Sentenza N. 76 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
11/04/1969
Data deposito/pubblicazione
11/04/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/03/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE,
Giudici,
secondo, del contratto collettivo nazionale 23 dicembre 1939, tuttora
in vigore ex art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 23
novembre 1944, n. 369, promosso con ordinanza emessa il 15 giugno 1967
dal tribunale di Belluno nel procedimento civile vertente tra Tisot
Antonio e l’I.N.A.M., iscritta al n. 161 del Registro ordinanze 1967 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 2
settembre 1967.
Visti gli atti di costituzione di Tisot Antonio e dell’I.N.A.M. e
d’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 12 marzo 1969 la relazione del
Giudice Giuseppe Branca;
uditi gli avvocati Ugo Novelli e Agostino Perale, per il Tisot,
l’avv. Arturo Carlo Jemolo, per l’I.N.A.M., ed il sostituto Avvocato
generale dello Stato Vito Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
1. – Nel corso d’un giudizio civile, proposto dal signor Antonio
Tisot nei confronti dell’I.N.A.M., il tribunale di Belluno, con
ordinanza 15 giugno 1967, sollevava questione di legittimità
costituzionale dell’art. 6, comma secondo, del contratto collettivo
nazionale 23 dicembre 1939, tuttora in vigore ex art. 43 del decreto
legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369. La norma non
consente ai familiari degli impiegati dell’industria il ricovero a
spese dell’I.N.A.M., per malattie nervose o mentali e ad andamento
cronico. Perciò contrasterebbe con l’art. 38 della Costituzione, che
vuole l’assicurazione, da parte di organi e istituti predisposti o
integrati dallo Stato, di mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso
di malattia e non può non riferirsi ai familiari del prestatore
d’opera: se restassero a carico del lavoratore proprio le spese di
spedalità per le malattie più costose che colpiscano la sua famiglia,
verrebbe meno quella garanzia d’un’esistenza “libera e dignitosa” che
riposa nell’art. 36 della Costituzione.
La difesa del Tisot, nelle deduzioni depositate il 9 settembre
1967, sostiene innanzi tutto la proponibilità della questione (il
contratto collettivo 23 dicembre 1939 ha forza di legge in virtù
dell’art. 7 legge Il gennaio 1943, n. 138, istitutiva dell’I.N.A.M., o
del citato art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 1944, n.
369, che mantiene in vita i contratti collettivi resi obbligatori erga
omnes dalla legge 3 aprile 1926, n. 563); afferma tuttavia che il
contratto impugnato (art. 6, comma secondo) non sarebbe applicabile al
caso di specie (e che perciò la Corte potrebbe emanare una sentenza
interpretativa di rigetto) poiché i limiti e le modalità relative
alla assistenza dei familiari dovevano ricavarsi (secondo la legge
istitutiva dell’I.N.A.M. del 1943) non dai contratti collettivi
preesistenti, come quello denunciato, ma dai contratti futuri (che
mancano); conclude infine chiedendo che, se non si accetta questa
interpretazione, l’art. 6 sia dichiarato illegittimo per i motivi
espressi nell’ordinanza di rinvio: che l’art. 38 della Costituzione
garantisca anche l’assistenza ai familiari del lavoratore, sarebbe
provato perfino dalla precedente, citata legge istitutiva
dell’I.N.A.M., che soccorre anche costoro.
2. – L’I.N.A.M., nelle deduzioni presentate il 1 agosto 1967,
premette che un antico contratto collettivo, qualora gli si riconosca
forza di legge, resta sempre un contratto: impegni o rinuncie, che
contenga, potranno rivelarsi contrastanti con la Costituzione, emanata
successivamente, e perciò inefficaci; ma non si potrà dichiarare
l’incostituzionalità dell’accordo solo perché una parte avrebbe ora
maggiori diritti di quanto esso le attribuiva: se questi maggiori
diritti derivassero da una legge ordinaria o dalla Costituzione,
avrebbero efficacia automatica senza bisogno d’una dichiarazione di
incostituzionalità del contratto.
Comunque, secondo la difesa dell’I.N.A.M., né la legislazione
ordinaria, né l’art. 38 della Costituzione estendono le misure
assistenziali alle malattie mentali o croniche. La norma costituzionale
enuncia solo un principio che dovrà realizzarsi con leggi future, un
ideale che non ha trovato finora piena attuazione. L’assistenza
malattie ha incontrato e incontra ancora limiti che sono direttamente
connessi con la misura dei contributi corrisposti dai datori di lavoro:
limiti che inoltre hanno una propria giustificazione per le malattie
mentali, dato che queste, a differenza delle altre, non costituiscono
un semplice episodio della vita del lavoratore e non consentono le
normali forme d’assistenza, per così dire, “di massa”; tanto che in
tutta la nostra tradizione legislativa esse hanno sempre avuto un
capitolo a parte. La norma, che s’è adeguata a questa realtà, non
violerebbe perciò la Costituzione.
3. – Nell’atto d’intervento del Presidente del Consiglio,
depositato il 21 settembre 1967, l’Avvocatura dello Stato argomenta in
modo analogo alla difesa dell’I.N.A.M.
4. – Le parti hanno presentato memorie: quella della Avvocatura
dello Stato richiama la sentenza 1963 n. 1 della Corte costituzionale,
che ha negato forza di legge alle norme corporative.
5. – Nella discussione orale si sono riassunte e chiarite le difese
scritte.
È stato denunciato, per contrasto con l’art. 38 della
Costituzione, l’art. 6, comma secondo, del contratto collettivo
nazionale 23 dicembre 1939, tuttora vigente ex art. 43 del decreto
legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369.
La questione è inammissibile, come risulta anche dalla precedente
sentenza 1963 n. 1 della Corte costituzionale.
Notoriamente i contratti collettivi, come gli altri atti normativi
previsti nell’art. 5 delle disposizioni sulla legge in generale, non
ebbero forza di legge nel sistema in cui sorsero, tanto che non
potevano derogare neanche alle disposizioni imperative dei regolamenti
(art. 7 delle disposizioni sulla legge in generale). Caduto questo
sistema, il decreto legislativo luogotenenziale 1944 n. 369 (art. 43)
non dette forza di legge alle norme corporative, ma si limitò a
mantenere inalterata la loro originaria efficacia: non “legificò” tali
norme, ma riconobbe agli atti che le avevano poste la permanenza
dell’antico vigore. Non a caso nuovi contratti collettivi possono
“modificarle” con effetto per gli iscritti alle associazioni che li
stipulino: ciò proprio in virtù dello stesso decreto legislativo
luogotenenziale 1944, n. 369, che verosimilmente non lo avrebbe
consentito se avesse inteso attribuire forza di legge all’insieme delle
norme corporative mantenute in efficienza; rispetto alle quali pertanto
non si possono sollevare questioni di legittimità costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione, sollevata, con ordinanza 15
giugno 1967 del tribunale di Belluno in riferimento all’art. 38 della
Costituzione, sulla legittimità costituzionale dell’art. 6, comma
secondo, del contratto collettivo nazionale 23 dicembre 1939 in vigore
ex art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n.
369.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE