corte dei conti,
la quale all’epoca in cui fu emanato era già coperta da riserva di
legge in virtù di quanto stabilito dall’art. 1, secondo comma, legge
31 gennaio 1926, n. 100. Tali elementi, secondo il giudice a quo
sarebbero più che sufficienti per ritenere che il decreto in
questione, quantunque rechi nella intestazione la denominazione di
“regolamento”, sia dotato di forza di legge. Comunque, ogni dubbio in
proposito, almeno per quanto attiene alla disposizione impugnata (art.
29), sarebbe superato dalla circostanza che detta norma è stata
richiamata e recepita dall’art. 4 della legge 13 ottobre 1969, n. 691,
assumendo così natura di legge ordinaria.
Nel merito, si assume che le norme denunziate impediscono – in
concreto – ai referendari e ai primi referendari della Corte dei conti
di avvalersi della tutela giurisdizionale la quale, a norma dell’art.
24, comma primo, della Costituzione, deve essere garantita a tutti;
compromettono la formazione e l’espressione del libero convincimento da
parte dei medesimi, in violazione dei principi sanciti negli artt. 101,
secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della
Costituzione; determinano, infine, una irrazionale discriminazione
lesiva del principio di uguaglianza, in danno di tali categorie di
magistrati rispetto ai Consiglieri e ai vice-procuratori generali della
Corte dei conti, ai magistrati ordinari e a quelli addetti ai tribunali
amministrativi, per i quali non è prevista la redazione di un rapporto
informativo annuale.
3. – L’ordinanza è stata ritualmente comunicata, notificata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 12 maggio 1976.
Nel giudizio si è costituito il dr. Tommaso De Pascalis, chiedendo
che le norme denunziate siano dichiarate costituzionalmente
illegittime.
Non è invece intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – La Corte è chiamata a decidere se l’art. 29 del Regolamento
per la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti,
approvato con il R.D. 12 ottobre 1933, n. 1364 (per il quale “alla fine
di ogni anno i presidenti di sezione, il procuratore generale e il
segretario generale trasmettono al presidente un rapporto informativo
riservato sull’attività dei magistrati da essi dipendenti) e l’art. 4
della legge 13 ottobre 1969, n. 691, recante norme integrative della
legge 20 dicembre 1961, n. 1345, relativa alla Corte dei conti (il
quale dispone che il rapporto informativo deve essere comunicato
integralmente all’interessato) violino gli artt. 3, 24, primo comma,
101, secondo comma, 107, terzo comma, 108, secondo comma, della
Costituzione.
Secondo il giudice a quo le norme impugnate:
a) priverebbero, in concreto, i referendari e i primi referendari
della Corte dei conti della possibilità di avvalersi della tutela
giurisdizionale che a norma dell’art. 24, comma primo, della
Costituzione, deve essere garantita a tutti. Ciò in quanto, i giudizi
e gli apprezzamenti contenuti nei rapporti informativi potrebbero
essere formulati facendo ricorso ad espressioni dal significato assai
dubbio e tali, comunque, da non consentire agli interessati di
intendere il loro esatto valore. E non essendo prevista impugnazione di
merito, ne risulterebbe menomato il diritto di difesa;
b) comprometterebbero la formazione e l’espressione del libero
convincimento dei referendari e dei primi referendari, i quali
verrebbero a trovarsi in una posizione di subordinazione rispetto ai
magistrati cui è demandata la redazione del rapporto informativo
sull’attività da essi svolta;
c) determinerebbero una situazione di ingiustificata disparità di
trattamento tra i consiglieri e i vice procuratori generali della Corte
dei conti (che non sono assoggettati al rapporto informativo) e i
referendari e i primi referendari della Corte medesima (cui, invece, le
disposizioni denunziate sono pienamente applicabili), nonché tra
questi ultimi, i magistrati ordinari e quelli addetti ai Tribunali
Regionali Amministrativi, per i quali neppure è prevista la redazione
di un rapporto informativo annuale.
2. – Preliminarmente, va identificata la natura giuridica dell’art.
29 del già citato R.D. 12 ottobre 1933, n. 1364, al fine di stabilire
se esso abbia o meno forza di legge e sia di conseguenza soggetto al
sindacato di legittimità costituzionale.
La disposizione in disamina è compresa nel R.D. 12 ottobre 1933,
n. 1364 che contiene l’approvazione del regolamento per la carriera e
la disciplina del personale della Corte dei conti, emanato in base
all’art. 32 della legge 3 aprile 1933, n. 255, il quale appunto
disponeva che, con decreto reale, a relazione del Capo del Governo e su
proposta della Corte dei conti, dovevano essere stabilite le norme per
la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti.
Pur se qualificato regolamento dal provvedimento che lo approva,
quel complesso normativo non ne presenta i requisiti formali,
difettando la deliberazione del Consiglio dei Ministri ed il parere del
Consiglio di Stato, necessari in base all’art. 1 della legge 31 gennaio
1926, n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme
giuridiche. Pertanto non appare infondato il dubbio che tale
denominazione non sia stata adottata in senso tecnico ma soltanto per
indicare il complesso delle disposizioni volte a disciplinare quella
materia.
Inoltre la forma del regolamento non sarebbe stata idonea allo
scopo, trattandosi di regolare un settore coperto da riserva di legge.
Infatti l’art. 1, ultimo comma, della legge 31 gennaio 1926, n. 100,
disponeva che fossero stabilite per legge le norme concernenti
l’ordinamento del Consiglio di Stato e della Corte dei conti nonché le
guarentigie dei magistrati. E la dottrina ha inteso in senso lato tale
precetto comprendendovi organi, funzioni e attribuzioni. Né consta che
la legge n. 255 del 1933 abbia inteso degradare la disciplina della
materia già riservata alla legge a livello regolamentare.
Già per queste ragioni l’anzidetto decreto n. 1364 del 1933 può
essere considerato come espressione di una potestà legislativa sia
pure anomala, conferita al potere esecutivo con l’art. 32 della legge 3
aprile 1933, n. 255.
Né sembra decisivo in contrario il rilievo che difetti la
deliberazione del Consiglio dei Ministri, necessaria per l’art. 3 della
legge n. 100 del 1926. La citata legge n. 255 del 1933 (di natura
costituzionale, agli effetti dell’art. 12 della legge 9 dicembre 1928,
n. 2693) contiene infatti l’attribuzione di una potestà normativa
primaria del tutto sui generis, operata al di fuori degli schemi
indicati dalla legge n. 100 del 1926, quanto all’esercizio della
funzione legislativa da parte del potere esecutivo; non può pertanto
contestarsi che gli atti previsti dall’art. 32 della legge n. 255 del
1933 siano assimilabili a quelli aventi forza di legge.
La deroga agli schemi tipici è probabilmente dovuta alla
tradizione legislativa, in quel tempo operante, di attribuire in
materia una potestà di proposta alla Corte dei conti, la quale sin
dalla sua istituzione ha provveduto con norme proprie a regolare
l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi (articolo 50 legge 14
agosto 1862, n. 800), conservando tale attribuzione sino all’emanazione
del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3084, il cui art. 8, modificando il
precedente sistema, prevedeva che le norme sulla carriera e disciplina
del personale della Corte dei conti dovevano essere approvate con
decreto reale, sulla proposta delle sezioni riunite della stessa Corte.
Tale potestà è stata confermata sia dall’art. 32 della legge n. 255
del 1933 per quanto riguarda le norme sul personale e sia dall’art. 35
della stessa legge – con l’espresso richiamo dell’art. 32 – per quanto
concerne la riunione in un testo unico delle norme riguardanti
l’ordinamento della Corte dei conti con l’introduzione delle
disposizioni complementari e integrative necessarie.
L’attribuzione di tale ultima facoltà, indubbiamente conferisce al
potere esecutivo una funzione legislativa. E la previsione che
l’esercizio di essa avvenisse nei modi previsti dall’art. 32, conferma
che anche con questa disposizione si è voluta conferire una potestà
legislativa per quanto riguarda la carriera e la disciplina del
personale, fuori degli schemi tipici previsti dall’ordinamento in quel
tempo vigente.
Deve di conseguenza ritenersi che la norma denunziata abbia forza
di legge e come tale sia soggetta al sindacato di questa Corte, a
termini dell’art. 134 Cost. E d’altra parte significativo che l’obbligo
di comunicare all’interessato il contenuto del rapporto informativo
abbia successivamente trovato la sua disciplina in una disposizione di
una legge formale (art. 4 legge 13 ottobre 1969, n. 691), sul
presupposto che anche nel vigente ordinamento la materia va regolata
con legge.
3. – Nel merito, i dubbi sollevati dal giudice a quo circa la
legittimità costituzionale delle disposizioni denunziate non sono
fondati. Ciò vale, innanzitutto, per quelli prospettati con
riferimento all’art. 24, comma primo, della Costituzione a norma del
quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti
ed interessi legittimi”.
Al riguardo si deduce, nell’ordinanza di rimessione, che il difetto
totale di criteri di valutazione per la compilazione dei rapporti
informativi legittimerebbe il ricorso ad espressioni stereotipate e di
incerto significato, le quali non consentirebbero agli interessati di
coglierne il reale valore e, quindi, di tutelare nel modo più
appropriato i propri interessi in sede giurisdizionale. Possibilità,
quest’ultima, che sarebbe ulteriormente compromessa dalla mancata
previsione di un gravame che consenta un riesame, nel merito, delle
valutazioni espresse nei rapporti informativi.
Tali affermazioni non possono essere condivise.
Infatti, con l’entrata in vigore dell’art. 4 della legge 13 ottobre
1969, n. 691, che ne ha prescritto l’integrale comunicazione agli
interessati, il rapporto informativo annuale relativo all’attività
svolta dai referendari e dai primi referendari della Corte dei conti ha
perso ogni carattere di segretezza.
La nuova disciplina ha inteso così assicurare l’effettiva e
completa conoscenza delle valutazioni e degli apprezzamenti ai soggetti
cui essi direttamente si riferiscono. Pertanto non v’ha dubbio che la
presenza, nel rapporto, di giudizi contraddittori o non
sufficientemente motivati o affetti da altri vizi comunque costituenti
eccesso di potere, lungi dall’essere consentita dalla legge, si pone in
specifico contrasto con il fine da essa perseguito e costituisce motivo
di impugnazione del rapporto medesimo, il quale, rivestendo carattere
di atto amministrativo definitivo, è impugnabile in sede
giurisdizionale con i mezzi e le forme stabiliti dalle disposizioni
relative ai ricorsi del personale della Corte dei conti attinenti al
rapporto di impiego.
È vero che l’impugnazione è prevista solo per motivi di
legittimità e non anche di merito, ma a tacer d’altro ciò non
comporta certo violazione del principio enunciato nel primo comma
dell’art. 24 della Costituzione, il cui rispetto non esclude – secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte – che il legislatore
ordinario possa disciplinare i mezzi di tutela dei diritti e degli
interessi legittimi, ampliando o restringendo le relative facoltà, in
funzione delle peculiari caratteristiche dei diversi tipi di
procedimento e dei superiori interessi di giustizia cui sono
rispettivamente preordinate.
Appare quindi evidente l’insussistenza, sotto i profili
considerati, di ogni motivo di contrasto tra le norme denunziate e
l’art. 24 della Costituzione.
4. – A conclusioni non diverse deve giungersi per quanto attiene al
prospettato contrasto con gli artt. 101, secondo comma, 107, terzo
comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, relativi
all’indipendenza della funzione giurisdizionale.
A riguardo non può non rilevarsi che questa Corte ha, con
reiterate pronunzie, statuito (e proprio con riferimento ai magistrati
ordinari) che le disposizioni sopra ricordate comportano il
riconoscimento di una posizione di assoluta parificazione fra i
magistrati solo per quanto riguarda l’esercizio delle funzioni
istituzionali e degli atti ai quali esse si ricollegano (i quali
debbono essere emanati in base alla legge e sono sottratti a qualsiasi
sindacato che non sia quello espressamente preveduto da leggi
processuali) ma non anche per quel che concerne la posizione che, al di
fuori delle predette funzioni, essi assumono nell’ordinamento
giudiziario (sent. nn. 168 del 1963; 80 del 1970 e 143 del 1973). Dette
disposizioni, pertanto, non escludono una differenziazione delle
posizioni soggettive dei singoli appartenenti all’ordine giudiziario
né l’esistenza, nel suo ambito, di uffici direttivi (sent. nn. 80 del
1970 e 143 del 1973). D’altra parte, l’esigenza di assicurare la
continuità della funzione giurisdizionale richiede che le persone
investite del suo esercizio siano soggette a specifici doveri che si
collocano in rapporto di strumentalità rispetto a quello,
fondamentale, di interpretare e applicare le leggi.
In questo quadro pienamente si giustifica l’istituto del rapporto
informativo annuale previsto dalle disposizioni denunziate, il quale va
visto non già come espressione di un potere gerarchico idoneo ad
influire sul contenuto delle decisioni dei singoli magistrati (il che
sarebbe certamente incompatibile con il dettato costituzionale) ma,
invece, come strumento di valutazione delle attitudini professionali
dei predetti, a garanzia del miglior andamento dell’attività cui essi
sono preposti.
5. – Le sopra esposte considerazioni rendono evidente che le norme
denunziate non violano neppure il principio di uguaglianza. Per quanto
si è detto, il rapporto informativo in questione non solo non comporta
alcuna menomazione della tutela giurisdizionale e dell’indipendenza dei
referendari e dei primi referendari della Corte dei conti, ma risponde
alla esigenza, costituzionalmente apprezzabile, di assicurare il
miglior svolgimento dell’attività cui tali soggetti sono preposti;
tanto più che detto rapporto, sebbene redatto annualmente, è
soprattutto diretto ad acquisire elementi obiettivi sulla base dei
quali possa essere effettuato, ogni qualvolta occorra, il giudizio
sulla promovibilità di ciascun interessato.
Dal punto di vista dell’art. 3, primo comma, della Costituzione, la
tutela del principio di eguaglianza in tema di rapporti informativi va
coordinata con la salvaguardia dei sistemi di valutazione dei
magistrati della Corte dei conti ai fini della progressione nelle
funzioni, che fondamentalmente trovano riscontro in analoghe
disposizioni per la magistratura ordinaria.
Ciò dispensa dal considerare in quale misura, in relazione alla
posizione e ai compiti istituzionalmente attribuiti alle diverse
categorie di tali magistrati, difetti nelle situazioni poste a
raffronto quella equivalenza di condizioni che costituisce il
presupposto per l’applicazione dell’art. 3; il quale – come è noto –
non corrisponde peraltro ad un criterio di mera uguaglianza formale e
perciò consente al legislatore di dettare norme diverse per regolare
situazioni che egli ritenga diverse, entro un margine di
discrezionalità che giustifichi sostanzialmente il criterio di
differenziazione adottato.
6. – Corrispondentemente spetterà al legislatore valutare se la
parità di trattamento tra le varie categorie di magistrati della Corte
dei conti non sarebbe più compiutamente assicurata da ” un globale
riesame della progressione nelle funzioni”, con particolare riguardo
alle modalità temporali di redazione dei rapporti informativi, secondo
i criteri indicati da questa Corte nella sentenza n. 1 del 1978.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 29 R.D. 12 ottobre 1933, n. 1364 (Regolamento per la carriera
e la disciplina del personale della Corte dei conti) e dell’art. 4
legge 13 ottobre 1969, n. 691 (Norme integrative della legge 20
dicembre 1961, n. 1345, relativa alla Corte dei conti) sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 24, comma primo, 101, comma secondo, 107,
comma terzo, e 108, comma secondo, della Costituzione, dalle sezioni
riunite della Corte dei conti con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1978.
F.to: LEONETTO AMADEI – EDOARDO
VOLTERRA – GUIDO ASTUTI – MICHELE
ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO –
LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere