Sentenza N. 81 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
26/04/1971
Data deposito/pubblicazione
26/04/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/04/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO
DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA
REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
ministri, notificato il 28 dicembre 1970, depositato in cancelleria il
7 gennaio 1971 ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi 1971, per
conflitto di attribuzione sorto per effetto del decreto 19 giugno 1970
del Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia che
autorizzava il Comune di Udine all’occupazione d’urgenza di un’area
intestata al Demanio dello Stato – ANAS.
Visto l’atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 1971 il Giudice
relatore Michele Fragali;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese,
per il ricorrente, e l’avv. Gaspare Pacia, per la Regione.
1. – Il 28 dicembre 1970 il Presidente del Consiglio dei ministri
ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione avverso il decreto 19
giugno 1970 del Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia
Giulia, che autorizzava il Comune di Udine all’occupazione di urgenza
dell’area sita in Udine accatastata al foglio’ 40 mappale 256,
intestata al Demanio dello Stato, Azienda nazionale autonoma della
strada, per la costruzione da parte del Comune e con contributo
regionale, di un centro ambulatoriale ed igienico sanitario.
Il ricorso rileva che l’area predetta, con decreto prefettizio 15
ottobre 1953, n. 55840, era stata espropriata a favore del Demanio
dello Stato per sede di strada e per la costruzione dei locali
dell’ANAS, sezione staccata di Udine. Le opere non sono state ancora
eseguite per temporanea indisponibilità di fondi, e il decreto
regionale si presenta come ablatorio della destinazione statuale
dell’area, che la Regione non è competente a modificare. La
declassificazione dei beni demaniali deve essere dichiarata dal
Ministero delle finanze, al quale spetta altresì la vigilanza della
destinazione dei beni patrimoniali statali; e l’area di cui si tratta
non è fra i beni patrimoniali attribuiti o trasferiti alla Regione in
base agli artt. 55 e 56 dello Statuto.
Si rileva inoltre che, pur essendo vero che la Regione ha potestà
legislativa in materia di espropriazione per pubblica utilità non
riguardante opere a carico dello Stato, questo potere non potrebbe
essere esercitato riguardo ad un bene espropriato per la costruzione di
un’opera pubblica da parte dello Stato; il decreto regionale viene ad
arrestare l’iter procedimentale e sostanziale di una espropriazione
dello Stato, che è competente in via esclusiva per le opere a suo
carico, da eseguire nella Regione. Questa competenza sarebbe cessata
solo se si fosse disposta la retrocessione del bene a colui al quale
era stato espropriato; il decreto regionale, fondato sul diritto a tale
retrocessione il cui accertamento è di competenza dell’autorità
giudiziaria, viola anche la riserva della competenza statale in materia
di giurisdizione.
2. – Il Presidente della Regione eccepisce l’inammissibilità del
ricorso perché ritiene che le censure mosse al provvedimento regionale
riguardano la legittimità dello stesso, e non la spettanza del potere
esercitato dalla Regione, alla quale competono, ai sensi dell’art. 30
d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116, tutte le attribuzioni degli organi
statali in materia di espropriazione per pubblico interesse e di
occupazione temporanea e d’urgenza riguardo alle opere non a carico
dello Stato: nella specie, il decreto impugnato riguardava un’opera
sanitaria deliberata dal Comune di Udine e a carico dello stesso. Non
è esatto, secondo il Presidente della Regione, che il decreto in esame
ha dismesso l’area dal demanio o dal patrimonio indisponibile dello
Stato: la tipicità dell’atto autorizzativo dell’occupazione di urgenza
esclude che questo possa confondersi con un atto di dismissione della
demanialità. La Regione può espropriare beni dello Stato senza che ne
derivi usurpazione dei poteri statali.
Nel merito il Presidente della Regione esclude che il bene di cui
ha ordinato l’occupazione faccia parte del patrimonio’ indisponibile o
del demanio statale. Era destinato all’esecuzione di un’opera pubblica
di interesse statale; ma è giurisprudenza che, fino a quando l’opera
non sia ultimata e adibita all’uso, il bene espropriato appartiene al
patrimonio disponibile. Non conta che l’area non sia stata ancora
trasferita alla Regione: da una omissione non può derivare al bene una
qualificazione di contrasto con la realtà, e, del resto, il d.P.R. 31
ottobre 1967, n. 1401, che contiene norme di attuazione statutaria per
il trasferimento alla Regione di beni immobili patrimoniali
disponibili, comprende, anche per sua espressa disposizione, tutti
quegli altri beni immobili situati nel territorio regionale,
l’appartenenza dei quali al patrimonio disponibile dello Stato, con
riferimento alla data del 16 febbraio 1963, venga in prosieguo
accertata con provvedimento giurisdizionale o con provvedimento
dell’autorità amministrativa a norma dell’art. 829 del codice civile.
Non si vede poi come il provvedimento impugnato possa incidere,
arrestandone l’iter, su una espropriazione statale: il procedimento
iniziato dallo Stato si concluse con l’emanazione del decreto di
espropriazione e solo è vero, per un verso, che l’opera non è stata
eseguita entro il termine indicato nel decreto di approvazione del
prefetto e, per altro verso, che il proprietario espropriato non ha
esercitato entro il termine di prescrizione il suo diritto alla
retrocessione.
3. – Il 28 gennaio 1971 il Presidente del Consiglio dei ministri
presento istanza di sospensione del provvedimento regionale; ma tale
sospensione fu disposta dalla Regione di propria autorità, e il
procedimento incidentale non ebbe più corso.
Nel giudizio principale entrambe le parti hanno presentato memorie,
nelle quali ciascuna ha ribadito ed illustrato i propri punti di vista
ed ha ritenuto l’infondatezza delle prospettazioni della controparte.
4. – All’udienza pubblica del 24 febbraio 1971 i difensori hanno
confermato le rispettive tesi e conclusioni.
1. – Si è fatta questione fra le parti circa il contenuto del
ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio: se cioè esso deduca
invasione di una sfera di competenza statale o vizi di legittimità
dell’atto amministrativo impugnato.
La Corte ritiene che, a prescindere da tale indagine, è la stessa
natura del bene oggetto dell’atto predetto che impedisce di scorgere,
nella specie, gli estremi di un conflitto di attribuzione.
2. – La Regione aveva autorizzato l’occupazione di urgenza di
un’area che, nel 1953, il prefetto di Udine aveva espropriato per la
costruzione di un edificio da destinare ad uffici dell’ANAS e per
l’apprestamento di una strada di accesso a tale edificio.
L’espropriazione era rimasta senza seguito; e pertanto, quando
intervenne il provvedimento regionale che autorizza il Comune di Udine
ad occupare l’area predetta, la destinazione demaniale non si era
realizzata. L’area doveva dunque ritenersi di patrimonio statale
disponibile, perché com’è noto, i beni immobili destinati
dall’amministrazione all’esecuzione di un’opera pubblica, solo dopo
l’ultimazione dell’opera acquistano un carattere, a seconda dei casi,
demaniale o indisponibile. Né toglie la qualifica di disponibilità il
fatto che il d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401, non ha compreso l’area di
cui si tratta fra i beni immobili che, avendo quella qualità, in base
allo Statuto regionale, dovevano trasferirsi alla Regione; tale decreto
contiene una riserva per quegli altri beni la cui appartenenza al
patrimonio disponibile dello Stato si fosse accertata successivamente
con riferimento al 16 febbraio 1963.
L’amministrazione statale non poteva dunque esplicare, sull’area di
cui si tratta, altro che poteri iure privatorum, perché i beni
disponibili che le appartengono, pur essendo soggetti ad un regime di
gestione particolare ai fini della loro utilizzazione e ad un
particolare regime formale quanto alla loro destinazione ed
alienazione, per ogni altro aspetto non sfuggono all’imperio del codice
civile, soprattutto circa la natura del rapporto fra l’amministrazione
e i beni, che è rapporto di proprietà. Non v’è perciò, riguardo ad
essi, esercizio di potestà pubbliche, le sole implicabili in un
conflitto di attribuzione; che coinvolge infatti poteri dello Stato o
poteri delle regioni inerenti a sfere di competenza assegnate dalla
Costituzione (sentenze 19 gennaio 1957 n. 17 e 17 giugno 1970, n. 110).
Non rientra nella competenza costituzionale dello Stato o delle regioni
né l’esercizio dei diritti dominicali su un bene appartenente al loro
patrimonio disponibile né la vigilanza che gli organi dello Stato o
delle regioni debbono esercitare per evitare che siano adibiti ad uso
pubblico beni eccedenti al bisogno, come è prescritto nell’art. 18 del
r.d. 23 maggio 1924, n. 827.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione,
proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri il 28 dicembre 1970,
avverso il decreto 19 giugno 1970 del Presidente della Giunta regionale
del Friuli-Venezia Giulia, che autorizzava il Comune di Udine
all’occupazione d’urgenza dell’area in detto decreto descritta.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
– LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI.