Sentenza N. 86 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
23/03/1999
Data deposito/pubblicazione
23/03/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/03/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
(rectius: e dodicesimo) comma, della legge Regione Lazio 26 giugno
1987, n. 33 (Disciplina per l’assegnazione e la determinazione dei
canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica),
promosso con ordinanza emessa il 3 febbraio 1998 dal pretore di
Latina nel procedimento civile vertente tra A.M.G. e il comune di
Latina iscritta al n. 359 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie
speciale, dell’anno 1998.
Visto l’atto di intervento della Regione Lazio;
Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti.
avverso il provvedimento del sindaco di detta città, che ha
dichiarato la occupante di un alloggio di edilizia residenziale
pubblica decaduta dall’assegnazione di detto alloggio, ha sollevato,
con ordinanza del 28 gennaio 1997, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 18, undicesimo (rectius: e dodicesimo)
comma, della legge Regione Lazio 26 giugno 1987, n. 33 (Disciplina
per l’assegnazione e la determinazione dei canoni di locazione degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica), in riferimento agli artt.
108 e 117 della Costituzione.
2. – L’ordinanza di rimessione premette che il comune di Latina,
nel costituirsi in giudizio, ha eccepito, tra l’altro,
l’inammissibilità dell’opposizione, in quanto proposta con atto di
citazione notificato entro il termine perentorio di trenta giorni,
anziché con ricorso depositato nella cancelleria del pretore
territorialmente competente, così come stabilito dall’art. 18,
undicesimo comma, della legge Regione Lazio n. 33 del 1987.
La norma regionale, prosegue il rimettente, stabilisce infatti che
avverso il provvedimento di decadenza dall’assegnazione di alloggio
di edilizia residenziale pubblica pronunziato dal sindaco può essere
proposto ricorso innanzi al pretore ed attribuisce a detto giudice il
potere di sospendere l’esecuzione del provvedimento. La disposizione,
a suo avviso, disciplina una materia non compresa tra quelle
attribuite alla competenza del legislatore regionale e, quindi, si
pone in contrasto con gli artt. 108 e 117 della Costituzione. Il
giudice a quo a conforto della censura, richiama i principi affermati
dalla Corte nelle decisioni con le quali sono state dichiarate
costituzionalmente illegittime norme di leggi regionali di contenuto
analogo a quella in esame, proprio in quanto concernevano la materia
processuale, riservata dall’art. 108 della Costituzione alla
competenza del legislatore statale (sentenze n. 210 del 1993; n. 113
del 1993; n. 505 e n. 489 del 1991; n. 594 del 1990; n. 727 del
1988; n. 81 del 1976).
La questione, conclude l’ordinanza di rimessione, appare rilevante,
dato che la decisione della domanda richiede che si faccia
applicazione della norma impugnata.
3. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente della Giunta
regionale del Lazio, il quale ha eccepito che la questione è
infondata e ne ha chiesto il rigetto.
L’interveniente premette che la legge Regione Lazio n. 33 del 1987
disciplina l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale
pubblica e la misura del relativo canone di locazione, in attuazione
dei criteri stabiliti dal Comitato interministeriale per la
programmazione economica (Cipe). Siffatti criteri ribadiscono che le
leggi regionali non possono disciplinare, sostituire o modificare,
tra l’altro, le norme di cui all’art. 8 ultimo comma, all’art. 11,
tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo comma, all’art. 15,
ultimo comma, del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 ed all’art. 32 del
r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, in quanto esse attengono alla
giurisdizione, materia oggetto di riserva di legge statale, ai sensi
dell’art. 108 della Costituzione. Le regioni, a suo avviso, possono
però prevedere ulteriori forme di autotutela dei comuni e degli enti
gestori nei confronti dei cedenti e degli occupanti degli alloggi
responsabili di violazioni di legge, del contratto di locazione o di
provvedimenti dell’ente gestore. Secondo l’interveniente, la legge
regionale in esame disciplinerebbe appunto forme e mezzi di
autotutela da parte dei comuni e la norma censurata non
modificherebbe la giurisdizione così come stabilita dalla legge
dello Stato. Infatti, essa “riproduce esattamente, parola per parola”
l’art. 11, commi dal dodicesimo al quindicesimo, del d.P.R. n. 1035
del 1972, ed inoltre identifica nel sindaco, anziché nel presidente
dell’Istituto autonomo case popolari, l’organo titolare del potere di
autotutela, con previsione che, in parte qua sarebbe conforme alle
direttive Cipe.
Dunque, conclude il Presidente della Giunta regionale, la norma
impugnata è immune dai vizi denunciati, in quanto si limita a
confermare la legislazione statale, “riproducendola addirittura
parola per parola nel punto relativo alla possibilità di proporre
ricorso al pretore” e non introduce elementi di novità quanto ai
rimedi giurisdizionali esperibili avverso i provvedimenti
sanzionatori, alla giurisdizione, alla disciplina del processo.
4. – Le parti del processo principale non si sono costituite nel
giudizio innanzi alla Corte.
18, undicesimo, nonché dodicesimo comma, della legge Regione Lazio
26 giugno 1987, n. 33, i quali stabiliscono che contro il
provvedimento del sindaco, di decadenza dall’assegnazione
dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, “l’interessato può
proporre ricorso al pretore” “entro il termine perentorio di trenta
giorni dalla notificazione del provvedimento stesso” ed attribuiscono
al pretore la “facoltà di sospendere l’esecuzione del decreto”. Dal
tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione risulta infatti con
chiarezza che la censura del giudice a quo riguarda entrambe le
disposizioni, sicché la questione deve ritenersi ritualmente
proposta anche in riferimento al dodicesimo comma del suindicato art.
18, nonostante esso non sia stato indicato nel dispositivo.
Secondo il rimettente, la norma impugnata viola gli artt. 108 e 117
della Costituzione, in quanto non rientrerebbe nelle competenze
regionali la disciplina della giurisdizione e del processo, riservata
alla legge dello Stato.
2. – La questione è fondata.
Il legislatore regionale, secondo la costante e consolidata
giurisprudenza di questa Corte, concernente disposizioni molto spesso
identiche a quelle censurate, non può statuire in ordine a rimedi
giurisdizionali, ovvero ai poteri o alle facoltà dell’Autorità
giudiziaria, dato che l’art. 108 della Costituzione riserva la
materia della giurisdizione e quella processuale alla competenza del
legislatore statale (tra le più recenti, sentenze n. 134 e n. 133
del 1998). La giurisprudenza costituzionale ha più volte anche
affermato, ancora in fattispecie analoghe a quella in esame, che la
violazione di tale parametro non può essere esclusa, qualora la
legge regionale riproduca, ovvero disponga un rinvio alla normativa
statale contenuta nell’art. 11, tredicesimo, quattordicesimo e
quindicesimo comma, del d.P.R. n. 1035 del 1972, in quanto ciò
comporta “un’indebita novazione della fonte, con tutte le conseguenze
che ne derivano, anche sul piano applicativo” (ex plurimis sentenze
n. 134 e n. 133 del 1998; n. 390 del 1996; n. 457 del 1994; n. 76 del
1995).
Nel quadro di tali principi, le disposizioni censurate violano
dunque l’art. 108 della Costituzione, disciplinando una materia che
è al di fuori delle competenze regionali fissate dall’art. 117 della
Costituzione.
3. – L’art. 18 della legge regionale in esame riproduce, al
tredicesimo comma, la omologa disposizione contenuta nel quindicesimo
comma dell’art. 11 del d.P.R. n. 1035 del 1972, in quanto stabilisce
che “il provvedimento di sospensione può essere dato dal pretore con
decreto in calce al ricorso”. Quest’ultima disposizione, essendo
state dichiarate illegittime le norme contenute nell’undicesimo comma
e nel dodicesimo comma del succitato art. 18, risulta priva di
autonomo significato ed è inapplicabile, dato che è strettamente
conseguenziale a quelle annullate. Ai sensi dell’art. 27 della legge
11 marzo 1953, n. 87, pertanto, tale norma deve essere dichiarata
costituzionalmente illegittima.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara:
a) l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, commi 11 e 12,
della legge Regione Lazio 26 giugno 1987, n. 33 (Disciplina per
l’assegnazione e la determinazione dei canoni di locazione degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica);
b) in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.
87, l’illegittimità costituzionale del tredicesimo comma dell’art.
18 della stessa legge regionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Capotosti
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 23 marzo 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola