Sentenza N. 83 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
14/04/1969
Data deposito/pubblicazione
14/04/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
02/04/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE, Giudici,
comma, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il
4 agosto 1967 dalla Corte d’appello di Catania nel procedimento civile
vertente tra Tiralosi Michela e La Rosa Giovanni, iscritta al n. 258
del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 321 del 23 dicembre 1967.
Visto l’atto di costituzione di Tiralosi Michela;
udita nell’udienza pubblica del 20 marzo 1969 la relazione del
Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;
udito l’avv. Luigi La Perlita, per la Tiralosi.
Con atto di citazione del 9 giugno 1960 Giovanni La Rosa conveniva
in giudizio davanti al tribunale di Caltagirone Michela Tiralosi; ed
assumendo che il testamento olografo del 14 dicembre 1957 di Sebastiano
La Rosa, fratello di esso attore e marito della convenuta, nel
frattempo deceduto, appariva ictu oculi inframmezzato da intenenti e
correzioni di terze persone, che lo rendevano nullo a causa della
mancanza del requisito essenziale dell’olografia, chiedeva che detto
testamento fosse dichiarato nullo o fosse annullato.
La convenuta contestava il fondamento della domanda, deducendo, tra
l’altro, che l’assunto dell’attore era assolutamente inconsistente
anche perché lo stesso non aveva negato che il testamento fosse
scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore, e che,
in ogni caso, era da escludersi l’intervento di terzi nella correzione
di eventuali errori materiali, nei quali fosse incorso il testatore.
Con ordinanza del 2 febbraio 1961, il giudice istruttore, designato
per la trattazione della causa, riteneva che nei fatti esposti in
citazione potessero ravvisarsi gli estremi del reato previsto dall’art.
491 in relazione agli artt. 482 e 476 del Codice penale e pertanto
inoltrava rapporto al procuratore della Repubblica per l’eventuale
esercizio dell’azione penale.
Iniziata l’azione penale, il giudice istruttore, con sentenza del
31 gennaio 1962, a chiusura dell’istruzione formale, rilevava che la
lamentata eterografia parziale del testamento appariva sicuramente
accertata a seguito dell’indagine peritale all’uopo disposta, per ciò
che si riferiva ai numeri 14 e 7 della data “14 dicembre 1957” apposta
sul documento, e dato atto che le correzioni non erano di pugno della
Tiralosi, dichiarava di non doversi procedere nei di lei confronti per
il reato di falso ascrittole, per non avere commesso il fatto.
Considerata, infine, l’inopportunità di procedere alla declaratoria
della parziale falsità del testamento, non adottava al riguardo alcuna
pronunzia.
Successivamente lo stesso giudice istruttore penale, su istanza del
La Rosa, con provvedimento del 20 ottobre 1963, rilevava che, in tema
di restituzione in pristino del documento contestato, non era
evidenziabile, allo stato, pregiudizio alcuno per i terzi parti e non
parti del procedimento e che risultava anzi evidente utilità per il
richiedente; riteneva che dovesse farsi luogo alla correzione materiale
della sentenza nelle forme di cui all’art. 149 del codice di procedura
penale ed ordinava che venisse corretta la parte dispositiva di detta
sentenza con l’ingiunzione della dichiaraziohe di falsità, per
eterografia, della data dell’atto nei limiti di cui all’accertamento,
nonché dell’ordine di cancellazione dei numeri apposti da mano aliena.
Eseguita l’anzidetta sentenza, il giudizio civile riprendeva il suo
corso e quindi veniva definito con sentenza dei dì 16-28 gennaio 1966.
Il tribunale, disattendendo la specifica contestazione della Tiralosi,
rilevava che i provvedimenti sulla falsità, come sopra emessi dal
giudice istruttore penale, avevano efficacia pari a quella stabilita
dalle sentenze penali irrevocabili pronunciate in seguito a giudizio; e
ritenuta rilevante la falsità, consistente nella interpolazione dei
numeri 14 e 7 nella data, e conseguenziale la nullità dell’intero
testamento, accoglieva la domanda del La Rosa dichiarando la nullità
dell’impugnato atto. Avverso la sentenza del tribunale proponeva
appello la Tiralosi.
Col terzo motivo, assumeva l’appellante, tra l’altro, che il
tribunale avrebbe errato attribuendo autorità di cosa giudicata
all’ordinanza del 20 ottobre 1963 del giudice istruttore penale, emessa
fuori dei casi previsti dalla legge, e non tenendo presente che in quel
procedimento di correzione della sentenza istruttoria non erano state
rispettate le esigenze del contraddittorio.
L’adita Corte di appello di Catania preliminarmente osservava che
il primo rilievo avrebbe dovuto farsi valere davanti al giudice
dell’impugnazione ai sensi dell’art. 149, comma quarto, del Codice di
procedura penale e rilevava la notevole gravità della seconda
deduzione sotto il profilo che la mancanza del contraddittorio
determinata dalla struttura stessa del procedimento censurato
degraderebbe la pronuncia ad atto privo del carattere tipico della
giurisdizione. E dopo una breve esposizione delle ragioni per cui il
contraddittorio è elemento indispensabile per l’esistenza di un
regolare rapporto processuale e strumento indispensabile di garanzia
dell’attuazione del diritto tra i contendenti, precisava che “un
processo, il quale non assicuri il contraddittorio delle parti, non è
idoneo alla attuazione del diritto, né alla tutela giurisdizionale dei
diritti di chi voglia agire in giudizio, né alla garanzia del diritto
di difesa di chi è interessato al rapporto controverso” e che “la
norma che in siffatto modo fosse per regolare quel processo si
porrebbe, per ciò solo in contrasto con i commi primo e secondo
dell’art. 24 della Costituzione”.
Con riferimento alla specie, secondo la Corte di Catania, non si
poteva non dare soluzione negativa al quesito se l’articolo 149 del
Codice di procedura penale si informasse al principio (del rispetto)
del contraddittorio.
L’art. 480 del Codice di procedura penale, infatti, prevede che la
falsità dell’atto, accertata con sentenza pronunciata nel giudizio
deve essere dichiarata nel relativo dispositivo e che con lo stesso
dispositivo debbono ordinarsi i provvedimenti riparatori del falso. Ma
l’adozione di questi, aggiunge lo stesso art. 480, con una disposizione
palesemente informata al principio sopradetto, è vietata “quando può
pregiudicare interessi di terzi non intervenuti come parti nel
procedimento”. Tali regole poi valgono anche per le sentenze
istruttorie di proscioglimento in forza dell’espresso rinvio contenuto
nell’art. 380 del Codice di procedura penale.
Stante ciò e ritenuto che, giusta il prevalente orientamento della
giurisprudenza, gli anzidetti provvedimenti (dichiarazione della
falsità e provvedimenti riparatori) possono essere formalmente
pronunciati anche con la ordinanza di correzione ed integrazione del
dispositivo emessa ai sensi dell’art. 149 del Codice di procedura
penale, secondo la Corte di Catania nel procedimento di correzione di
errori materiali non sarebbe rispettata l’esigenza del contraddittorio.
Il citato art. 149, infatti, prevede che alla correzione ed
integrazione il giudice possa provvedere anche d’ufficio con ordinanza
in camera di consiglio “previa citazione, se è possibile, della parte
che vi ha interesse”. La citazione della parte interessata viene così
sottoposta ad una duplice limitazione, in quanto, da un lato, è
rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, in funzione delle
possibilità (di individuazione) offerte dal processo penale e
dall’altro è ammessa solo per quei soggetti che abbiano assunto (nel
processo penale) la qualità di parte. E ciò comporta che il
contraddittorio è ritenuto pressocché superfluo.
Pertanto la Corte d’appello di Catania non mancava di considerare
apprezzabile l’opinione espressa in autorevoli decisioni che, qualora
l’adozione dei provvedimenti riparatori del falso potesse pregiudicare
interessi di terzi estranei, si dovesse, fare ricorso al procedimento
incidentale di esecuzione di cui agli artt. 628 e seguenti del codice
di procedura penale, ma riteneva che la possibilità di adottare i
ripetuti provvedimenti a mezzo del procedimento di correzione ex art.
149, poggiando su un rito non assistito dalle garanzie del
contraddittorio, si traduce “in un sostanziale diniego di tutela
giurisdizionale per coloro che vengono ad essere pregiudicati nei loro
interessi”; e con ordinanza del 4 agosto 1967, premesso e ritenuto
quanto sopra, sollevava, d’ufficio, considerandola rilevante e non
manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 149, comma primo, del Codice di procedura penale, nella parte
che disciplina il procedimento, in riferimento all’art. 24, commi primo
e secondo, della Costituzione.
L’ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, veniva
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 321 del 23 dicembre 1967.
Davanti a questa Corte si costituiva solo la Tiralosi a mezzo
dell’avv. Luigi La Ferlita e con deduzioni depositate il 7 dicembre
1967, chiedendo che la questione fosse dichiarata fondata, giacché
sarebbe manifesto che nella norma denunziata non è osservato il
principio del contraddittorio, fondamentale in qualunque tipo di
processo ordinato alla attuazione del diritto.
1. – Secondo la Corte di appello di Catania la rilevanza della
sollevata questione deriva dal fatto che l’eventuale dichiarazione di
illegittimità dell’art. 149, comma primo, del Codice di procedura
penale nella parte relativa al procedimento, perché in contrasto con
l’art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione, influirebbe
sull’autorità dell’ordinanza di correzione nel giudizio civile.
Nonostante la sua sinteticità, la motivazione fornita dal giudice
a quo appare sufficiente.
Ciò esime la Corte dall’affrontare i problemi connessi alla
ammissibilità, nella specie, del procedimento di correzione di cui
all’art. 149, comma primo, e alla natura e portata della efficacia, in
sede civile, della sentenza istruttoria di proscioglimento che accerti
la falsità in atti (specie se corretta o integrata in forza di quel
procedimento).
2. – Il procedimento di correzione di errori materiali (seguito per
il completamento – con l’aggiunta delle parti omesse – del dispositivo
della sentenza istruttoria di proscioglimento della Tiralosi dal reato
di falso) sarebbe privo del contraddittorio, e l’art. 149, comma primo,
nella parte che disciplina tale procedimento, sarebbe per ciò in
contrasto con l’art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione.
Il rispetto del principio del contraddittorio è infatti essenziale
e si sostanzia nella possibilità data alle parti di essere presenti in
giudizio ed a ciascuna di esse di proporre domande ed eccezioni e di
opporsi alle pretese e alle eccezioni lato sensu delle altre.
Esso ricorre normalmente e si ha anche nelle ipotesi eccezionali in
cui l’attuazione del contraddittorio è posticipata ovvero rimessa alla
volontà della parte interessata. “Un processo – afferma la Corte di
Catania – il quale non assicuri il contraddittorio delle parti, non è
idoneo all’attuazione del diritto, né alla tutela giurisdizionale dei
diritti di chi voglia agire in giudizio, né alla garanzia del diritto
di difesa di chi è interessato al rapporto controverso”.
3. – La censura è fondata.
Alla correzione di errori materiali contenuti nelle sentenze, nelle
ordinanze e nei decreti provvede, anche d’ufficio, con ordinanza in
camera di consiglio, il giudice che ha compiuto l’atto “previa
citazione, se è possibile, della parte che vi ha interesse”.
Tale è il contenuto dell’art. 149, comma primo. E la norma non
sembra integrata o modificata da altre disposizioni.
Le parti del procedimento o giudizio penale principale non trovano,
nel procedimento di cui all’art. 149, le garanzie di cui ai primi due
commi dell’art. 24 della Costituzione.
Per tali parti, infatti, si distingue a seconda che abbiano
interesse o meno alla correzione degli errori materiali. Ma non si
precisa con rigore se tra le parti interessate rientrino solo qubelle
che dall’emittendo provvedimento si prospettino di conseguire un
vantaggio ovvero anche quelle che temano di subire un pregiudizio e si
lascia solo intendere che parti interessate siano unicamente le prime.
E per queste, la norma in esame non prevede che le stesse debbano
essere citate in ogni caso. La citazione della parte che vi ha
interesse, infatti, va disposta solamente “se è possibile”. Ciò
significa che la citazione, come ritiene la Corte di Catania, è a
rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice in funzione delle
possibilità (di individuazione) offerte dal processo penale”.
La mancata citazione della parte che vi ha interesse, d’altro
canto, non comporta, secondo il prevalente orientamento della –
giurisprudenza, alcuna sanzione di nullità, sempre che, sul punto, non
debba farsi riferimento all’art. 185, n. 3, del Codice di procedura
penale ovvero all’art. 630 dello stesso Codice.
A tutte le parti, in caso d’iniziativa d’ufficio, e alle parti
diverse da quella istante nel relativo caso non è garantita la
possibilità di opporsi attraverso l’esercizio dei rispettivi diritti e
di difendersi. Ed esaurito il procedimento ex art. 149, non è dato
alle stesse il potere di far valere altrimenti le loro ragioni.
Né si può valutare diversamente il procedimento per ciò che
“l’ordinanza che dispone la correzione è soggetta al ricorso per
cassazione” (art. 149, comma quarto): non è infatti previsto nessun
apposito o adeguato strumento perché l’ordinanza di correzione venga
conosciuta o diventi conoscibile da tutti gli interessati (o almeno da
quelli intervenuti come parti nel procedimento o giudizio principale).
Va, per tutto ciò, condivisa la considerazione effettuata dalla
Corte di Catania, che nella previsione normativa “il contraddittorio è
ritenuto pressocché superfluo”.
E tale non avrebbe potuto e dovuto presentarsi, in nessuna ipotesi.
Non solo nel caso (di cui al processo a quo) di correzione ed
integrazione delle omissioni della sentenza istruttoria di
proscioglimento dal reato di falso (caso in cui, per altro, secondo la
dottrina e parte della giurisprudenza, il ricorso al procedimento di
cui all’art. 149 sarebbe del tutto ingiustificato) proprio perché le
omesse pronunce possono riguardare interessi (privati) distinti e
diversi da quello della fede pubblica. Ma neppure nel caso più
semplice e tipico di vera e propria correzione di omissioni e errori
(che non producono nullità e la cui correzione non importa una
modificazione essenziale dell’atto).
La funzione incidentale ed accessoria del procedimento, data la sua
importanza, esclude che possano avere rilievo le caratteristiche
strutturali, e comporta ed esige che le parti del procedimento o
giudizio principale mantengano le loro posizioni e per quanto attiene
all’esercizio dei diritti e per quanto concerne la difesa in giudizio.
Appare, per tutto ciò, evidente, nel procedimento previsto
dall’art. 149, comma primo, il mancato rispetto del principio del
contraddittorio. E di conseguenza, risulta evidente che la violazione
dell’art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 149, comma
primo, del Codice di procedura penale, limitatamente all’inciso “se
possibile”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.