Sentenza N. 78 del 1977
Corte Costituzionale
Data generale
12/05/1977
Data deposito/pubblicazione
12/05/1977
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/05/1977
OGGIONI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO
AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO
ASTUTI – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof.
GUGLIELMO ROEHERSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI, Giudici,
comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 26 agosto
1974 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Prato sul ricorso
proposto da Valerio Stefano, iscritta al n. 393 del registro ordinanze
1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del
30 ottobre 1974.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 1977 il Giudice relatore
Guido Astuti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Dovendo decidere sul ricorso proposto da Valerio Stefano per
ottenere la revoca anticipata della misura di sicurezza (libertà
vigilata), il giudice di sorveglianza del tribunale di Prato ha
sollevato, di ufficio, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 177, ultimo comma, c.p., in relazione agli artt. 3, 24, 25 e
27 della Costituzione.
Si afferma nell’ordinanza di rinvio che, mentre l’art. 230 del
c.p. dispone che la libertà vigilata è sempre ordinata quando il
condannato è ammesso alla liberazione condizionale, l’articolo 177
dello stesso codice prevede la revoca delle misure di sicurezza
personali solo quando sia decorso tutto il tempo della pena inflitta,
senza che sia intervenuta causa di revoca della liberazione
condizionale. Tale sistema normativo, in forza del quale la misura di
sicurezza della libertà vigilata, conseguente alla liberazione
condizionale, non potrebbe essere revocata se non a seguito della
estinzione della pena, si porrebbe in contrasto con il principio di
eguaglianza, atteso che, per il disposto degli artt. 228, 208 e 216
c.p., il giudice può rivalutare la pericolosità sociale delle persone
sottoposte alla libertà vigilata per altre cause, al fine
dell’eventuale revoca delle misure di sicurezza.
Il principio del diritto di difesa, sarebbe, a sua volta, violato
dalla determinazione vincolante ed astratta della durata delle misure
di sicurezza effettuata dal legislatore, senza alcun potere
discrezionale del giudice in ordine alla valutazione della effettiva
pericolosità sociale della persona che vi è sottoposta.
Anche il principio del giudice naturale sarebbe violato dalla
attribuzione al giudice di sorveglianza, e non al giudice
dell’esecuzione, del potere di revocare la misura di sicurezza, decorso
il tempo della pena inflitta.
Infine, la disciplina impugnata, imponendo il mantenimento della
misura di sicurezza, indipendentemente dalla pericolosità sociale del
soggetto, sarebbe in contrasto con la finalità rieducativa della pena.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, deducendo
l’infondatezza delle questioni proposte.
Dopo aver affermato essere dubbio se la concessione della
liberazione condizionale implichi una rinuncia al potere punitivo,
ovvero dia luogo ad una diversa fase della esecuzione della pena, si
osserva che, comunque, la liberazione condizionale è sempre soggetta,
ai sensi dell’art. 177 c.p., alla condizione risolutiva che il liberato
non commetta, per tutto il tempo della pena inflitta, un reato della
stessa indole di quello per il quale è stato condannato: di qui la
ragionevolezza della sottoposizione allo stato di libertà vigilata al
fine essenziale di evitare occasioni di nuovi reati.
Quanto alla dedotta violazione del principio di eguaglianza si
osserva che la norma impugnata si applica indistintamente a tutti i
condannati ai quali sia concesso il beneficio della liberazione
condizionale, e che al termine del tempo previsto dalla pena inflitta
la revoca non è suscettibile di valutazione discrezionale da parte del
giudice, come avviene nelle altre ipotesi di sottoposizione di libertà
vigilata, che non sono assimilabili alla fattispecie della libertà
vigilata conseguente alla liberazione condizionale.
La denunziata violazione del diritto di difesa non sussisterebbe
essendo il condannato sottoposto alla misura di sicurezza per ordine
del giudice di sorveglianza, innanzi al quale la difesa è ammessa, in
senso sia materiale che formale, in tutte le fasi di applicazione della
misura stessa.
Ancora, non vi sarebbe sottrazione al giudice naturale, dato che la
precostituzione del giudice competente è operata dalla legge.
Infine, non sarebbe invocabile un contrasto tra la normativa
impugnata e la funzione educativa della pena, posto che l’art. 27,
comma terzo, della Costituzione, si riferisce solo alle pene, e non
riguarda le misure di sicurezza.
1. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe viene sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 177, ultimo comma, del codice
penale, sotto quattro diversi profili, e precisamente: “nella parte in
cui esclude la revoca della misura di sicurezza della libertà vigilata
alla persona ammessa alla liberazione condizionale, prima che sia
estinta la pena; nella parte in cui sottrae al giudice di sorveglianza
il potere-dovere di riesame della pericolosità sociale del sottoposto;
nella parte in cui sottrae l’interessato alla tutela giurisdizionale e
al giudice precostituito per legge; nonché, infine, nella parte in cui
rende inattuabile la rieducazione e l’emenda del condannato”.
2. – La questione non è fondata. L’istituto della liberazione
condizionale, la cui disciplina non è stata, sotto questo profilo,
modificata né dalla legge 12 febbraio 1975, n. 6 (norme in tema di
liberazione condizionale), né dalla legge 26 luglio 1975, n. 354
(norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà), comporta la sospensione della
esecuzione di parte della pena, non la sua estinzione, che si verifica
solo alla scadenza del relativo termine. Ciò risulta altresì dalla
disposizione dell’art. 177, primo comma, codice penale (confermata
anche dall’art. 5 della legge 12 febbraio 1975, n. 6), per cui la
liberazione stessa può essere revocata qualora la persona liberata
commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero
trasgredisca agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, con gli
effetti ivi previsti per l’ulteriore esecuzione della pena.
In conformità a questi principi l’art. 230, n. 2, del codice
penale dispone che la libertà vigilata deve essere sempre ordinata
quando il condannato è ammesso alla liberazione condizionale; e l’art.
177 dello stesso codice coerentemente stabilisce, all’ultimo comma, che
decorso tutto il tempo della pena inflitta, (ovvero cinque anni dalla
data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di
condannato all’ergastolo), senza che sia intervenuta alcuna causa di
revoca della liberazione condizionale, la pena rimane estinta, e sono
revocate le misure di sicurezza personale ordinate dal giudice con la
sentenza di condanna o con provvedimento successivo.
È evidente che non sussiste violazione dell’art. 3 Cost., per
l’asserita disparità di trattamento rispetto alle altre persone
sottoposte alla medesima misura di sicurezza della libertà vigilata,
ai sensi degli artt. 228 e seguenti del codice penale. Trattasi infatti
della libertà vigilata di un condannato a cui è stata concessa la
liberazione condizionale; e questa Corte ha già avuto occasione di
rilevare come il potere di revoca anticipata delle misure di sicurezza,
ed in specie della libertà vigilata, non possa estendersi a questa
fattispecie, “per l’impossibilità di assimilare la comune figura della
libertà vigilata a quella particolare conseguente alla liberazione
condizionale, che necessariamente, nel sistema legislativo vigente,
deve durare tanto quanto dura il periodo della liberazione
condizionale” (sentenza n. 11 del 1970).
3. – Non sussiste, conseguentemente, nemmeno la pretesa violazione
dell’art. 24, come effetto dell’esclusione della possibilità di
riesame da parte del giudice di sorveglianza, della pericolosità
sociale del sottoposto: trattandosi, in questa particolare
applicazione, di una misura non revocabile e non prorogabile, non può
esservi luogo ad accertamenti sulla pericolosità, il cui riesame da
parte del giudice è previsto dalla legge solo in relazione ad
eventuali ulteriori provvedimenti circa la durata delle misure di
sicurezza, che nell’ipotesi della liberazione condizionale non possono
essere adottati.
La disposizione dell’art. 177, ultimo comma, non confligge con
l’art. 24 né con l’art. 25 Cost.: il soggetto ammesso a liberazione
condizionale e sottoposto alla libertà vigilata non può certo dirsi
sottratto alla tutela giurisdizionale, che gli è garantita dalla
facoltà di ricorso al giudice di sorveglianza, i cui provvedimenti, a
norma degli artt. 635 e seguenti del codice di procedura penale,
debbono essere motivati e sono suscettibili di impugnazione (sentenza
n. 53 del 1968); né può ravvisarsi deroga alcuna al principio della
precostituzione del giudice, per il fatto che, quando sia decorso il
tempo della pena inflitta, la revoca della misura di sicurezza, effetto
automatico della declaratoria di estinzione della pena, competa al
giudice della esecuzione anziché al giudice di sorveglianza (art. 578
c.p.p.).
4. – Deve infine escludersi che il regime della libertà vigilata
per i condannati ammessi a liberazione condizionale, non consentendo la
revocabilità anticipata, ne renda inattuabile la rieducazione e
l’emenda, con violazione del principio sancito dall’art. 27, terzo
comma, della Costituzione. A parte il fatto che tale principio si
riferisce soltanto alle pene, per costante giurisprudenza di questa
Corte (sentenza n. 1 del 1971), deve qui ricordarsi che il regime
proprio della libertà vigilata, secondo quanto risulta dalle
disposizioni degli articoli 648 e seguenti c.p.p., è precisamente
diretto, oltre che al controllo del comportamento del vigilato, anche
al fine della graduale rieducazione e del cauto reinserimento sociale,
come confermano altresì il disposto dell’art. 195 del r.d. 18 giugno
1931, n. 787 circa la possibilità di riduzione delle prescrizioni
imposte dal giudice di sorveglianza proprio nel caso della liberazione
condizionale, nonché i recenti provvedimenti sugli interventi del
servizio sociale nei confronti dei sottoposti a libertà vigilata (art.
55 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sostituito con l’art. 6 della
legge 12 gennaio 1977, n. 1).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 177, ultimo comma, del codice penale, sollevata dalla
ordinanza di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 maggio 1977.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
VEZIO CRISAFULLI – NICOLA REALE –
LEONETTO AMADEI – GIULIO GIONFRIDA
EDOARDO VOLTERRA – GUIDO ASTUTI –
ANTONINO DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere