Sentenza N. 82 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
26/04/1971
Data deposito/pubblicazione
26/04/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/04/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
comma, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza
emessa il 30 aprile 1969 dal tribunale militare territoriale di Padova
nel procedimento penale a carico di Buttazzo Crescenzio, iscritta al n.
234 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 172 del 9 luglio 1969.
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1971 il Giudice
relatore Francesco Paolo Bonifacio.
1. – Con ordinanza del 30 aprile 1969 – emessa nel procedimento
penale a carico di Crescenzio Buttazzo – il tribunale militare
territoriale di Padova ha sollevato una questione di legittimità
costituzionale concernente il primo comma dell’art. 285 del codice
penale militare di pace.
Dopo aver esposto i motivi che inducono ad affermare la sussistenza
della rilevanza della questione, il tribunale osserva che la citata
disposizione, nella parte in cui consente che il tribunale supremo
militare, su istanza del procuratore generale, possa rimettere il
procedimento da uno ad altro tribunale per “motivi di servizio”
contrasta col principio costituzionale secondo il quale “nessuno può
essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” (art. 25,
primo comma, Cost.). Ad avviso del giudice a quo, infatti, quale che
sia la possibile interpretazione dei motivi di servizio idonei a
giustificare lo spostamento di competenza, la disposizione impugnata è
fonte di una illimitata discrezionalità che si risolve in una
violazione dei diritti dell’imputato: lo dimostrerebbero la circostanza
che la prestazione del servizio militare in un determinato reparto può
essere variata in ogni tempo da organi diversi da quelli della
giustizia militare, il fatto che la rimessione può essere disposta
solo su iniziativa discrezionale del procuratore generale e, infine, la
considerazione che, comunque, al principio del giudice precostituito
per legge non si può portare eccezione che non sia strettamente
collegata ad interessi di giustizia.
2. – Innanzi a questa Corte non si è costituita la parte privata
né è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. E
pertanto, ai sensi dell’art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87, la causa viene decisa con la procedura della camera di
consiglio.
1. – L’art. 285, primo comma, del codice penale militare di pace
consente che, in ogni stato del procedimento di merito, il tribunale
supremo militare possa disporne la rimessione da uno ad altro tribunale
militare, su richiesta del procuratore generale, ove sussistano “motivi
di ordine pubblico, di servizio o di disciplina”. Questa disposizione,
limitatamente alla parte concernente i “motivi di servizio”, viene
denunciata dal tribunale militare di Padova in riferimento all’art. 25,
primo comma, della Costituzione.
2. – La questione è fondata.
Già con sentenza n. 119 del 1957 questa Corte, occupandosi di un
particolare aspetto dell’istituto della rimessione dei procedimenti
penali militari, riscontro un vizio di legittimità costituzionale in
quella parte del secondo comma dell’art. 285 c.p.m.p. che escludeva la
motivazione della decisione demandata al tribunale supremo militare.
È evidente, tuttavia, che la dichiarazione di parziale illegittimità
costituzionale di quella disposizione, pronunziata con la ricordata
sentenza, non è di per sé sufficiente, come esattamente osserva il
giudice a quo, a far ritenere risolto anche il problema, ora proposto,
concernente il rispetto del principio costituzionale secondo il quale
“nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per
legge” (art. 25, primo comma, Cost.). Ed invero, se l’obbligo della
motivazione – che l’art. 111 della Costituzione impone per ogni
provvedimento giurisdizionale – tende a garantire la corrispondenza
della decisione del caso concreto alla fattispecie normativa, l’art.
25, primo comma, della Costituzione esige, secondo i principi numerose
volte affermati da questa Corte, che la legge predetermini i criteri di
individuazione del giudice competente e circoscriva con limiti adeguati
le ipotesi nelle quali, a regiudicanda già insorta, si possa spostare
la competenza da uno ad altro giudice. Ed è proprio sulla base della
copiosa giurisprudenza costituzionale in materia che la disposizione in
esame risulta illegittima.
Nessun dubbio può sussistere sulla portata assolutamente generale
del principio enunciato nella norma costituzionale di raffronto e,
quindi, sulla sua applicabilità anche ai procedimenti penali militari
(cfr. sent. n. 29 del 1958); e nessun dubbio può perciò nutrirsi
sulla conseguente esigenza che anche in ordine a siffatti procedimenti
il potere di spostare la competenza da un tribunale ad un altro sia
condizionato a fattispecie preventivamente descritte dalla legge con
delimitazioni sufficienti ad escludere un’illimitata discrezionalità.
A tali requisiti non risponde, nella parte impugnata, il primo comma
dell’art. 285 c.p.m.p., perché l’espressione “motivi di servizio”
consente, con la sua estrema genericità, che la rimessione dei
procedimenti possa essere richiesta dal procuratore generale e possa
essere disposta dal tribunale supremo in una gamma di ipotesi
praticamente senza confini e perciò indefinibile: il che è quanto
dire che la legge viene meno all’obbligo costituzionale derivante
dall’art. 25, primo comma, della Costituzione e vanifica la garanzia
che l’imputato venga giudicato dal giudice naturale precostituito. Con
ciò non si vuol dire che la disposizione in esame possa perfino
consentire che determinate ragioni di servizio siano predisposte
proprio allo scopo di provocare uno spostamento della competenza del
giudice: ove tali arbitri avessero a verificarsi, ad essi porrebbe
sicuro riparo la circostanza che la valutazione della situazione è
affidata al procuratore generale in sede di richiesta ed al tribunale
supremo in sede di decisione, vale a dire ad organi che nell’esercizio
delle loro funzioni operano in una posizione di indipendenza e di
imparzialità. Ma quel che conta ai fini della presente decisione è
che questi organi non trovano nella disposizione impugnata una
descrizione della fattispecie delimitata in modo da consentire che
possa valutarsi a quale situazione obiettiva debba seguire
l’attribuzione del procedimento ad un giudice diverso da quello che
dovrebbe conoscerne in base alle norme che in via generale disciplinano
le competenze.
3. – In base alle considerazioni esposte la questione deve essere
accolta e l’art. 285, primo comma, c.p.m.p. deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella parte relativa ai “motivi di
servizio”.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 285, primo
comma, del codice penale militare di pace nella parte relativa alle
parole “di servizio”.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
– LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA
VINCENZO – MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI.