Sentenza N. 87 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
17/04/1969
Data deposito/pubblicazione
17/04/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
02/04/1969
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE, Giudici,
decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), promosso con
ordinanza emessa il 18 aprile 1967 dal tribunale di Roma nel
procedimento civile vertente tra Bellone Aurelio e la Compagnia
mediterranea di assicurazioni, iscritta al n. 235 del Registro
ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 307 del 9 dicembre 1967.
Visti gli atti di costituzione della Compagnia mediterranea di
assicurazione e d’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 20 marzo 1969 la relazione del
Giudice Nicola Reale;
uditi l’avv. Massimo Severo Giannini, per la Compagnia di
assicurazioni, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare
Soprano, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Con atto di citazione del 30 novembre 1965 il signor Aurelio
Bellone conveniva davanti al tribunale di Roma, sezione del lavoro, la
Compagnia mediterranea di assicurazioni, società per azioni, posta in
liquidazione coatta amministrativa con decreto del Presidente della
Repubblica in data 17 settembre 1964 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale del 28 successivo) e dichiarata in stato di insolvenza con
sentenza del tribunale di Roma del 7 ottobre 1964.
L’attore esponeva che fin dal 10 febbraio 1954 era stato assunto
alle dipendenze della Società convenuta con qualifica di capo ufficio,
ma di essere stato adibito sempre a mansioni superiori fino alla data
del licenziamento, intimatogli dal commissario liquidatore il 31 agosto
1965.
Asseriva però di non aver mai percepito, nel corso del rapporto di
lavoro, il trattamento retributivo corrispondente alle prestazioni
effettivamente svolte e che, in conseguenza, anche le somme a lui
liquidate, a titolo di indennità di anzianità e di parziale mancato
preavviso, ma accettate con riserva e non a transazione e saldo,
risultavano inferiori a quelle dovutegli.
Per tali differenze di stipendio e di indennità l’attore chiedeva
che la Società convenuta fosse, ai sensi degli artt. 36 della
Costituzione e 2103 del Codice civile, condannata al pagamento della
somma di lire 29.000.000.
Il commissario liquidatore, costituitosi avanti al tribunale di
Roma, in via pregiudiziale eccepiva l’inammissibilità o quanto meno
l’improcedibilità della domanda in pendenza della liquidazione coatta,
assumendo che, per l’accertamento dei crediti vantati contro la
Compagnia mediterranea di assicurazioni, il Bellone avrebbe dovuto
avvalersi della procedura di cui agli artt. 208 e 209, in riferimento
agli artt. 201, primo comma, e 52, secondo comma, della legge
fallimentare.
L’attore replicava deducendo l’illegittimità costituzionale di
dette norme e il tribunale, ritenutane la pregiudizialità ai fini
della decisione della causa, con ordinanza 18 aprile 1967, sollevava la
questione di legittimità costituzionale specificamente dell’art. 201,
primo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui richiama il
secondo comma dell’art. 52, in relazione agli artt. 207, 208 e 209
della legge fallimentare: e ciò in riferimento all’art. 24, primo
comma, della Costituzione.
Il collegio ha osservato che, delle due fasi delle quali consta la
procedura di liquidazione coatta, l’una necessaria e di natura
amministrativa, l’altra giurisdizionale ma affatto eventuale, la prima
può avere uno svolgimento la cui durata non è perentoriamente
delimitata dalla legge, con la conseguenza che, fin quando l’elenco dei
creditori ammessi al riparto dell’attivo o respinti non sia stato
depositato nella cancelleria del tribunale, resta precluso l’esercizio
delle azioni individuali, a tutela dei rispettivi crediti. Nel che, a
giudizio del tribunale, sarebbe da scorgere grave limitazione, non
giustificata da preminenti esigenze di pubblico interesse, al diritto
dei singoli alla tutela giurisdizionale. Limitazione che in pratica
potrebbe rendere estremamente difficoltoso l’esercizio di un diritto e
perfino cagionarne la perdita nel caso in cui questo fosse assoggettato
ad un termine di decadenza inferiore a quello concesso al liquidatore
per la formazione dello stato passivo.
L’ordinanza, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il
13 ottobre 1967 ed alle parti il 16 ottobre, previa comunicazione ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato, è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 307 del 9 dicembre successivo.
Davanti a questa Corte si è costituita la Compagnia mediterranea
di assicurazioni, in persona del commissario liquidatore avvocato prof.
Ludovico Pazzaglia, rappresentato dall’avvocato prof. Massimo Severo
Giannini.
La difesa di detto ente, con deduzioni depositate il 29 dicembre
1967, assume essere la questione non fondata.
In riferimento al carattere ordinatorio del termine di 90 giorni da
quello del provvedimento di liquidazione, imposto, dall’art. 209 della
legge fallimentare, al commissario per l’accertamento e il deposito
dello stato passivo dell’impresa, osserva che la posizione dei
creditori potrebbe essere pregiudicata non già dallo svolgimento della
fase preliminare amministrativa, disciplinata anche per quanto riguarda
la sua durata dalla norma che si asserisce incostituzionale, ma
soltanto a seguito di un eventuale “abuso applicativo” di essa. La
questione sollevata dal tribunale di Roma non avrebbe cioè attinenza
con l’art. 24 della Costituzione, ma rifletterebbe il più ampio
problema dei comportamenti omissivi degli organi pubblici, involgendo
il tema della efficienza dei rimedi preveduti dall’ordinamento, per
ovviare alle conseguenze di tali comportamenti in danno dei terzi. Ma,
fuori di tale problematica, la sospensione dell’esercizio delle azioni
individuali, contro l’ente sottoposto a procedura di liquidazione
concorsuale, non sarebbe configurabile come pregiudizio a carico degli
stessi creditori, bensì come necessaria conseguenza del regime
concorsuale dell’istituto in esame.
Identiche conclusioni la difesa dell’ente ha formulato, con memoria
6 marzo 1969, ponendo in rilievo, tra l’altro, la sostanziale analogia
funzionale delle operazioni di formazione dello stato passivo nel
fallimento e nella liquidazione coatta, la cui natura amministrativa
non costituirebbe ostacolo alla protezione giurisdizionale.
Difficoltà non potrebbero neppur derivare, si è osservato, dal
mancato rispetto da parte del liquidatore del termine previsto per
l’esplicazione delle sue attribuzioni, nel caso di interferenza di un
termine di decadenza apposto all’esercizio del diritto soggettivo (come
nella specie è stabilito dall’art. 2103 ricordato nell’ordinanza). Non
si può infatti escludere che, in pendenza della liquidazione coatta,
le ragioni dei creditori possano trovare tutela, oltre che mediante
l’ammissione al passivo e in concorso di tutti gli aventi diritto,
anche a seguito della proposizione di domande giudiziali dirette contro
l’ente debitore, allo scopo precipuo di impedire la decadenza e per gli
effetti che la relativa pronunzia potrebbe avere dopo la conclusione
della procedura concorsuale.
Davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei Ministri, rappresentato dall’Avvocato generale dello Stato, con
atto di costituzione del 29 dicembre 1967.
L’Avvocatura dello Stato ha affermato che la questione di
costituzionalità prospettato dal tribunale deve ritenersi non fondata.
L’art. 201 della legge fallimentare, nel disciplinare la situazione
dei creditori in sede di liquidazione coatta amministrativa, richiama
puramente e semplicemente la disciplina del fallimento, discostandosi
dalle direttive di questa soltanto nelle disposizioni concernenti i
poteri del liquidatore, configurati in funzione del maggior interesse
della pubblica amministrazione alla eliminazione del turbamento creato,
nell’economia nazionale, dal dissesto di aziende di pubblico interesse
specificamente determinate dalla legge.
Nella liquidazione amministrativa incidono invero le stesse
esigenze che determinano la sospensione delle azioni individuali in
pendenza del fallimento; né la diversità degli organi preposti,
nell’una e nell’altra procedura concorsuale, alla formazione dello
stato passivo, potrebbe condurre a diverso trattamento dei creditori
sotto l’aspetto della tutela giurisdizionale garantita dall’art. 24
della Costituzione.
Quanto poi alla possibilità che termini di decadenza
interferiscano, nel corso della liquidazione, col divieto di azioni
individuali per l’accertamento dei crediti, l’Avvocatura dello Stato ha
sostenuto che il sistema offre adeguata protezione ai creditori,
legittimandoli a proporre o l’istanza di collocazione nello stato
passivo, la quale sostituisce a tutti gli effetti giuridici la
richiesta giudiziale nel periodo in cui questa è sospesa, oppure le
azioni ordinarie, salvo successiva sospensione del giudizio fino
all’esaurimento delle operazioni di formazione dello stato passivo.
Anche sotto questo particolare aspetto, quindi, non sussisterebbe
contrasto della norma denunziata con l’ordinamento costituzionale.
Nella pubblica udienza di discussione del 20 marzo 1969 i difensori
delle parti hanno illustrato oralmente le accennate conclusioni.
Il tribunale di Roma, in riferimento all’art. 24, primo comma,
della Costituzione, con l’ordinanza 18 aprile 1967, ha sollevato la
questione di costituzionalità dell’art. 201 del regio decreto 16 marzo
1942, n. 267 (la così detta legge fallimentare), nella parte in cui
richiama il secondo comma del l’art. 52 e rende applicabili
all’accertamento dei crediti, anche se muniti di prelazione, nei
confronti dell’ente assoggettato a liquidazione coatta amministrativa,
le norme riguardanti la formazione dello stato passivo stabilite dal
capo V, titolo II, del predetto testo, con gli adattamenti di cui agli
artt. 207, 208 e 209.
In virtù di questa normativa, previe le comunicazioni del
commissario liquidatore ai creditori ed ai terzi e le osservazioni,
istanze e domande a lui rivolte da questi soggetti, ai sensi e nei modi
di cui agli artt. 207 e 208 citati, spetta al liquidatore procedere
alla iscrizione dei crediti ammessi e di quelli respinti, nonché delle
domande, di cui al secondo comma dell’art. 207, accolte o respinte, in
un apposito elenco da depositarsi nella cancelleria del tribunale, nel
termine di novanta giorni dal provvedimento di liquidazione.
Dalla data del deposito, nell’ulteriore termine di quindici giorni,
sono proponibili, avanti l’autorità giudiziaria, le opposizioni dei
creditori esclusi o ammessi con riserva e le impugnazioni contro i
crediti ammessi al passivo.
La fissazione di un termine non perentorio concesso al liquidatore
e la conseguente eventualità che le operazioni, spesso complesse, per
la formazione dello stato passivo non siano esaurite in breve periodo
di tempo, importerebbero patente violazione del precetto costituzionale
per cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti ed interessi (art. 24, primo comma, Cost.). Ciò in quanto, ha
osservato il tribunale, nel corso delle predette operazioni, è
precluso ai creditori l’esercizio di azioni individuali, con evidente
loro pregiudizio, che può perfino concretarsi nella perdita del
diritto alla prestazione.
La questione non è fondata.
La legittimità della normativa denunziata deve essere esaminata
nel contesto della disciplina della liquidazione coatta amministrativa,
la quale riflette le stesse finalità pubblicistiche cui sono rivolte
le imprese ad essa soggette: finalità che giustificano gli interventi
della pubblica amministrazione, mediante la vigilanza sugli organi,
nonché l’ingerenza e i controlli sulle attività delle imprese
medesime.
Queste, come è noto, sebbene si avvalgano prevalentemente di
strutture ed attività ricadenti nella sfera del diritto privato,
involgono tuttavia molteplici interessi o perché attengono a
particolari settori dell’economia nazionale, in relazione ai quali lo
Stato assume il compito della difesa del pubblico affidamento, o
perché si trovano in rapporto di complementarità, dal punto di vista
teleologico e organizzativo, con la pubblica amministrazione.
Per le accennate ragioni non può non competere a questa il
presiedere alla liquidazione coatta di tali imprese, anche quando ne
sia dichiarato lo stato di insolvenza, designandone l’organo
liquidatore e controllando l’attività dello stesso, compresa quella
diretta, in particolare, all’accertamento del passivo.
Dal fatto che simile accertamento, per le norme della legge
fallimentare, in parte integrative delle leggi speciali e in parte
(come quella dell’art. 209) inderogabili, si svolga a cura di un
commissario liquidatore, senza l’immediato intervento dell’autorità
giudiziaria, diversannente da quanto previsto per l’ordinaria procedura
fallimentare, e che nel frattempo i singoli creditori trovino limiti
all’esperimento di azioni individuali, non deriva alcuna sostanziale
violazione del precetto costituzionale dell’art. 24, primo comma.
Queste limitazioni, ancorché attinenti ad un procedimento di
natura amministrativa, inteso a dare attuazione al criterio della par
condicio creditorum, in aderenza alla stessa funzione concorsuale della
liquidazione coatta, sono disposte per il tempo strettamente necessario
al liquidatore per la redazione dell’elenco dei creditori e si
risolvono nella improponibilità soltanto temporanea delle domande
giudiziali.
Con particolare riferimento ai dubbi espressi in proposito
nell’ordinanza si osserva che, da quanto sopra, non può derivare
pregiudizio alla realizzazione delle pretese, che invece i creditori
medesimi hanno potestà di far valere avanti l’autorità giudiziaria
nei modi e nei tempi prescritti dalla legge fallimentare, rimanendo
comunque escluso, in virtù dei principi generali dell’ordinamento, che
un temporaneo ma indeclinabile e tassativo impedimento all’esercizio
dell’azione, disposto dalla legge, possa condurre alla perdita del
diritto soggettivo: ipotesi estrema che il tribunale ha ritenuto di
prospettare, ancorché la fattispecie sottoposta al suo esame ne
escludesse l’attualità.
D’altro canto si deve rilevare che l’obbligatorio espletamento di
preventivi procedimenti amministrativi, oltre tutto preordinati, anche
se non esclusivamente, ad una composizione extra giudiziale dei
conflitti con i terzi creditori, non può dirsi che comporti una
illegittima limitazione della tutela giurisdizionale.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la tutela rimane
egualmente garantita, quando sia concesso al titolare del diritto di
agire non immediatamente al sorgere di esso, ma in un secondo tempo, se
ciò risponde a esigenze di ordine generale e a superiori finalità di
giustizia: quelle appunto che giustificano, nella valutazione del
legislatore, il contestuale esame, in sede amministrativa, delle
ragioni di tutti i creditori concorrenti alla distribuzione dell’attivo
dell’impresa in liquidazione coatta.
Quanto poi al detrimento che, secondo il tribunale, può derivare
ai creditori dal mancato rispetto del termine, che una indiscussa
interpretazione ritiene ordinatorio, apposto dall’art. 209 allo
svolgimento delle attribuzioni del commissario liquidatore, si osserva
che a ridurne la portata non mancano opportuni rimedi.
Un ritardo, infatti, non determinato dalla quantità e complessità
delle situazioni esaminate e che non sia quindi inevitabile, ma sia
invece da ascrivere a negligenza o risulti comunque imputabile al
liquidatore, potrebbe dar luogo ad azione di responsabilità a suo
carico (art. 199 della legge fallimentare), a parte le sanzioni penali
richiamate dall’art. 237 della stessa legge. Ed occorre appena far
cenno alla possibilità che i creditori, e per essi anche il comitato
di sorveglianza (nelle funzioni di cui all’art. 204 della legge
fallimentare), si avvalgano di tutti i mezzi consentiti dalle leggi,
quali denunzie, istanze o diffide, volte a ottenere l’intervento degli
organi di vigilanza e controllo della pubblica amministrazione
competente, perché sollecitino il liquidatore e, se del caso,
provvedano alla sua revoca e conseguente sostituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, in riferimento all’art. 24, primo comma,
della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 201 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sulla
“Disciplina del fallimento, del concordato preventivo
dell’Amministrazione controllata e della liquidazione coatta
amministrativa”, proposta con l’ordinanza del tribunale di Roma citata
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1969.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.