Sentenza N. 80 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
26/04/1971
Data deposito/pubblicazione
26/04/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/04/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof.
ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
sesto e settimo, e 112, comma primo, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124
(testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro
gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con
ordinanza emessa il 21 maggio 1969 dal tribunale di Pistoia nel
procedimento civile vertente tra Chiti Luigi e l’INAIL, iscritta al n.
347 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 269 del 22 ottobre 1969.
Visto l’atto di costituzione dell’INAIL;
udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 1971 il Giudice
relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
udito l’avv. Valerio Flamini, per l’INAIL.
1. – Con citazione dell’11 gennaio 1968 Luigi Chiti, quale tutore
del proprio fratello David dichiarato interdetto per infermità di
mente, conveniva in giudizio, davanti al tribunale di Pistoia, l’INAIL.
Premesso che David Chiti in data 31 gennaio 1946 aveva subito un
infortunio sul lavoro; che a causa dei postumi residuati gli era stata
concessa dall’INAIL la rendita d’invalidità permanente del 35 per
cento; che dal 1 aprile 1949, in seguito a revisione, la rendita gli
era stata aumentata al 44 per cento; che nel gennaio 1965 aveva avuto
un ictus cerebrale con emiparesi; e che a seguito di tale fatto
determinato dall’originario infortunio, la sua inabilità era divenuta
totale; chiedeva la revisione della rendita nella misura del 100 per
cento.
L’INAIL si opponeva alla richiesta dell’attore, esponendo in punto
di fatto, tra l’altro, che nel marzo 1954 vi era stata una revisione
d’ufficio senza esito, ed eccepiva l’inammissibilità della domanda
perché la richiesta di revisione non era stata inoltrata in via
amministrativa entro il termine di dieci anni dalla data
dell’infortunio, e comunque l’intervenuta prescrizione dell’azione, non
avendo il Chiti adito le vie giudiziali entro i tre anni dal marzo
1954.
Nel corso del giudizio l’attore prospettava il contrasto delle
norme invocate dall’Istituto (artt. 83 e 112 del d.P.R. 30 giugno 1965,
n. 1124) con l’art. 38 della Costituzione.
Il tribunale, con ordinanza del 21 maggio 1969, riteneva rilevante
e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 38, comma
secondo, della Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 83, commi sesto e settimo, e 112, comma
primo, del detto decreto presidenziale n. 1124 del 1965.
L’osservanza del precetto costituzionale non sarebbe realizzata
perché i detti termini (d’inammissibilità e di prescrizione) vengono
fatti decorrere dalla data dell’infortunio o della costituzione della
rendita anziché in caso di uno o più successivi aggravamenti della
malattia, dalla data degli aggravamenti stessi e perché con ciò,
viene impedito al lavoratore l’esercizio del diritto garantito dalla
Costituzione “nel momento stesso in cui questo nasce (per imprevedibili
aggravamenti) oltre i termini di cui ai più volte citati artt. 83 e
112”.
2. – Davanti a questa Corte si è costituito solo l’INAIL, che, con
le deduzioni depositate il 10 novembre 1969 e con la successiva
memoria, ha chiesto che fosse dichiarata l’infondatezza della sollevata
questione.
Secondo l’INAIL, il tribunale sarebbe incorso in un equivoco quando
ha creduto di individuare nell’art. 83, commi sesto e settimo,
un’ipotesi di decadenza. La norma “non stabilisce alcuna decadenza, ma
vuole solo regolare e disciplinare l’istituto della revisione con
termini dilatori”. E “neppure il termine finale decennale (4+3+3) per
l’esperimento della revisione può essere considerato un termine di
decadenza in senso tecnico”. “Invero l’art. 83 ha semplicemente
fissato, in base a criteri tecnici, un momento al di là del quale le
eventuali modificazioni delle condizioni dell’assicurato non sono più
ritenute connesse con il danno provocato dall’infortunio”. “Più
precisamente, la legge ritiene, con presunzione di diritto, che le
variazioni nello stato di inabilità permanente verificatesi dopo la
scadenza del decennio” “non possono essere più riferibili, con
certezza all’infortunio'”. “Il punto limite è costituito, quindi,
dall’aggravamento nel decennio”.
Considerato, inoltre, che il legislatore avrebbe potuto prevedere
la corresponsione di una indennità in capitale per il risarcimento di
postumi permanenti derivanti da infortunio o adottare un sistema di
rendita immodificabile e irrivedibile, il fatto che, preferendo il
sistema, più favorevole all’assicurato, del risarcimento in rendita e
prevedendo la normale rivedibilità della rendita, lo stesso
legislatore abbia posto alla revisione il (solo) limite costituito dal
compimento del decennio dalla costituzione della rendita, non può
condurre a far ritenere incostituzionale la norma denunciata.
Tale termine, del resto, è fissato sulla base dell’esperienza
sanitaria secondo cui, in genere, nell’indicato periodo massimo di
tempo i postumi dell’infortunio si assestano in senso immodificabile, e
quindi su esclusive basi di carattere scientifico. E la presunzione di
immodificabilità dei postumi appare collegata ad un periodo di tempo,
la cui ampiezza è tale da far fondatamente ritenere che allo scadere
del termine almeno nella grande maggioranza dei casi, le conseguenze
dell’infortunio si siano definitivamente consolidate, anche per quanto
riguarda la misura dell’inabilità.
D’altra parte, fissare un termine di rivedibilità della rendita è
necessario per dare, ad un dato momento, certezza al rapporto giuridico
previdenziale e per eliminare, tra istituto assicuratore ed assicurato,
motivi di contrasto che col passare del tempo divengono sempre più
difficilmente eliminabili.
Infine va tenuto presente che “agli infortunati sul lavoro le norme
vigenti riservano un trattamento di particolare favore, e che per
l’invalidità non derivante da un fatto lavorativo, o che non può
essere a tale fatto certamente collegata, provvedono altre forme
previdenziali”.
Secondo l’INAIL, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 112, comma primo, relativa alla data di inizio della
prescrizione del diritto alla revisione, non ha ragione di essere. “Per
il diritto alla revisione della rendita, che sorge a seguito
dell’aggravamento e solo dalla data di questo, la giurisprudenza ha
stabilito che il dies a quo del termine prescrizionale non possa che
decorrere dalla data dell’aggravamento”, facendo riferimento al
principio legislativamente consacrato secondo cui la prescrizione
comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto
valere.
Stante poi l’esistenza dei termini dilatori di cui agli anzidetti
commi sesto e settimo dell’art. 83, la speciale prescrizione – prima
annuale, ora triennale – “comincia a decorrere dal giorno in cui il
diritto alla revisione della rendita può essere fatto valere, e cioè
dal giorno in cui viene meno la causa ostativa costituita dalla
pendenza dei termini dilatori sopraccennati”.
3. – All’udienza pubblica del 10 febbraio 1971 l’avvocato Valerio
Flamini per l’INAIL ha insistito nelle precedenti ragioni e richieste.
1. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe, del tribunale di
Pistoia, si ritiene che siano in contrasto con l’art. 38, comma
secondo, della Costituzione la norma dell’art. 83, commi sesto e
settimo, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle
disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali), secondo cui il termine di dieci
anni per richiedere la revisione della rendita di inabilità permanente
decorre dalla data della costituzione della rendita, e la norma
dell’art. 112, comma primo, dello stesso d.P.R., secondo cui il termine
di prescrizione di tre anni decorre dalla data dell’infortunio.
2. – A proposito della prima questione, è da rilevare, come lo
stesso INAIL ammette, che il termine di dieci anni dalla data di
costituzione della rendita per inabilità permanente, implicitamente
previsto dall’art. 83, commi sesto e settimo, non risulta posto a pena
di decadenza, né tanto meno comporta, con l’inutile suo decorso,
l’estinzione per prescrizione del diritto alla revisione. Esso ha
portata dilatoria, per ciò che quel diritto, in sede di seconda
revisione, non può essere esercitato se non dopo la sua scadenza. Ma
nel contempo, segna il momento finale del periodo durante il quale
l’aggravamento delle condizioni dell’assicurato fa sorgere il diritto
alla revisione della rendita.
Dovendosi esaminare la questione sotto il profilo da ultimo
indicato, di essa risulta, in modo abbastanza evidente, la non
fondatezza.
L’art. 38, comma secondo, della Costituzione, che è immediatamente
operante nell’ordinamento giuridico e rilevante, in particolare, ai
fini del sindacato di costituzionalità sulle leggi ordinarie,
attribuendo valore di principio fondamentale al diritto dei lavoratori
a che siano “preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze
di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria”, impone che in caso di eventi, i quali
incidono sfavorevolmente sull’attività lavorativa, siano ai lavoratori
assicurate provvidenze atte a garantire la soddisfazione delle loro
esigenze di vita (sent. n. 22 del 1969).
Ma codesta disposizione non va intesa in senso letterale e con
valore assoluto. È il sistema delle assicurazioni nel suo complesso,
infatti, che è chiamato a far fronte e obbedisce alle esigenze
garantite dal precetto costituzionale. Per cui questo non appare
violato se, come nell’ipotesi prevista dalla norma oggetto della
denuncia, in maniera specifica siano poste regole, con cui, nel
rispetto degli altri precetti e principi costituzionali, viene
condizionata l’insorgenza di dati diritti o di questi è disciplinato
l’esercizio.
L’art. 83, commi sesto e settimo, non appare per ciò in contrasto
con l’art. 38, comma secondo, della Costituzione.
Non è negato in modo assoluto o irrazionale il diritto alla
revisione della rendita; né è reso impossibile o difficoltoso
l’esercizio di codesto diritto. C’è solo la previsione, ai fini
dell’acquisto di esso da parte dell’infortunato, che le condizioni
richieste si verifichino in un dato periodo di tempo. E ciò rientra
nei modi legittimi di esercizio della funzione legislativa. La
fissazione di quel tempo in dieci anni dalla costituzione della rendita
e non in un periodo diverso, non costituisce il risultato di una mera
scelta, arbitraria o ingiustificata; oltre che rispondere al bisogno di
certezza dei rapporti giuridici, ha riscontro nel dato di rilievo
sanitario e statistico, secondo cui, nella grande maggioranza dei casi,
entro il decennio dalla costituzione della rendita, le condizioni
dell’infortunato si stabilizzano e la misura dell’inabilità raggiunge
il più alto livello.
3. – Questa Corte, con sentenza n. 116 del 1969, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 112, comma primo, del d.P.R.
n. 1124 del 1965, solo nella parte in cui stabiliva che l’azione
diretta a conseguire la rendita per inabilità permanente si
prescriveva col decorso del termine di tre anni dalla data della
manifestazione della malattia professionale, anche quando la riduzione
dell’attitudine al lavoro in misura almeno pari al minimo
indennizzabile si fosse prodotta, non entro il termine prescrizionale,
ma dopo.
Con l’ordinanza de qua si prospetta ora l’illegittimità della
norma, deducendosi che, per il diritto alla revisione della rendita per
inabilità permanente, il detto termine prescrizionale decorrerebbe
dalla data dell’infortunio o da quella di costituzione della rendita, e
non invece, come vorrebbe l’art. 38 della Costituzione, dalla data
dell’aggravamento della malattia.
La questione così sollevata, che è per ciò diversa da quella
già esaminata e decisa, non è fondata.
L’art. 112, comma primo, fa decorrere il triennio’ ” dal giorno
dell’infortunio o da quello della manifestazione della malattia”,
riferendosi espressamente all’ipotesi di azione diretta a conseguire le
prestazioni assicurative.
Ma considera pure l’ipotesi in relazione alla quale l’attuale
questione viene prospettata e cioè quella della prescrizione del
diritto alla revisione della rendita permanente a seguito di
aggravamento della malattia.
Ora, considerato che, secondo un orientamento giurisprudenziale a
cui aderisce anche l’INAIL, e soprattutto dopo la anzidetta
dichiarazione di incostituzionalità parziale, la norma sostanzialmente
dispone che il ripetuto termine comincia a decorrere dalla data in cui
si verifichi il fatto costitutivo del diritto, la Corte è dell’avviso
che, derivando il diritto alla revisione della rendita
dall’aggravamento della malattia, il relativo termine decorre dalla
data in cui (entro dieci anni dalla manifestazione della malattia) si
produce tale aggravamento.
Così la giusta interpretazione della norma conduce allo stesso
risultato al quale si perverrebbe con la dichiarazione di
incostituzionalità richiesta dal tribunale di Pistoia.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 83, commi sesto e settimo, e, nei limiti di cui in
motivazione, dell’art. 112, comma primo, del d.P.R. 30 giugno 1965, n.
1124 (testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali),
sollevate, con l’ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento
all’art. 38, comma secondo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.