Sentenza N. 75 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
06/12/1965
Data deposito/pubblicazione
06/12/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
01/12/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
negli artt. 2, secondo comma, n. 5, e 3, secondo comma, della legge 5
luglio 1965, n. 798, recante modifiche alle leggi 8 gennaio 1952, n. 6,
e 25 febbraio 1963, n. 289, riguardanti la previdenza ed assistenza
forense, promosso con ordinanza emessa dalla Corte costituzionale l’11
novembre 1965 nel corso del giudizio di legittimità costituzionale
dell’art. 4, secondo comma, del R.D.L. 5 marzo 1942, n. 186, iscritta
al n. 208 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, n. 284 del 13 novembre 1965.
Visto l’atto di costituzione dell’Amministrazione delle finanze
dello Stato;
udita nell’udienza pubblica del 1 dicembre 1965 la relazione del
Giudice Giuseppe Branca;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna
per l’Amministrazione finanziaria.
1. – La Commissione provinciale delle imposte dirette e indirette
di Ascoli Piceno, con ordinanza del 20 giugno 1963, aveva denunciato,
per contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, l’art. 4,
secondo comma, della legge 5 marzo 1942, n. 186.
L’Amministrazione finanziaria dello Stato si era costituita con
atto del 4 agosto 1964 contestando le affermazioni dell’ordinanza di
rinvio.
2. – La causa è andata in udienza il 10 novembre 1965, ma
successivamente la Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio
per deciderla, con ordinanza 11 novembre 1965 ha sollevato davanti a se
stessa, come pregiudiziale, la questione di costituzionalità degli
artt. 2, secondo comma, n. 5, e 3, secondo comma, della legge 5 luglio
1965, n. 798.
Queste norme impongono la corresponsione di due tipi di contributi,
uno dei quali colpisce anche i difensori che esercitano il proprio
ministero presso la Corte costituzionale (art. 2) e l’altro si
riferisce anche ai provvedimenti della stessa Corte (prima copia) e
grava su chi è tenuto a pagare o ad anticipare le spese del giudizio
(art. 3). Le due disposizioni sono state denunciate da questa Corte per
contrasto con l’assoluta gratuità degli atti del procedimento di
legittimità costituzionale, e cioè con un principio che sarebbe
desumibile dagli artt. 134 e 137 della Costituzione e dalle leggi
costituzionali 9 febbraio 1948, n. 1, e 11 marzo 1953, n. 1, e recepito
nell’art. 21 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e nell’art. 3 della
legge 18 marzo 1958, n. 265.
3. – Nelle deduzioni del 23 novembre 1965 l’Amministrazione
finanziaria dello Stato aderisce ai rilievi contenuti nella predetta
ordinanza di questa Corte.
1. – I due giudizi, quello promosso incidentalmente dalla Corte
costituzionale e quello promosso dalla Commissione delle imposte di
Ascoli Piceno, devono essere decisi con due sentenze separate: essi
infatti hanno oggetti diversi, anche se la pregiudizialità dell’uno
rispetto all’altro ne ha reso opportuna la discussione congiunta.
2. – La questione, sollevata incidentalmente dalla Corte
costituzionale e relativa agli artt. 2 e 3 della legge 5 luglio 1965,
n. 798, è fondata.
L’art. 2 impone, fra l’altro, agli avvocati, che esercitano il
proprio ministero presso la Corte costituzionale, un contributo che si
riscuote evidentemente con l’applicazione di marche da parte della
cancelleria; l’art. 3 fa gravare, su chi deve pagare o anticipare le
spese di giudizio, un altro contributo, che si riferisce anche ai
provvedimenti della Corte costituzionale (prima copia) e si riscuote in
modo analogo. Le due disposizioni, come già la legge 25 febbraio 1963,
n. 289, hanno dunque derogato all’assoluta gratuità che caratterizza i
giudizi davanti a questa Corte.
Che tali procedimenti debbano essere del tutto gratuiti è
principio connaturato al sistema della giustizia costituzionale (art.
134 e segg. della Costituzione); nella quale appunto l’interesse, che
si deve tutelare, è quello obiettivo e generale di eliminare
dall’ordinamento gli atti contrari a norme costituzionali. Non si nega
infatti che le parti, comunque esse si vogliano qualificare, siano o
possano essere mosse da interessi propri o personali; ma si vuol dire
che questi interessi, pur essendo presenti, non affiorano nell’arco del
giudizio, tutto spiegato verso la sola attuazione di quel fine
obiettivo. Ne sono conferma le norme che riservano la proposizione del
giudizio di legittimità costituzionale solo all’autorità giudiziaria
(giudizio promosso in via incidentale anche d’ufficio) o a soggetti
muniti di potestà legislativa (giudizio proposto in via principale) e
consentono al Presidente del Consiglio dei Ministri o della Giunta
regionale di intervenirvi.
3. – Dato ciò, il giudizio di legittimità costituzionale, pur
ammettendo la partecipazione di parti private, si svolge al di sopra
dei loro interessi e non consente ostacoli, anche lievi o indiretti, al
proprio svolgimento. Ne deriva che ad esso è naturalmente estraneo
ogni concetto di soccombenza: non vi sono né vincitori né vinti,
rispetto al fine che lo domina, mentre qualunque adempimento
pecuniario, anche esiguo, può costituire una remora a quella ampia
collaborazione che, nei limiti previsti dalla legge, è innegabilmente
utile o perfino necessaria.
Questo spiega come le leggi n. 87 del 1953 (art. 21), n. 265 del
1958 (art. 3) oltreché le Norme integrative approvate dalla Corte
costituzionale (artt. 16 e 30) escludano imposizioni tributarie e
condanne nelle spese. Si tratta di norme che non hanno valore
costituzionale, ma è indubbio che esse svolgono principi già
contenuti nel sistema costituzionale; tale è fra l’altro il
significato del rinvio che alla prima di esse è fatto dalla legge
costituzionale 1953 n. 1, art. 1. Del resto i precetti costituzionali,
cioè gli artt. 134 e segg. della Costituzione e il primo articolo
delle leggi n. 1 del 1948 e n. 1 del 1953, attribuendo a questa Corte
il compito di difesa dell’ordinamento costituzionale, non possono
consentire che siano colpiti da oneri pecuniari, che appesantiscono il
corso del giudizio, proprio coloro che collaborano a tale funzione.
4. – Analoghe considerazioni valgono per i giudizi che risolvono
conflitti di attribuzione e per i giudizi di responsabilità del Capo
dello Stato e dei Ministri: i primi riguardano atti di cui si denuncia
il contrasto con norme costituzionali; i secondi, riguardando soggetti
che sono ai vertici dello Stato, coinvolgono principi, procedimenti e
garanzie di ordine costituzionale.
5. – La legge 25 febbraio 1963, n. 289, negli artt. 3 e 4, aveva
contenuto analogo a quella denunciata: perciò anche di essa, per gli
effetti che possano ancora derivarne, si deve dichiarare la
illegittimità costituzionale in applicazione dell’art. 27 della legge
11 marzo 1953, n. 87.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 della legge
5 luglio 1965, n. 798, nelle parole “alla Corte costituzionale” e 3
della stessa legge nelle parole “della Corte costituzionale”;
dichiara inoltre, a norma dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953,
n. 87, l’illegittimità costituzionale degli artt. 3 della legge 25
febbraio 1963, n. 289, nelle parole “alla Corte costituzionale” e 4
della stessa legge nelle parole “della Corte costituzionale”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 dicembre 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO.