Sentenza N. 83 del 1988
Corte Costituzionale
Data generale
26/01/1988
Data deposito/pubblicazione
26/01/1988
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/01/1988
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
terzo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del
trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica),
promossi con ordinanze emesse il 29 marzo 1983 dal Pretore di Milano,
il 29 marzo 1983 dal Pretore di Biella (n. 2 ordinanze), il 10 giugno
1983 dal Pretore di Novara, il 28 maggio 1983 dal Pretore di Bra, il
14 dicembre 1983 dal Pretore di Montecchio Emilia, il 1° marzo 1984
dal Pretore di Roma, il 17 ed il 23 febbraio 1984 dal Pretore di
Corteolona, il 12 marzo 1984 dal Pretore di Frosinone, il 27 febbraio
1984 dal Pretore di Saluzzo, il 28 giugno 1984 dal Pretore di
Piombino, il 22 marzo (n. 2 ordinanze) ed il 25 ottobre 1984 dal
Tribunale di Novara ed il 20 giugno 1986 dal Tribunale di Arezzo,
rispettivamente iscritte ai nn. 444, 683, 684, 797 e 851 del registro
ordinanze 1983, ai nn. 103, 470, 510, 511, 563, 566, 1070, 1082 e
1083 del registro ordinanze 1984, al n. 14 del registro ordinanze
1985 ed al n. 827 del registro ordinanze 1986 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 dell’anno 1983, nn. 18,
25, 60, 197, 266, 287, 294 e 307 dell’anno 1984, nn. 42 bis , 50 bis
e 131 bis dell’anno 1985 e n. 5/I ss. dell’anno 1986;
Visti gli atti di costituzione di Del Regno Mafalda, di Nacca
Lorenzo e della S.p.A. La Magona d’Italia nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 10 novembre 1987 il Giudice
relatore Francesco Greco;
Uditi gli avvocati Luciano Ventura per Del Regno Mafalda e Nacca
Lorenzo e l’Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
aventi ad oggetto il diritto di taluni lavoratori subordinati,
cessati dal servizio anteriormente al 1986, alla corresponsione, in
aggiunta al trattamento di fine rapporto ed in cifra fissa,
dell’importo dei punti di contingenza maturati fra l’1 gennaio 1977
ed il 31 maggio 1982, “congelati” ( ex d.l. 1° febbraio 1977, n. 12,
convertito in l. 31 marzo 1977, n. 91) e non ancora recuperati alla
base di computo di tale trattamento in virtù del meccanismo di
graduale inserimento previsto dall’art. 5, secondo comma della l. 29
maggio 1982, n. 297, i Pretori di Milano (R.O. n. 444/83), di Biella
(R.O. nn. 683 e 684/83), di Novara (R.O. n. 797/83), di Bra (R.O. n.
851/83), di Montecchio Emilia (R.O. n. 103/84), di Roma (R.O. n.
470/84), di Corteolona (R.O. nn. 510 e 511/84), di Frosinone (R.O. n.
563/84), di Saluzzo (R.O. n. 566/84) e di Piombino (R.O. n. 1070/84),
nonché i Tribunali di Novara (R.O. nn. 1082 e 1083/84; 14/85) e di
Arezzo (R.O. n. 827/86) hanno sollevato, in relazione agli artt. 3 e
36 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5,
secondo e terzo comma della citata legge n. 297/82.
Tutti i giudici a quibus – eccezione fatta per il pretore di
Montecchio Emilia, la cui ordinanza non contiene alcuna motivazione,
né sulla rilevanza, né sulla non manifesta infondatezza della
questione – muovono dal presupposto ermeneutico per cui il terzo
comma del citato art. 5, secondo il suo non equivoco tenore
letterale, impone che i suddetti aumenti di contingenza – non
ricompresi, ai sensi del precedente comma secondo, nella retribuzione
annua utile per la liquidazione del trattamento di fine rapporto, per
essere la cessazione del servizio avvenuta anteriormente al 1986 –
siano corrisposti al lavoratore secondo il loro valore assoluto e
cioè non in proporzione alla durata del rapporto medesimo,
sommandosi così a tale trattamento.
Così intesa, la normativa richiamata viene ritenuta produttiva di
disparità di trattamento fra i lavoratori il cui rapporto cessi in
data idonea a consentir loro di fruire, in aggiunta al trattamento
relativo, della corresponsione di tutti gli aumenti in questione o di
parte di essi ed i lavoratori il cui rapporto cessi in data
posteriore con la conseguenza che, restando siffatta erogazione
aggiuntiva limitata ad un minor numero di tali aumenti (in quanto
quelli residui vengono ricompresi nella base di computo del ripetuto
trattamento in forza del già ricordato meccanismo di recupero
graduale), nonostante la maggior durata della loro prestazione,
questi ultimi lavoratori percepiscono una liquidazione
complessivamente inferiore a quella spettante ai primi.
Invero, il lavoratore che cessi dal servizio nel periodo dal 1°
giugno 1982 al 31 dicembre 1982 ha diritto, in aggiunta al
trattamento di fine rapporto, al pagamento della somma di lire
418.075, pari all’importo dei complessivi 175 punti di contingenza
“congelata”; mentre chi continua a lavorare oltre quest’ultima data e
recupera, quindi, gradualmente i punti stessi ottiene, per quanto
riguarda questa voce della sua complessiva liquidazione, una somma
inferiore: ciò perché nel secondo caso i punti di contingenza
recuperati (per gruppi semestrali di 25) sono entrati a far parte
della retribuzione annua utile ed hanno quindi subito la divisione
per il coefficiente 13,5.
Si rileva, inoltre, che la norma censurata, intesa nel significato
chiarito, implica anche l’irrazionale conseguenza per cui, ove il
lavoratore risolva due o più rapporti diversi nel periodo dal 30
giugno al 31 dicembre 1982, egli verrebe a percepire due o più volte
la suddetta somma aggiuntiva a differenza di colui che risolva nello
stesso periodo un solo rapporto.
Ne risulta, dunque, ad avviso dei giudici remittenti, leso il
principio di proporzionalità della retribuzione (differita, quale
deve ritenersi l’indennità di fine rapporto) alla quantità di
lavoro e, correlativamente, anche quello di parità di trattamento,
posto che i lavoratori con maggiore anzianità di servizio traggono
da questa benefici economici meno consistenti di quelli riservati ai
titolari di rapporti di minore durata.
2. – Nei susseguenti giudizi davanti a questa Corte è intervenuto
il Presidente del Consiglio dei Ministri e si sono costituite talune
delle parti private.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, che sollecita la declaratoria di
infondatezza della questione, la norma impugnata ha istituito un
regime transitorio con l’intento di indennizzare il pregiudizio
subito in passato dai lavoratori a causa del “congelamento”
dell’indennità di contingenza e non riparabile attraverso il
meccanismo del secondo comma dell’art. 5 (graduale assorbimento degli
aumenti pregressi, fino a totale esaurimento di questi nell’arco
dell’anno 1986) stante la risoluzione del rapporto prima della data
finale prevista per la compiuta operatività del meccanismo stesso.
Si tratta, quindi, di un sistema creato per reintegrare una
perdita patrimoniale riferibile all’arco di tempo durante il quale ha
avuto effetto il regime di blocco della contingenza; sistema che,
pertanto, prescinde del tutto dalla durata del rapporto di lavoro,
rilevante, invece, ai fini del trattamento ex art. 2120, rispetto al
quale la reintegrazione de qua non costituisce elemento integrante,
ma appunto, come la stessa norma non manca di chiarire letteralmente,
un’erogazione “aggiuntiva” legata a differenti ragioni genetiche e
causali.
Quanto all’ipotesi del lavoratore che, risolvendo due o più
rapporti diversi nel periodo 30 giugno-31 dicembre 1986, percepirebbe
due o più volte tale erogazione aggiuntiva, l’Avvocatura osserva che
la stessa non può realizzarsi perché o tutti tali rapporti sono
sorti a partire dal 1° giugno 1982: ed in tal caso la censurata
disparità transitoria non trova applicazione neppure una volta,
dovendosi viceversa applicare la disposizione “di regime”, in quanto
iniziati dopo il 1° giugno 1982, è solo a quel primo rapporto
applicabile la norma transitoria di cui all’art. 5, terzo comma,
della legge n. 297/82.
I due lavoratori costituiti (rispettivamente nei giudizi di cui
alle ordinanze n. 684/83 e n. 470/84) hanno preliminarmente eccepito
l’inammissibilità della questione per irrilevanza rispetto ai casi
di specie concernenti non già “una revisione del calcolo di aumenti
di contingenza già attribuiti, ma soltanto l’applicazione della
accellerazione una tantum, riconosciuta da una regolamentazione
transitoria ai lavoratori che si trovino in determinate condizioni”.
Nel merito ne hanno dedotto la infondatezza per ragioni
sostanzialmente analoghe a quelle svolte dall’Avvocatura dello Stato.
Di opposto tenore e di contenuto adesivo alle censure sollevate
dai giudici a quo è l’atto di costituzione (nel giudizio di cui
all’ord. n. 1070/84) della S.p.a. La Magona d’Italia.
Nell’imminenza dell’udienza hanno depositato memorie la S.p.a. “La
Magona d’Italia” (costituita nel giudizio introdotto con l’ord. n.
1070 del 1984 del pretore di Piombino) nonché i lavoratori
costituiti nei giudizi introdotti con le ordinanze n. 684 del 1983
(del pretore di Biella) e n. 670 del 1984 (del pretore di Roma).
La difesa della suddetta società insiste per la declaratoria di
illegittimità costituzionale della norma censurata osservando che il
disposto di questa è in realtà il frutto di un equivoco in cui è
caduto lo stesso legislatore nel considerare la posizione di quei
lavoratori il cui rapporto sarebbe cessato fra il 1982 ed il 1986 e
cioè prima che negli accantonamenti annuali destinati ad erogazione
del trattamento di fine rapporto potesse tornare ad essere
interamente compatibile l’importo degli aumenti di contingenza
precedentemente “sterilizzati”.
Rileva, in particolare, che gli effetti di tale sterilizzazione
per il periodo 1977/1982 e sui rapporti nel medesimo cessati devono
intendersi ormai esauriti con la conseguenza che il danno per i
lavoratori interessati si è consumato in modo irresponsabile. Il
reinserimento graduale previsto dal secondo comma dell’art. 5 della
legge n. 297 del 1982 è diretto, infatti, stante il sistema degli
accantonamenti annuali (ciascuno indipendente dall’altro) attraverso
i quali si consegue il “nuovo” trattamento di fine rapporto, non già
a compensare quel danno, bensì a ripristinare progressivamente per
il futuro il regime di piena identità fra la retribuzione corrente e
quella utile per il computo di tale trattamento. In sostanza la nuova
legge perpetua – sia pure in modo progressivamente decrescente – il
regime derogatorio in peius che con la c.d. “sterilizzazione della
contingenza” era stato introdotto nella vigenza del vecchio istituto
della indennità di anzianità.
Questo graduale rientro nel suddetto regime di normale coincidenza
fra retribuzione corrente e retribuzione utile si ripercuote sugli
accantonamenti autonomamente riferibili a ciascuno degli anni
compresi fra il 1982 ed il 1986 e non esplica alcun effetto
relativamente ad accantonamenti riferibili ad anni precedenti, nei
quali le quote di retribuzione imputabili ad indennità di anzianità
erano e rimangono soggette al regime derogatorio della
sterilizzazione.
Ciò posto, ne risulta evidente che l’inizio dell’operatività del
meccanismo di rientro non assicura alcun vantaggio preferenziale ai
lavoratori ammessi a fruirne interamente – fino cioè a pervenire al
recupero completo della contingenza – rispetto a quelli che, invece,
non lo hanno portato a termine per essere il loro rapporto cessato
fra il 1982 ed il 1986: invero, anche quanti cesseranno il loro
rapporto dopo il 1986 vedranno liquidare la quota annuale del loro
T.F.R. – per gli stessi anni intermedi ora detti – con la medesima
base parzialmente decurtata della contingenza. L’equivoco in cui è
caduto il legislatore sta nell’avere trascurato tale circostanza e
cioè nel non avere considerato le differenze fra il vecchio regime
dell’indennità di anzianità (in presenza del quale una maggior base
di computo all’atto della relativa liquidazione avrebbe proiettato
all’indietro i propri effetti) ed il nuovo T.F.R. (composto da
accantonamenti annuali reciprocamente autonomi, determinabili
soltanto sulla base delle retribuzioni utili di ciascun anno di
riferimento).
La verità è, dunque, secondo la menzionata difesa, che manca
qualsiasi situazione di diseguaglianza fra i lavoratori ascrivibile
ai due gruppi sopra considerati: l’averla erroneamente ritenuta
esistente ha indotto il legislatore a dettare la norma transitoria di
cui al terzo comma del citato art. 5, la quale si pone, invece, essa
stessa come fonte di disparità di trattamento perché
irrazionalmente premia, con l’aggiunta al T.F.R. di una somma
corrispondente ai punti di contingenza non ancora recuperati alle
quote di accantonamenti annuali, quei lavoratori che, pur avendo
cessato il servizio anteriormente al 1986, nessun pregiudizio
economico hanno, per questo solo fatto, subito rispetto a quanti
hanno risolto più tardi il proprio rapporto.
La memoria esaminata ribadisce, poi, la disparità di trattamento
che la norma censurata crea fra gli stessi lavoratori che cessino dal
servizio fra il 1982 ed il 1986 in quanto, tenendo conto che, in
detto periodo, i punti di contingenza sono stati considerati dal
legislatore in una duplice valenza – e cioè ora come fattore di
computo della quota annuale da accantonare, ora in cifra fissa da
sommare al T.F.R. – ne risulta, come prospettato nelle ordinanze di
rimessione, la possibilità di un trattamento economico
complessivamente deteriore, in sede di liquidazione, per quei
lavoratori che, a parità di retribuzione, possano far valere
rapporti di più lunga durata.
Di tenore opposto le memorie dei lavoratori costituiti, i quali
insistono nelle precedenti difese specificando che l’intera normativa
intesa al superamento del precedente regime di sterilizzazione della
contingenza è ben lungi dall’assicurare ai lavoratori la
reintegrazione delle perdite prodotte da quest’ultimo: sia il
meccanismo di graduale recupero di cui al secondo comma dell’art. 5,
sia quello del computo in aggiunta al T.F.R., previsto dal terzo
comma della medesima norma, costituiscono risposte molto parziali ed
incomplete all’invito che questa Corte ha rivolto al legislatore con
la sentenza n. 142 del 1980 circa la necessità di evitare la
perpetuazione di un regime che, “nel futuro…., in difetto di
congrue compensazioni, rischierebbe di determinare squilibri più
gravi di quelli già in atto”. In questo contesto, il recupero dei
punti non risulta incostituzionale in sé e per sé e le modalità
del medesimo costituiscono una scelta discrezionale del legislatore
onde non appare proponibile una questione basata, in sostanza, su un
“eccesso di recupero” di un gruppo rispetto all’altro.
sentenza in quanto prospettano la identica questione.
2. – Con sedici ordinanze, quattordici Pretori e due Tribunali di
varie sedi denunciano la illegittimità costituzionale del secondo e
terzo comma dell’art. 5 della legge 29 maggio 1982, n. 297, i quali
prevedono, a favore dei lavoratori che cessano il rapporto di lavoro
prima del 1986 la corresponsione, in aggiunta al trattamento di fine
rapporto, degli aumenti della indennità di contingenza maturati tra
il 1° febbraio 1977, ed il 31 maggio 1982, “congelati” per effetto
del d.l. 1° febbraio 1977, n. 12, conv. nella legge 31 marzo 1977, n.
91 e non ancora recuperati con il meccanismo previsto dal secondo
comma dello stesso art. 5 (25 punti semestrali a partire dal 1°
gennaio 1983 e fino al 1° gennaio 1986). A parere dei giudici
remittenti, risulterebbero violati gli artt. 3 e 36 Cost. in quanto i
lavoratori con maggiore anzianità riceverebbero un trattamento di
minore importo.
2.1 – Le censure non sono fondate.
Il d.l. 1° febbraio 1977, n. 91 operò il “congelamento” dei punti
di contingenza corrisposti ai lavoratori a decorrere dal 1° febbraio
1977, destinando le somme non erogate alla riduzione dei costi
aziendali o alla copertura di oneri pubblici e poi lasciandoli nel
patrimonio dei datori di lavoro.
Il “congelamento” è durato fino al 31 maggio 1982. Ne sono stati
immuni i lavoratori che hanno iniziato il rapporto dopo la suddetta
data.
L’art. 5, primo e secondo comma, censurato fa parte di un più
ampio contesto legislativo (la legge 29 maggio 1982, n. 297) che ha
disciplinato ex novo l’indennità di fine rapporto a partire dal
1° giugno 1982, data della sua entrata in vigore, mentre per il
periodo precedente sono rimaste in vigore le norme del codice civile
(art. 2120 cod. civ. e segg.).
La detta indennità ha assunto una nuova fisionomia, diventando
risparmio assoggettabile a rivalutazione ed è liquidata con nuovi
criteri e modalità.
Il secondo comma dell’art. 5 di detta legge ha disposto che nella
retribuzione annua utile ai fini della detta indennità, a partire
dal 1° gennaio 1983 e fino al 1° gennaio 1986, fossero computati
anche i punti di contingenza o gli emolumenti di analoga natura,
maturati dal 1° febbraio 1977 fino al 31 maggio 1982, cioè quelli
“congelati” a suo tempo.
Il terzo comma dello stesso art. 5, aggiunto in sede di
Commissione, ha previsto a favore dei lavoratori che avessero cessato
il rapporto di lavoro prima del 1986, la corresponsione “una tantum”
dei detti aumenti, non ancora computati a norma del comma precedente,
in aggiunta al trattamento di fine rapporto.
Il legislatore ha previsto, quindi, due criteri: uno a favore dei
lavoratori la cui indennità di fine rapporto è liquidata secondo la
nuova legge (inglobamento nella retribuzione annua dei 25 punti
semestrali a partire dal 1° gennaio 1983 e fino al 1° gennaio 1986) e
l’altro a favore dei lavoratori che avevano cessato il rapporto prima
del 1° gennaio 1983 e la cui indennità di fine rapporto era stata
liquidata in massima parte secondo la legge abrogata (liquidazione
“una tantum” dei 175 punti di contingenza, in aggiunta al trattamento
di fine rapporto; e l’interpretazione è seguita dalla giurisprudenza
formatasi sul punto). Per i lavoratori che, pur cessando il rapporto
di lavoro prima del 1986, abbiano maturato alcuni punti semestrali, i
restanti punti vengono liquidati “una tantum” sempre in aggiunta al
trattamento di fine rapporto.
Gli attori dei giudizi di cui alle ordinanze di rimessione hanno
cessato il loro rapporto di lavoro quasi tutti prima del 1° gennaio
1983; tranne due, il cui rapporto, invece, è cessato il 28 febbraio
1983 e il 30 giugno 1983, sempre, però, prima del 1986.
2.2 – In via generale si osserva che la norma in esame ha una
finalità prettamente equitativa ed una funzione compensativa per
coloro che hanno cessato il rapporto di lavoro nel 1986. Il
reinserimento globale ed integrale della contingenza “congelata”
nella retribuzione presa a base del calcolo per l’indennità di fine
rapporto è largamente compensativa del sacrificio imposto loro dalla
legge n. 91 del 1977, atteso anche le nuove modalità di
determinazione della indennità e la fruibilità della maggiorazione
degli importi anche per effetto delle trattative contrattuali. Per
gli altri lavoratori ha una funzione prettamente risarcitoria ed
equitativa, non raggiungendo essi il reinserimento globale di tutti i
punti di contingenza “congelati”, se non fosse intervenuta la norma
oggetto della censura (art. 5, terzo comma) sarebbero stati
ingiustamente penalizzati. Si sarebbero certamente determinati
trattamenti differenziati non in rapporto all’anzianità ma per
effetto della diversità della base di calcolo della indennità. E i
detti lavoratori avrebbero subìto un trattamento peggiorativo
rispetto alla legislazione del tempo.
La norma dà loro equitativamente un beneficio aggiuntivo. Mentre
lo scaglionamento degli oneri indotti dalla nuova disciplina, pur
innescando differenti regimi nel tempo, garantisce parità di
trattamento nel medesimo arco temporale.
2.3 – Si osserva, inoltre, che la norma, peraltro emanata, come si
desume dai lavori preparatori, anche a seguito della sentenza n. 142
del 1980 di questa Corte che decise la questione della legittimità
costituzionale della legge n. 91 del 1977 e nella quale si rivolse al
legislatore l’invito a porre rimedio al danno subito dai lavoratori
per effetto di detta normativa, ha già cessato i suoi effetti nel
1986. Gli inconvenienti prodotti, i quali, peraltro, sono stati di
modesta entità e molto limitati, sono ormai cessati. Inoltre, si è
trattato di una scelta del legislatore di politica economico-sociale,
che necessariamente ha potuto produrre scompensi perché le
fattispecie da regolare non si prestavano ad una rigorosa, puntuale
disciplina, la quale non può essere di assoluto dettaglio.
Il risarcimento che il legislatore ha effettuato non era del tutto
graduabile e proporzionale al danno subìto e, peraltro, già
consumatosi.
Alcuni lavoratori possono apparire privilegiati rispetto ad altri
che possono apparire sacrificati.
Ma la temporaneità della disciplina normativa e la temporaneità,
quindi, della durata dei sacrifici e la modestia della loro entità
non ledono i principi costituzionali invocati.
Questa Corte (sent. n. 142 del 1980) ha già affermato che il
legislatore può ristrutturare l’indennità di anzianità o di fine
rapporto della stessa senza che risulti violato l’art. 36 Cost..
Le innovazioni del genere devono tenere conto della qualità e
quantità di lavoro prestato dagli interessati agli effetti del
combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost. Il modesto divario che si
può produrre tra categorie di lavoratori che cessano dal rapporto di
lavoro in varie epoche, non arreca offesa in misura censurabile da
questa Corte al criterio della quantità di lavoro assunto come
durata del rapporto e componente del calcolo del quantum della
indennità in tal senso garantito dall’art. 36 Cost. È sufficiente
che esista un rapporto ragionevole tra quantità di lavoro e
retribuzione complessiva;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riunisce i giudizi;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5, secondo e terzo comma, della legge 29 maggio 1982, n.
297, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., dai Pretori
di Milano, Biella, Novara, Bra, Montecchio Emilia, Roma, Corteolona,
Frosinone, Saluzzo e Piombino e dai Tribunali di Novara ed Arezzo,
con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1988.
Il presidente: SAJA
Il redattore: GRECO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI