Sentenza N. 77 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
11/04/1969
Data deposito/pubblicazione
11/04/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/03/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE,
Giudici,
decreto legge 29 luglio 1927, n. 1509 (provvedimenti per l’ordinamento
del credito agrario), convertito in legge 5 luglio 1928, n. 1760, e
successive modificazioni, e degli artt. 15, primo e secondo comma, e
16, secondo, terzo e quarto comma, della legge 21 luglio 1960, n. 739
(provvidenze per le zone agrarie danneggiate da calamità naturali e
provvidenze per le imprese industriali), promosse con ordinanza emessa
il 27 giugno 1967 dal tribunale di Matera nel procedimento civile
vertente tra Torre Angela e altri ed il Banco di Napoli e altri,
iscritta al n. 193 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 del 14 ottobre 1967.
Visti gli atti di costituzione di Torre Angela ed altri e del Banco
di Napoli, e d’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 12 marzo 1969 la relazione del
Giudice Giuseppe Chiarelli;
uditi l’avv. Giuseppe Tosatti, per Torre ed altri, l’avv. Leopoldo
Piccardi, per il Banco di Napoli, ed il sostituto avvocato generale
dello Stato Giovanni Albissini, per il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
Angela Torre e altri avevano concesso in locazione, nel 1961, a
Giuseppe Dilengite un fondo rustico denominato Matina Soprana in
tenimento di Grottale (Matera) per la durata di due anni; in seguito al
decesso del Dilengite, la locazione era stata convenzionalmente
prorogata con gli eredi fino al 15 agosto 1964. Cessato il rapporto coi
Dilengite, una parte del fondo veniva data in locazione ad Antonio
Leone e altri, e la restante parte a Nicola Ludovico, per la durata di
sei anni.
Con citazione notificata il 12-14 giugno 1965 i predetti
proprietari Torre ed i locatari Leone e Ludovico, premesso di essere
venuti a conoscenza che i Dilengite avevano ottenuto da vari istituti
esercenti il credito agrario, in relazione al fondo Matina Soprana,
prestiti di conduzione per ingenti importi ed anche con scadenza
successiva alla durata del rapporto locativo di cui erano titolari,
rilasciando cambiali agrarie rimaste in gran parte insoddisfatte,
convenivano in giudizio i detti istituti di credito, per sentir
dichiarare la inesistenza di qualsivoglia privilegio sui frutti del
fondo, ad essi opponibile ai sensi dell’art. 8 del decreto legge 29
luglio 1927, n. 1509, convertito in legge 5 luglio 1928, n. 1760,
modificato col decreto legge 29 luglio 1928, n. 2085, e disposizioni
connesse. In linea subordinata si eccepiva l’illegittimità
costituzionale delle dette disposizioni legislative, in riferimento
agli artt. 3, 23 e 42 della Costituzione.
Il tribunale di Matera, con ordinanza 27 giugno 1967, riteneva non
manifestamente infondata la questione solo rispetto all’art. 42 della
Costituzione. Si osserva nell’ordinanza che, per effetto delle
impugnate disposizioni, il proprietario, per il comportamento di un
altro soggetto e senza il concorso della propria volontà, vede
assoggettati i propri beni a un vincolo reale, e ristretta la sua
facoltà di godimento, che, per l’art. 42 della Costituzione, può
essere soppressa quando ricorrano “motivi di interesse generale”, ma
non può essere compressa o annullata per effetto del comportamento di
un soggetto diverso dal proprietario. Se si ammette, anche alla stregua
degli artt. 15 e 16 della legge 21 luglio 1960, n. 739, che ha
consentito la ratizzazione dei prestiti, che il privilegio possa
gravare sui frutti che, per l’avvenuta cessazione del rapporto
locativo, non appartengono più al conduttore, non sembra infondata la
tesi della violazione dell’art. 42 della Costituzione. L’ordinanza
rimetteva pertanto a questa Corte la questione di legittimità
costituzionale del citato art. 8 del regio decreto legge 29 luglio
1927, n. 1509, e degli artt. 15, primo e secondo comma, e 16, secondo,
terzo e quarto comma, della legge 21 luglio 1960, n. 739, in
riferimento all’art. 42 della Costituzione.
L’ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata.
Si sono costituiti nel presente giudizio i signori Torre, Leone e
Ludovico, rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Tosatti, con
deduzioni depositate il 28 agosto 1967. In esse si premette che la
giurisprudenza ritiene che il privilegio in questione può avere una
durata superiore a quella del rapporto locativo che fa capo al
debitore, con la conseguenza che può gravare su frutti che non
appartengono più a quest’ultimo, senza che il proprietario possa
impedire tali effetti. In ciò si ravvisa la violazione non solo
dell’art. 42, ma anche degli artt. 3 e 23 della Costituzione.
Si è anche costituito il Banco di Napoli, rappresentato e difeso
dall’avv. Leopoldo Piccardi, con deduzioni depositate il 28 agosto
1967, nelle quali si rileva preliminarmente che gli artt. 15 e 16 della
legge 739 del 1960 non possono formare oggetto di sindacato sotto il
profilo precisato dall’ordinanza, perché il loro contenuto è estraneo
alla censura da questa presa in considerazione. Quanto all’art. 8 del
regio decreto legge n. 1509 del 1927 si osserva che esso non viola
l’art. 42 della Costituzione, il quale prevede limiti alla proprietà,
allo scopo di assicurarne la funzione sociale, e va inteso in
correlazione con le altre norme della Costituzione relative ai rapporti
economici, nel cui quadro rientra la legislazione sul credito agrario.
Tali argomenti sono stati svolti in successiva memoria, nella quale
si osserva che il proprietario si arricchirebbe ingiustamente se
potesse far propri i frutti ottenuti con l’impiego di capitali
anticipati da altri, senza sopportare alcun onere per il rimborso di
essi. A sostegno della tesi della legittimità delle norme impugnate,
in quanto incidono su un rapporto contrattuale, si ricorda la
giurisprudenza della Corte relativa all’avviamento commerciale, alla
proroga dei contratti di locazione, alla risoluzione di canoni e via
dicendo. Per quanto riguarda la legge n. 739 del 1960 si insiste nel
rilevare che non ha formato oggetto di autonoma impugnativa, e
comunque, l’eccezione di illegittimità costituzionale sarebbe
infondata, perché la ragione della legge, emanata per far fronte alle
conseguenze di calamità naturali, giustifica i maggiori oneri che i
proprietari sono chiamati a sostenere. È intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’avvocato generale dello Stato, con atto depositato il 3 novembre
1967, in cui si rileva che la legislazione sul credito agrario investe
un rilevante interesse pubblico, di stimolo e incentivo alla
coltivazione dei terreni. L’art. 8 impugnato si armonizza con la
funzione sociale della proprietà, essendo giustificabile che il
privilegio, nel caso di mancata realizzazione del credito sui frutti
dell’anno, si estenda sui frutti dell’anno successivo, alla cui
realizzazione le somme erogate hanno contribuito. Ancora più evidente
è questa giustificazione per la legge n. 739 del 1960, emanata in
presenza di eccezionali momenti, e con esclusivo riferimento a zone
agricole danneggiate da calamità naturali.
Nella discussione orale i difensori delle parti hanno sviluppato i
rispettivi argomenti.
1. – Per precisare i termini del giudizio, va osservato che
l’ordinanza del tribunale di Matera ha rimesso a questa Corte la
questione di legittimità costituzionale delle norme impugnate con
riferimento all’art. 42 della Costituzione, ritenendola invece
manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3 e 23 della
Costituzione. Vanno perciò disattese le considerazioni svolte dalla
difesa Torre, nell’atto di costituzione, a proposito di questi ultimi
articoli.
Così determinato il thema decidendum, è da premettere che la
legge 5 luglio 1928, n. 1760 (di conversione del D.L. 29 luglio 1927,
n. 1509), regola le operazioni di credito agrario di esercizio,
riguardanti: “1) i prestiti per la conduzione delle aziende agrarie e
per la utilizzazione, manipolazione e trasformazione dei prodotti”
(art. 2; le altre operazioni ivi considerate non concernono il presente
giudizio). Per tali prestiti è stabilito che “avranno scadenza
rispettivamente alla epoca del raccolto o della completa utilizzazione
o trasformazione del prodotto” (art. 5). A garanzia dei detti prestiti,
l’art. 8 dispone che essi “sono privilegiati sopra i frutti pendenti e
quelli raccolti nell’anno della scadenza del prestito e sopra le
derrate che si trovano nelle abitazioni e fabbriche annesse ai fondi
rustici e provenienti dai medesimi”. Tale privilegio compete
all’Istituto mutuante “in confronto di chiunque possegga, coltivi e
conduca il fondo entro l’anno in cui scade il prestito o la singola
rata di esso. In caso di mancato o insufficiente raccolto il privilegio
si trasferisce sui frutti dell’annata successiva; purché il debitore
continui nella conduzione del fondo” (secondo comma dell’articolo,
modificato dal decreto legge 29 luglio 1928, n. 2085).
Dalle riportate norme si evince che beneficiario del prestito è il
conduttore dell’azienda, sia o non proprietario del fondo, e che
formano oggetto del privilegio i frutti dell’anno di scadenza del
prestito: scadenza che, per l’art. 5 innanzi riportato, si ha
“all’epoca del raccolto o della compiuta utilizzazione del prestito”.
La garanzia del prestito è pertanto costituita, come esattamente si
afferma nelle deduzioni del Banco di Napoli, da beni che sono stati
prodotti con l’attività del debitore e con l’utilizzazione del
prestito. La norma impugnata trova rispondenza nella norma generale
dell’art. 2757 del Codice civile, per la quale i crediti per le
somministrazioni e per i lavori di coltivazione e di raccolta
dell’annata agricola hanno privilegio sui frutti, alla cui produzione
abbiano concorso.
Trattasi di un privilegio di carattere reale, costituito per legge,
rispetto al quale, per questa sua natura, non può invocarsi il
principio della irrilevanza della res inter alios acta, e che può
essere esercitato contro chiunque, per il diritto di seguito, proprio
dei privilegi reali.
Non sussiste pertanto l’asserita violazione dell’art. 42 della
Costituzione.
Né, a giudizio della Corte, può ravvisarsi violazione di tale
articolo ove si ritenga, con la prevalente giurisprudenza, che la
durata del privilegio corrisponda all’anno di calendario successivo
alla scadenza del prestito, e che quindi possa essere esercitato sul
raccolto di tale anno, anche nel caso che il debitore abbia
precedentemente cessato la conduzione del fondo.
Va in proposito osservato che la disciplina del credito agrario è
intesa al conseguimento dei fini di utilità sociale della produzione
agricola e del suo incremento, rispetto ai quali si legittimano i
limiti ed i vincoli della proprietà privata, inerenti alla “funzione
sociale” di essa, e preordinati, per quanto riguarda la proprietà
terriera, al fine di “conseguire il razionale sfruttamento del suolo e
di stabilire equi rapporti sociali” (art. 44 della Costituzione).
La possibilità di far valere il privilegio nei confronti del terzo
(proprietario o nuovo conduttore del fondo) corrisponde agli indicati
scopi di interesse generale, di favorire il credito agrario, giacché,
se la si escludesse, la garanzia del prestito potrebbe essere
inoperante, e d’altronde l’utilità del suo impiego non si esaurisce
con la produzione dei frutti dell’annata, potendo derivare da esso un
vantaggio per la valorizzazione del fondo e la realizzazione dei frutti
successivi.
È anche da tener presente che la legge contiene norme dirette ad
assicurare che il prestito sia utilizzato per gli scopi per cui è
concesso (artt. 7 e 10), e il regolamento di esecuzione stabilisce i
mezzi idonei perché l’istituto di credito, nel concedere il prestito,
accerti il titolo al quale il richiedente coltiva il fondo, con
riferimento ai contratti che lo comprovino (d.m. 23 gennaio 1928, art.
1, lett. b).
2. – Gli artt. 15 e 16 della legge n. 739 del 1960 sono impugnati,
sia nell’ordinanza che nell’atto di costituzione dei signori Torre, in
quanto fanno riferimento all’art. 8 del decreto legge n. 1509 del 1927,
e pertanto valgono per essi le ragioni innanzi esposte.
Va comunque considerato che la legge del 1960, riguardante
determinate zone agricole, fu emanata per far fronte alle conseguenze
di calamità naturali verificatesi in quell’anno, e ciò legittima,
come questa Corte ha ritenuto in casi analoghi (sentenze n. 7 del 1956
e n. 8 del 1962), l’eventuale limitazione che da esse possa derivare ai
diritti dei proprietari, anche in conformità al principio
costituzionale della solidarietà sociale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 8 del regio decreto legge 29 luglio 1927, n. 1509
(Provvedimenti per l’ordinamento del credito agrario), convertito in
legge 5 luglio 1928, n. 1760, e successive modificazioni, nonché degli
artt. 15, primo e secondo comma, e 16, secondo, terzo e quarto comma,
della legge 21 luglio 1960, n. 739 (Provvidenze per le zone agrarie
danneggiate da calamità naturali e provvidenze per le imprese
industriali), proposta con l’ordinanza del tribunale di Matera in
epigrafe indicata, in riferimento all’art. 42 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE.