Sentenza N. 78 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
11/04/1969
Data deposito/pubblicazione
11/04/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/03/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – AVV. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE, Giudici,
Codice penale e degli artt. 301 e 587 del Codice di procedura penale,
promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1968 dal giudice
istruttore del tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di
Lambrilli Alvido ed altri, iscritta al n. 36 del Registro ordinanze
1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del
20 aprile 1968.
Visti gli atti di costituzione di Lambrilli Alvido e d’intervento
del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 20 marzo 1969 la relazione del
Giudice Vezio Crisafulli;
uditi l’avv. Domenico Marafioti, per Lambrilli, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
1. – Con ordinanza emessa in data 22 febbraio 1968, il giudice
istruttore presso il Tribunale di Roma nel corso di un procedimento
penale a carico di Lambrilli Alvido ed altri, imputati di vari reati,
tra i quali quello di corruzione e di interesse privato in atti di
ufficio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli
artt. 140 del Codice penale, 301 e 587 del Codice di procedura penale,
limitatamente alla disposizione sulla provvisoria sospensione
dall’esercizio dei pubblici uffici, per contrasto con la norma di cui
all’art. 27, capoverso, della Costituzione, secondo cui l’imputato non
è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Ritenuta la rilevanza della questione ai fini del decidere, posto
che il pubblico ministero aveva richiesto nei confronti del Lambrilli
che fosse ordinata la sospensione provvisoria dall’esercizio dei
pubblici uffici, il giudice a quo, pur avendo presente che la norma di
cui all’art. 140 del codice penale potrebbe interpretarsi, secondo
l’orientamento prevalente in dottrina, come una misura cautelare a
carattere processuale pienamente compatibile con la Costituzione,
osserva che la misura in esame è peraltro qualificata e raffigurata
come “pena provvisoria” non soltanto nelle rubriche (cfr. artt. 140 del
Cod. pen., già innanzi ricordato, 301, 400 e 485 del Cod. proc. pen.)
ma anche nel testo della legge (v. ancora l’art. 301 del Cod. proc.
pen.), per cui potrebbe sembrare una anticipata inflizione all’imputato
di quello stesso trattamento punitivo, che dovrebbe scaturire
esclusivamente da una sentenza irrevocabile di condanna; nessuna
concreta diversità di regime sarebbe data scorgere, infatti, tra
l’applicazione provvisoria e quella definitiva delle pene accessorie,
essendo persino prevista – anche nel primo caso – l’annotazione nella
scheda del casellario giudiziale (cfr. art. 587, ultimo comma, del
Cod. proc. pen.) che non è prevista per la custodia preventiva, vera e
propria misura processuale cautelare.
L’ordinanza è stata ritualmente comunicata e notificata, nonché
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20
aprile 1968.
2. – Si è costituita in giudizio la difesa del Lambrilli con
deduzioni depositate il 4 aprile 1968, seguite da memoria depositata il
27 febbraio 1969, ampliando gli argomenti, già dedotti nell’ordinanza
di rinvio, a sostegno della illegittimità costituzionale della
normativa denunciata; rilevando, inoltre, che la sospensione
provvisoria dall’esercizio dei pubblici uffici, applicata in pendenza
di giudizio, non risponderebbe ad alcun fine cautelare neppure in
riferimento alle esigenze processuali della acquisizione della prova e
dell’accertamento della verità e contrasterebbe anche con i principi
costituzionali del diritto di difesa in giudizio e con quello della
precostituzione del giudice (rispettivamente, artt. 24 e 25 della
Costituzione), per quanto non compresi nei termini della questione
così come prospettati dal giudice a quo. La parte privata conclude
chiedendo sia travolta nella declaratoria di incostituzionalità anche
la disposizione di cui all’art. 485 del Codice di procedura penale, che
consente l’applicazione della sospensione anzidetta anche con la
sentenza di condanna non ancora definitiva.
3. – È intervenuto in giudizio, con atto depositato il 9 aprile
1968, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura dello Stato, deducendo che i provvedimenti interdittivi
di cui all’art. 140 del Codice penale non avrebbero il contenuto ed il
carattere proprio della pena, ma di una misura cautelativa, come la
carcerazione preventiva, che si limiterebbe a sospendere
provvisoriamente l’esercizio di certi diritti, che non potrebbero
essere tolti o diminuiti giuridicamente se non con la inflizione della
vera e propria pena interdittiva.
La equivalenza rispetto alla carcerazione preventiva sarebbe, del
resto, confermata dalla norma che, analogamente a quanto stabilito per
quella misura, dispone il computo del tempo della sospensione
provvisoria nella durata della pena accessoria. Ed ulteriore argomento
a favore di questa tesi si trarrebbe, dal punto di vista processuale,
dalla forma con la quale il provvedimento in questione è adottato: la
forma, cioè del decreto motivato, la cui immediata esecutività
deriverebbe appunto dalla sua natura provvisoria e cautelare, mentre la
sua annotazione nel casellario sarebbe da ricostruire come una anomalia
nel sistema, la cui ratio non sembra facilmente spiegabile,
insufficiente comunque da sola ad infirmare la validità dell’assunto
innanzi accennato. Per conseguenza, le conclusioni dell’Avvocatura
dello Stato si sostanziano in una richiesta di infondatezza della
questione in oggetto.
4. – Nella pubblica udienza la difesa del Lambrilli e l’Avvocatura
dello Stato hanno insistito nelle conclusioni già formulate.
L’ordinanza propone il dubbio sulla legittimità costituzionale
degli artt. 140 del Codice penale e 301 e 587 del Codice di procedura
penale, “limitatamente alla sospensione provvisoria dai pubblici
uffici”, che era la misura applicabile nella specie, basandosi
essenzialmente sulla locuzione usata dal legislatore, che, così nella
rubrica delle disposizioni denunciate, come anche, a volte, nel testo
di talune disposizioni, quali lo stesso art. 301 e l’art. 485 del
Codice di procedura penale, si riferisce ad una applicazione
provvisoria di “pene accessorie”. Di qui il possibile contrasto con
l’art. 27, secondo comma, della Costituzione, secondo cui l’imputato
non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva.
Ma la questione non è fondata. La semplice circostanza che, per
brevità e comodità di espressione, i Codici designino
riassuntivamente i provvedimenti di cui all’art. 140 del Codice penale
come applicazione provvisoria di pene accessorie, avendo riguardo alle
analogie strutturali di quei provvedimenti con alcune tra le pene
accessorie elencate nell’art. 19 del Codice penale, non è da sola
sufficiente a far concludere per la natura giuridica di vere e proprie
pene delle misure così adottate.
Quali che siano le denominazioni giuridiche adoperate nei testi
legislativi, la determinazione della natura di un istituto è compito
spettante all’interprete, la nomenclatura legislativa potendo valere
semmai come uno tra i vari elementi suscettibili di concorrere alla
precisa individuazione del significato oggettivamente risultante dai
testi medesimi.
Ora, se ben si guarda alle finalità cui è preordinata la
disposizione dell’art. 140 del Codice penale ed ai caratteri che
contrassegnano le misure in esso previste, deve concludersi che si
tratta di misure cautelari, e non di sanzioni penali irrogate prima del
giudizio e quasi anticipandone i risultati. Le misure applicabili dal
giudice istruttore sono piuttosto assimilabili, da questo punto di
vista, alle misure di prevenzione, e questa Corte ha già avuto
occasione di affermare che l’applicazione di misure di prevenzione,
anche se restrittive della libertà personale, non contrasta con l’art.
27, secondo comma, della Costituzione (sent. 4 marzo 1964, n. 23;
sentenza 8 febbraio 1962, n. 6).
Ovviamente, prima di procedere all’applicazione di una delle misure
di cui all’art. 140, il giudice deve sommariamente valutare, tra
l’altro, il fumus boni juris dell’accusa, com’è appunto prescritto
dallo stesso art. 140 e com’è regola generale nel nostro ordinamento
processuale per qualsiasi specie di provvedimenti cautelari. Ma una
tale valutazione, che rappresenta comunque una garanzia per l’imputato
e non differisce qualitativamente da quelle previste negli artt. 252 e
374 del Codice di procedura penale ai fini della emissione di ordini o
mandati, nonché rispettivamente, del rinvio a giudizio, non viola la
presunzione di non colpevolezza enunciata nel secondo comma dell’art.
27 della Costituzione, per il suo carattere meramente delibativo in
ordine alla adozione o meno del provvedimento sospensivo e perché
destinata comunque ad esaurirsi in quel momento.
Carattere e finalità cautelari presenta altresì la iscrizione nel
casellario giudiziale della misura applicata, così com’è disposto
dall’art. 587, ultimo comma, del Codice di procedura penale, poiché
detta iscrizione realizza una forma di pubblicità necessaria per una
più efficace tutela degli interessi che lo stesso art. 140 tende a
proteggere. Certo, se, per assurda ipotesi, delle misure
provvisoriamente adottate dovesse restare traccia nel casellario anche
dopo che sia intervenuta una sentenza di proscioglimento, la norma
dell’ultimo comma dell’art. 587 non sarebbe compatibile con il
principio dell’art. 27 della Costituzione. Ma così non è, dal momento
che gli articoli 381, comma secondo, e 479, comma quinto, del Codice di
procedura penale, stabiliscono che le sentenze di proscioglimento
emesse in sede istruttoria e a seguito di dibattimento debbano ordinare
la cancellazione delle pene accessorie provvisoriamente applicate,
mentre poi il combinato disposto degli artt. 4 e 14, lett. f, del regio
decreto 18 giugno 1931, n. 771, contenente norme regolamentari per il
servizio del casellario giudiziale, provvede alle modalità per la
eliminazione dalla scheda dell’imputato della menzione del
provvedimento che era stato adottato nei suoi confronti.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 140 del Codice penale, 301 e 587 del Codice di procedura
penale, sollevata con l’ordinanza del giudice istruttore del tribunale
di Roma del 22 febbraio 1968, in riferimento all’art. 27, comma
secondo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.