Sentenza N. 88 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1965
Data deposito/pubblicazione
22/12/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/12/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI
– Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
1963, n. 97, promosso con ordinanza emessa il 6 ottobre 1964 dal
Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Zane J. Sandom,
iscritta al n. 11 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 78 del 27 marzo 1965.
Udita nella camera di consiglio del 28 ottobre 1965 la relazione
del Giudice Giovanni Cassandro.
J. Sandom davanti al Pretore di Roma, è stata sollevata, nei confronti
dell’art. 39 della Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale della legge 9 febbraio 1963, n. 97, intitolata
“Estensione dei contratti collettivi di lavoro del settore del credito
registrati in applicazione della legge 14 luglio 1959, n. 741”, la
quale nel suo articolo unico stabilisce che “le disposizioni dei
decreti del Presidente della Repubblica 2 gennaio 1962, nn. 479, 501,
564, 668 e 934, emanate in attuazione della delega contenuta nella
legge 14 luglio 1959, n. 741, prorogata dall’art. 2 della legge 10
ottobre 1960, n. 1027, e contenente minimi inderogabili di trattamento
economico e normativo si applicano nei confronti dei lavoratori alle
dipendenze di aziende di credito, anche se esse abbiano meno di 100
dipendenti”.
Il Pretore ha ritenuto la questione rilevante e non manifestamente
infondata e in conseguenza ha sospeso il giudizio e rinviato gli atti a
questa Corte.
L’ordinanza, dopo le notificazioni e comunicazioni di rito, è
stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 78 del 27 marzo 1965.
2. – I motivi per i quali il Pretore ha considerato la questione
non manifestamente infondata, sono da ricercare, a suo avviso, nella
violazione dei principi di libertà sindacale e di autonomia collettiva
professionale sanciti dall’art. 39 della Costituzione. Il sistema posto
dalla legge 14 luglio 1959, n. 741, ha potuto trovare giustificazione
per la carenza legislativa nella materia della contrattazione
collettiva e per la tutela dell’interesse pubblico della parità di
trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro, e come eccezionale e
provvisorio, sicché ogni altra proroga, oltre quella disposta con
legge 1 ottobre 1960, n. 1027, sarebbe in contrasto col precetto
costituzionale.
Ora la legge impugnata è appunto nella sostanza una proroga
ulteriore e perciò costituzionalmente illegittima e, inoltre,
estendendo coattivamente un contratto collettivo a categorie diverse di
datori di lavoro (nel caso, le piccole aziende di credito), avrebbe
ulteriormente violato il principio dell’autonomia sindacale.
3. – Le parti non si sono costituite.
1. – Con la sentenza n. 106 dell’11 dicembre 1962 la Corte
costituzionale, pur negando che l’art. 39 della Costituzione contenga,
nel quarto comma, una riserva normativa o contrattuale in favore dei
sindacati, per il regolamento dei rapporti di lavoro, segnatamente se
intesa nel senso di precludere al legislatore ordinario ogni e
qualsiasi intervento in questa materia, affermò tuttavia che, soltanto
mediante il procedimento fissato dal ricordato art. 39, quarto comma,
era possibile estendere l’efficacia della contrattazione collettiva
erga omnes, anche, cioè, nei confronti dei datori di lavoro e dei
lavoratori appartenenti alla medesima categoria, ma rimasti estranei
alla contrattazione. L’infondatezza della questione di legittimità
costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, “recante norme
transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo
ai lavoratori”, fu motivata dalla carenza delle norme di attuazione
dell’art. 39 della Costituzione; e la legge stessa fu considerata
transitoria, provvisoria ed eccezionale, rivolta a regolare una
situazione passata e a tutelare l’interesse pubblico della parità di
trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro. E codesta
particolare natura della legge fu confermata dalla dichiarazione di
illegittimità costituzionale, affermata contestualmente, della legge 1
ottobre 1960, n. 1027, che, conferendo al Governo il potere di emanare
norme uniformi alle clausole degli accordi economici e dei contratti
collettivi stipulati entro i dieci mesi successivi all’entrata in
vigore della legge di delegazione, toglieva a questa il carattere di
transitorietà e di eccezionalità, che giustificava la dichiarazione
di infondatezza della relativa questione di costituzionalità.
2. – La Corte ritiene che dai sopra richiamati motivi discenda
l’illegittimità della legge impugnata. Essa, infatti, estendendo i
contratti di lavoro del settore del credito già registrati in
applicazione della legge 14 luglio 1959, n. 741, ai lavoratori
dipendenti da aziende di credito con meno di 100 dipendenti, non
soltanto non trova giustificazione nella necessità di estendere i
minimi di trattamento economico e normativo agli appartenenti a una
medesima categoria, assicurando la parità di trattamento dei
lavoratori e dei datori di lavoro che si trovano in parità di
condizioni; non soltanto, emanata com’è a 4 anni di distanza dalla
legge 14 luglio 1959, n. 741, non può essere qualificata come
eccezionale e transitoria; non soltanto rappresenta un intervento del
legislatore non già a tutela di interessi generali, e dei precetti
costituzionali in materia di lavoro, dei quali esso è il destinatario;
ma, estendendo l’efficacia dei contratti di lavoro stipulati tra una
certa categoria di aziende e i dipendenti di queste (aziende con più
di 100 dipendenti) ad un’altra categoria di aziende e ai relativi
dipendenti (aziende con meno di 100 dipendenti), ha violato la libertà
di organizzazione e di inquadramento che l’ordinamento costituzionale
non consente sia limitata o annullata dall’intervento autoritativo
della legge, ma considera parte essenziale della libertà di
associazione sindacale (cfr. la citata sentenza n. 106 del 1962).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge 9 febbraio
1963, n. 97, in riferimento all’art. 39 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – ANTONIO
MANCA – ALDO SANDULLI – GIUSEPPE
BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO
MORTATI – GIUSEPPE CHIARELLI –
GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO.