Sentenza N. 76 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
25/05/1970
Data deposito/pubblicazione
25/05/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/05/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
2, 3, 4, secondo comma, 5 e 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423
(misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la
sicurezza e per la pubblica moralità), promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanza emessa il 13 dicembre 1968 dal tribunale di Torino nel
procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione nei confronti
di D’Angela Matilde, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 1969 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 del 26
febbraio 1969;
2) ordinanza emessa il 19 dicembre 1968 dal pretore di Torino nel
procedimento penale a carico di Di Dedda Guerrino, iscritta al n. 20
del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 66 del 12 marzo 1969;
3) ordinanza emessa il 31 gennaio 1969 dal tribunale di Vibo
Valentia nel procedimento penale a carico di Carrà Maria Rosa,
iscritta al n. 99 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 91 del 9 aprile 1969;
4) ordinanza emessa il 21 aprile 1969 dal tribunale di Milano nel
procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione nei confronti
di Sparisci Alberto, iscritta al n. 298 del registro ordinanze 1969 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 207 del 13
agosto 1969;
5) ordinanza emessa il 10 luglio 1969 dal tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di Sorrentino Alfonso, iscritta al n. 379
del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 280 del 5 novembre 1969;
6) ordinanza emessa il 18 settembre 1969 dal pretore di Novi Ligure
nel procedimento penale a carico di Fratino Anna Maria, iscritta al n.
404 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 299 del 26 novembre 1969;
7) ordinanza emessa il 10 luglio 1969 dal pretore di Legnano nel
procedimento penale a carico di Lorenzet Mirella, iscritta al n. 450
del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 24 del 28 gennaio 1970.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 aprile 1970 il Giudice relatore
Enzo Capalozza;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di un procedimento per l’applicazione di misure di
prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, iniziato nei
confronti di Matilde D’Angela, il tribunale di Torino, con ordinanza
del 13 dicembre 1968, su istanza della difesa, ha sollevato questione
di legittimità costituzionale dell’art. 4, secondo comma, della citata
legge, nella parte in cui, davanti al tribunale, l’assistenza tecnica
del difensore, in violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, della
Costituzione, è prevista come facoltativa e non obbligatoria.
Premesso che l’interesse a proporre l’eccezione sorgeva dal fatto
che il difensore di fiducia non era stato avvisato del deposito della
proposta del questore di applicazione della misura, il tribunale, sulla
non manifesta infondatezza della questione, richiamava la sentenza n.
53 del 1968 di questa Corte, la quale, nell’esporre i motivi
dell’illegittimità costituzionale degli artt. 636 e 637 del codice di
procedura penale sull’esecuzione delle misure di sicurezza – ai quali
espressamente rinvia l’art. 4 della citata legge – ebbe testualmente a
precisare che l’assistenza tecnica di un difensore è da rendere
“obbligatoria e non facoltativa, come invece è disposto, per analoghe
situazioni, dall’art. 4, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956,
sulle misure di prevenzione”.
La violazione del principio di eguaglianza viene, poi, prospettata
in considerazione della dipendenza dell’esercizio concreto della
facoltà della difesa dalle capacità economiche dell’interessato.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 26 febbraio 1969.
Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi è stata costituzione di
parte.
2. – La medesima disposizione è stata denunciata – per identiche
ragioni, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione,
e per violazione del principio di eguaglianza, a motivo della
diversità di posizione tra chi ha nominato e chi non ha nominato un
difensore – con ordinanza 19 dicembre 1968 del pretore di Torino, nel
corso di un procedimento a carico di Guerrino Di Dedda, imputato di
contravvenzione alle prescrizioni del decreto di sorveglianza.
Con la stessa ordinanza, il pretore ha anche sollevato la questione
di legittimità degli artt. 1 e 3 della citata legge del 1956, n. 1423,
in riferimento agli artt. 3, primo comma, 13, secondo comma, e 24,
secondo comma, della Costituzione, per l’indeterminatezza non già
delle categorie di cui all’art. 1 della stessa legge – indeterminatezza
esclusa da questa Corte con sentenza n. 23 del 1964 – bensì per
quella afferente al grado di pericolosità, la cui valutazione sarebbe
rimessa alla mera discrezione degli organi di polizia e, comunque, non
sarebbe fondata su criteri obiettivi, neppure se fosse da ritenere
affidata all’autorità giudiziaria.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 12 marzo 1969.
Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi è stata costituzione di
parte.
– La stessa questione, nei confronti dell’art. 4, secondo comma,
citato, con esplicito rinvio agli argomenti ivi esposti, è stata
promossa con altra successiva ordinanza del tribunale di Torino del 10
luglio 1969, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 280 del 5 novembre
1969, dopo le rituali notificazioni e comunicazioni. Neppure in questo
giudizio innanzi alla Corte vi è stata costituzione di parte.
4. – Nel corso del procedimento penale a carico di Maria Rosa
Carrà, il tribunale di Vibo Valentia, con ordinanza del 31 gennaio
1969, ritualmente notificata, comunicata e pubblicata, poi, nella
Gazzetta Ufficiale n. 91 del 9 aprile 1969, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2 della citata legge n. 1423,
nella parte in cui consente al questore di adottare provvedimenti
limitativi della libertà di soggiorno e circolazione, anche per motivi
di “moralità pubblica”, in riferimento all’art. 16 della Costituzione,
che prevede, invece, l’adozione di siffatti provvedimenti soltanto per
motivi di sanità e di sicurezza.
La stessa questione è stata sollevata dal pretore di Novi Ligure,
nel procedimento penale a carico di Anna Maria Fratino, con ordinanza
del 18 settembre 1969, pubblicata, dopo gli adempimenti di rito, nella
Gazzetta Ufficiale n. 299 del 26 novembre 1969.
Nei due giudizi innanzi a questa Corte non vi è stata costituzione
di parte.
5. – Nel corso di un procedimento penale per contravvenzione
all’ordine del questore di rientro al comune di residenza con foglio di
via obbligatorio a carico di Mirella Lorenzet, il pretore di Legnano,
con ordinanza del 10 luglio 1969, riteneva sia rilevante, sia diversa
da quelle già decise da questa Corte, sia non manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n.
1423 del 1956, unitamente all’art. 1 ivi esplicitamente richiamato, in
riferimento agli artt. 3, 13, secondo comma, e 24, secondo comma, della
Costituzione.
Ad avviso del pretore, l’indicazione delle categorie di persone,
contenuta nell ‘art. 1, sarebbe incompleta, oltre che conseguente alla
aprioristica valutazione di una scelta politica arbitraria, e, come
tale, “decisamente incostituzionale in relazione all’art. 3 della
Costituzione”, perché, non esaurendo la casistica dei tipi pericolosi,
isolerebbe da essa ed escluderebbe quelle altre persone che, pur non
rispondendo alle qualificazioni della norma denunziata, potrebbero, per
effettive e provate manifestazioni delinquenziali, essere altrettanto,
se non maggiormente pericolose.
La violazione della duplice riserva di legge di cui all’art. 13,
secondo comma, della Costituzione, viene, poi, prospettata in relazione
al potere discrezionale e insindacabile che si assume attribuito alla
pubblica amministrazione di stabilire quali, tra le persone indicate
dalla legge, siano da considerare pericolose, e di rimandarle al luogo
di residenza, non già operando una specificazione nel novero dei tipi
pericolosi previsti dalla norma, ma in forza di “criteri presuntivi
d’indole soggettiva, oggettiva e ambientale, seppure sorretta da note
comportamentali identificabili sul piano oggettivo”.
Sulla base della più recente giurisprudenza di questa Corte in
tema di diritti della difesa anche in relazione ad atti che, per quanto
fuori del processo, non sono estranei al giudizio, si afferma che il
provvedimento del questore e i propedeutici atti di polizia giudiziaria
si saldano nel contesto processuale e costituiscono, anzi, gli unici
elementi di cui il giudice può disporre per il suo convincimento; e si
assume la violazione dell’art. 24, secondo comma, della Costituzione
per la mancata previsione, nelle norme denunziate, di ogni garanzia
difensiva e dello stesso interrogatorio dell’imputato, durante gli atti
di polizia.
L’ordinanza, dopo le notifiche e comunicazioni di rito, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 28 gennaio 1970.
Non si è avuta costituzione di parte innanzi a questa Corte.
6. – Il tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 21 aprile
1969, nel corso del procedimento per l’applicazione della misura della
sorveglianza speciale nei confronti di Alberto Sparisci, ha sollevato
questioni di legittimità costituzionale, sotto vari profili, delle
norme contenute negli artt. 1, n. 3, 5 e 9 della più volte menzionata
legge del 1956, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 17, 18.25 e 27.
secondo e terzo comma. della Costituzione.
Nell’ordinanza si premette che, sulle questioni ora accennate,
questa Corte si sarebbe pronunziata solo in parte con le sentenze n. 27
del 1959 e n. 23 del 1964, e che, in ogni caso, l’intero istituto delle
misure di prevenzione, così come ripristinato sul modello del testo
unico fascista, deve essere rimesso in discussione.
Si osserva, infatti, che il potere del legislatore di disciplinare
le ridette misure, quando siano limitative delle libertà fondamentali,
non potrebbe trovare la sua giustificazione soltanto nel precetto di
cui all’art. 13 della Costituzione, dato il suo carattere di norma di
procedura e, quindi, strumentale rispetto ad altre norme costituzionali
che legittimino restrizioni alla libertà personale sul piano
sostanziale; e che, di conseguenza, per conservare, nel vigente
sistema, la stessa ammissibilità di misure ante delictum,
occorrerebbe, fra l’altro, equipararle a quelle post delictum, di cui
all’art. 25, terzo comma, della Costituzione, aventi analoga funzione
di sicurezza.
Neppure una tale soluzione, però, renderebbe, ad avviso del
tribunale, la vigente disciplina immune da censure, le quali, ai fini
della rilevanza della questione, vengono formulate in ordine ai
presupposti di cui all’art. 1, n. 3, ed al contenuto delle
prescrizioni della sorveglianza speciale di cui all’art. 5, nonché
alla relativa sanzione penale, prevista dall’art. 9 della legge del
1956.
Per quanto concerne i suindicati presupposti (art. 1, n 3), si
osserva che essi, non consistendo nella descrizione di situazioni e
comportamenti specifici, non vincolerebbero la misura a casi tassativi
legislativamente descritti, in contrasto con gli artt. 13 e 25, terzo
comma, della Costituzione; e violerebbero anche il precetto
costituzionale della presunzione di non colpevolezza – che, a
differenza di quanto affermato da questa Corte con sentenza n. 23 del
1964, si assume non riducibile alla sola materia penale – perché
consentirebbero l’applicazione della misura alla ricorrenza di
situazioni, anziché di pericolo, di mero sospetto.
Le disposizioni sul contenuto delle prescrizioni della sorveglianza
speciale (art. 5) e sulla relativa sanzione penale (art. 9) vengono,
poi, denunziate sia nel loro complesso, sia con riferimento a
prescrizioni singole.
Nel loro complesso, perché, essendo state ereditate dal T.U. del
1931, n. 773, nel quale avevano una funzione di discriminatoria difesa
del regime, provocherebbero una emarginazione della persona pericolosa,
esposta a dismisura ai rischi di incorrere nella contravvenzione e
così di ricadere nella vita da cui doveva essere distolta, nonché una
sua degradazione giuridica ed una deformazione del suo stato
costituzionale, in contrasto con gli artt. 2, 3, secondo comma, 25,
terzo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
Con riferimento specifico alle prescrizioni del “vivere
onestamente” e di “non dare ragioni di sospetto”, rispettivamente, si
sostiene che non è suscettibile di seri controlli l’individuazione dei
comportamenti vietati, essendo questi integralmente rimessi a pretese
norme di civiltà, né stabili né univoche nella società attuale,
eterogenea di fatto e pluralistica de iure; e che, essendo il sospetto
non una caratteristica intrinseca di dati comportamenti, ma il
risultato di valutazioni ad opera di terzi, il sospettato verrebbe
assoggetato ad una sanzione, senza che la legge gli fornisca a priori
idonee direttive cui commisurare la propria condotta.
Per entrambe le suddette prescrizioni, si denunzia, pertanto, la
violazione del principio di tassatività o determinatezza della legge
penale di cui all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, quale
logica conseguenza del principio di legalità ex art. 1 del codice
penale.
Alla medesima violazione, unitamente a quella del principio di
eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, darebbe, poi, luogo
la prescrizione di “rispettare le leggi”, sia per la mancata
indicazione delle categorie di leggi a cui la prescrizione si
riferisce, sia per la duplicità della sanzione: quella prevista dalla
legge comune e quella dell’art. 9 della legge del 1956: una
irragionevolezza di trattamento analoga a quella di cui all’art. 708
cod. pen., dichiarato illegittimo con sentenza n. 110 del 1968 da
questa Corte, proprio con riguardo al sorvegliato speciale.
In violazione degli artt. 2, 3, primo comma, e 18 della
Costituzione, si assume, altresì, la prescrizione, sulla quale questa
Corte si è già pronunciata con sentenza n. 27 del 1959, di “non
associarsi abitualmente” a persone pregiudicate o prevenute, in quanto,
nel suo indifferenziato divieto di relazioni che potrebbero anche
essere lecita estrinsecazione della loro personalità, esprimerebbe una
valutazione “degradata” della dignità sociale di certe classi di
persone, e si baserebbe su un sospetto a priori di pericolosità delle
suddette relazioni, ignorando l’eventualità della rieducazione e
precludendo la possibilità di un reinserimento sociale tentato in
comune, in formazioni o in rapporti di amicizia o di affetto.
La prescrizione concernente il divieto di partecipare a pubbliche
riunioni, sebbene ritenuta legittima da questa Corte con la sentenza n.
27 del 1959, sarebbe in contrasto con l’art. 17 della Costituzione, in
quanto l’esigenza – asserita in detta sentenza – di tenere lontani i
sorvegliati dalle occasioni di maggior pericolo, finirebbe, ad avviso
del tribunale, col rifarsi, al limite, ad una logica di regime, e cioè
a quella per cui l’esclusione dalle pubbliche riunioni tendeva
all’eliminazione sociale degli ammoniti antifascisti “pericolosi per
gli ordinamenti politici dello Stato”. Si osserva che, attualmente, il
diritto di riunione non subisce limitazioni soggettive, né è
condizionato a riserve di legge nel testo costituzionale, e che i
motivi di sicurezza potrebbero giustificare il divieto o lo
scioglimento di specifiche riunioni, soltanto per comprovata
pericolosità di esse è non dei singoli partecipanti.
Si aggiunge che la negazione del diritto di riunione non potrebbe
concepirsi come contenuto di misure di sicurezza, in quanto non è
concepibile che queste, le quali hanno e debbono avere finalità di
rieducazione e di reinserimento nella civile convivenza, escludano il
sorvegliato da ambienti e da occasioni – come le pubbliche riunioni –
che della convivenza e del libero espandersi della personalità
rappresentano una estrinsecazione essenziale e tipica, e gli neghino la
libertà di scegliere, partecipando a riunioni di confronto, di
propaganda o di dibattito, il proprio indirizzo etico – sociale.
In riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, e 25 della
Costituzione, si denunzia, infine, la disposizione contenuta nel quarto
comma dell’art. 5 della legge del 1956, sulle prescrizioni facoltative,
le quali, nonostante il pregio della adattabilità caso per caso (per
la loro illimitatezza e per il criterio di applicabilità, diretta
esclusivamente verso le esigenze della difesa sociale),
qualificherebbero l’orientamento autoritario di fondo delle vigenti
misure di prevenzione.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 13 agosto 1969.
Nel giudizio innanzi a questa Corte la parte privata non si è
costituita.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto con deduzioni
depositate il 2 settembre 1969, chiedendo che le questioni siano
dichiarate infondate.
L’Avvocatura generale, nel fare richiamo alle citate sentenze n. 27
del 1959 e n. 23 del 1964, deduce, in via generale, che la vigente
disciplina delle misure di prevenzione troverebbe il suo valido
presupposto nelle garanzie previste dall’art. 13 della Costituzione ed
il suo fondamento nella necessità che il pacifico ed ordinato
svolgimento dei rapporti sociali sia assicurato, oltre che da norme
repressive di fatti illeciti, da un insieme di misure idonee a
prevenire il verificarsi di tali fatti, in conformità alla stessa
esigenza riconosciuta negli art. 13, 16 e 17 della Costituzione.
Dovendo, poi, le misure suddette essere collegate, non al verificarsi
di fatti determinati, ma ad un complesso di comportamenti ritenuti
dalla legge come indice di pericolosità sociale, sarebbe consentito al
legislatore fare riferimento anche a dati presuntivi, dedotti da
atteggiamenti obiettivi, come nelle ipotesi dell’art. 1, n. 3, della
legge del 1956, né vaghe, né indeterminate.
Per quanto concerne, poi, le prescrizioni relative alla
sorveglianza speciale, l’Avvocatura ne esclude l’illegittimità,
perché esse, impedendo il contatto con ambienti ed individui
socialmente inquinati, indicherebbero, sia pure coattivamente, la
strada da percorrere per il raggiungimento di finalità educative.
In quanto si richiamerebbero a concetti ben noti, non sarebbero, in
particolare, da considerare indeterminate le prescrizioni di “vivere
onestamente”, di “non dar luogo a sospetto” e di “rispettare le leggi”,
né quest’ultima prescrizione violerebbe il principio di eguaglianza,
data la specialissima condizione del sorvegliato rispetto a chi
commetta identico reato.
Tenere lontano il sorvegliato da persone e da situazioni per lui
particolarmente pericolose rientrerebbe nella stessa finalità di
prevenzione: di qui i due divieti di non associarsi abitualmente a
persone già condannate o sottoposte a misure di sicurezza e di non
partecipare a pubbliche riunioni. Nell’accertamento della loro
violazione, spetterebbe sempre al giudice di tener conto del carattere
eccezionale di tali limitazioni di libertà e distinguere i contatti
che la legge presume pregiudizievoli da quelli normali ed innocui.
Data l’impossibilità di prevedere legislativamente tutte le
situazioni di pericolo per la difesa sociale, ad avviso della
Avvocatura, sarebbe, infine, da ritenersi immune da censura il potere
del giudice di imporre altre prescrizioni che ravvisi necessarie,
dovendo tale potere esercitarsi entro i limiti di legalità e nel
rispetto dell’ordinamento giuridico dello Stato.
1. – Le questioni sollevate con le sette ordinanze si riferiscono
allo stesso testo legislativo. Le relative cause sono state trattate
congiuntamente e possono essere decise con unica sentenza.
2. – Sono stati denunciati, per violazione degli artt. 2, 3, 13,
16, 17, 18, 24, 25 e 27 della Costituzione, gli artt. 1 (e per
relationem, l’art. 3), nonché gli artt. 2, 4, 5 e 9 della legge 27
dicembre 1956, n. 1423 (“Misure di prevenzione nei confronti delle
persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità”).
Le questioni sollevate per gli artt. 1, 2, 3, 5 e 9 sono state più
volte dichiarate infondate da questa Corte in riferimento ai richiamati
artt. 2, 3, 13, 16, 17, 25 e 27 della Costituzione (sentenze n. 27 del
1959, n. 45 del 1960, n. 126 del 1962, n. 23 del 1964, n. 68 del 1964 e
n. 32 del 1969).
Quanto all’assunta lesione dell’art. 3, primo comma, della
Costituzione, sotto il diverso profilo dell’irrazionale e
discriminatoria duplicazione della pena, per il fatto che colui che sia
sottoposto alla sorveglianza speciale debba rispondere, insieme, di
violazione degli obblighi particolari impostigli (art. 9) e di
violazione della norma di diritto comune che prevede un reato, tale
motivo non può essere accolto, perché altra è la situazione
soggettiva di chi commetta un reato rispetto a quella di chi lo
commetta essendo sorvegliato speciale.
Né ricorre la violazione dell’art. 3, secondo comma, dato che la
disciplina denunciata non priva il sorvegliato speciale del diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale dell’art. 38 della Costituzione.
Gli stessi criteri che sono stati adottati nella citata sentenza n.
27 del 1959, quanto al preteso contrasto con l’art. 17 della
Costituzione, valgono per la denunciata lesione dell’art. 18.
3 – Infondata è anche la questione di legittimità degli stessi
artt. 1 e 2, avanzata sotto il profilo della mancata previsione
dell’interrogatorio dell’inquisito, da parte del questore. La Corte
costituzionale ha ritenuto che l’interrogatorio dell’imputato sia
necessario solo quando si compiano atti istruttori. Ciò non può dirsi
per un procedimento che, come quello disciplinato dalla legge
impugnata, sfocia in provvedimenti di polizia di sicurezza non
preordinati al processo.
4. – Le doglianze, invece, sono fondate in ordine alla assunta
violazione, ad opera dell’art. 4, secondo comma, e dell’art. 24,
secondo comma, della Costituzione, per la omessa previsione
dell’assistenza tecnica obbligatoria del difensore (ordinanze del
pretore e del tribunale di Torino). E lo sono, per carenza del diritto
di difesa, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, la quale,
con la sentenza n. 53 del 1968, pronunciando l’illegittimità
costituzionale degli artt. 636 e 637 del codice di procedura penale, ha
già esposto i motivi dell’incostituzionalità dell’art. 4, secondo
comma, che a quelle due norme espressamente si richiama (v. anche
sentenza n. 69 del 6 maggio 1970).
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, secondo
comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (“misure di prevenzione
nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la
pubblica moralità”), nella parte in cui non prevede l’assistenza
obbligatoria del difensore;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 1 e 2 della stessa legge, sollevata con l’ordinanza 10
luglio 1969 del pretore di Legnano, in riferimento agli artt. 3, 13,
secondo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione;
3) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 5 e 9 della stessa
legge, sollevate dai pretori di Torino, di Legnano e di Novi Ligure e
dai tribunali di Vibo Valentia, di Torino e di Milano, con le ordinanze
indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 16, 17, 18,
25 e 27, secondo e terzo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.