Sentenza N. 9 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
19/01/1993
Data deposito/pubblicazione
19/01/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/01/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
prof. Cesare MIRABELLI;
ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso
tributario), promosso con ordinanza emessa il 16 marzo 1992 dalla
Commissione Tributaria di primo grado di Piacenza sul ricorso
proposto da Colla Carlo contro l’U.T.E. di Piacenza, iscritta al n.
301 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 1992;
Visti l’atto di costituzione di Colla Carlo, nonché l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 18 novembre 1992 il giudice
relatore Renato Granata;
Uditi l’avv. Corrado Sforza Fogliani per Colla Carlo e l’Avvocato
dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei
ministri;
maggior rendita derivante, ad immobili di sua proprietà, dalla
applicazione delle nuove tariffe di estimo approvate con decreto
ministeriale del 27 settembre 1991, l’adita Commissione tributaria di
primo grado di Piacenza, pronunziando sulla eccezione di
inammissibilità del ricorso formulata dal resistente, ha sollevato,
con ordinanza del 16 marzo 1992, questione incidentale di
legittimità dell’art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 nella
parte in cui non prevede che i possessori di immobili urbani possano
ricorrere alle Commissioni tributarie anche in caso di mutamento
della rendita (di ogni singola unità) per effetto di revisione delle
tariffe di estimo, per contrasto con gli artt. 113 e 3 della
Costituzione.
Premesso, in via di interpretazione del citato art. 1 d.P.R.
636/72, che questo, nel fissare la competenza delle Commissioni
tributarie in materia di controversie catastali, fa riferimento, con
riguardo agli immobili urbani a destinazione ordinaria (categ. A, B,
C), alle sole vertenze concernenti la “consistenza” ed il
“classamento” e, per gli immobili a destinazione speciale (categ. D)
o particolare (categ. E), alle vertenze sulla “attribuzione di
rendita” (quale per essi prevista mediante stima diretta) – con la
conseguenza, in punto di rilevanza, che esulerebbero dalla cognizione
delle predette Commissioni le controversie (come quella di specie)
riguardanti viceversa la revisione delle tariffe (non riconducibile a
nessuna delle tre descritte operazioni) – ne ha inferito appunto il
giudice remittente la duplice ipotesi di contrasto del denunciato
contesto normativo con gli artt. 113 e 3 della Costituzione.
Sotto il primo profilo, si evidenzierebbe infatti una violazione
del diritto alla difesa in danno dei possessori di immobili di
categorie A, B, C, i quali “non avrebbero alcuna tutela
giurisdizionale di merito contro un provvedimento che modifica
indirettamente il classamento, mediante revisione di una delle
operazioni previste dalle norme catastali, ma contro cui non è dato
ricorrere alle Commissioni Tributarie, pur costituendo esso di fatto
una attribuzione di rendita”.
E, sotto il secondo profilo, si prospetterebbe inoltre “una
discriminazione tra i proprietari degli immobili censiti nei gruppi
A, B, C, e quelli degli immobili censiti nei gruppi D, E, i quali
possono invece adire le Commissioni, in quanto l’attribuzione della
rendita, effettuata dagli U.T.E., è sicuramente impugnabile avanti
alle Commissioni Tributarie”.
2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito il
contribuente aderendo solo in linea subordinata alle conclusioni del
giudice a quo e prospettando, in via principale, l’infondatezza della
questione per essere in realtà le Commissioni tributarie, già sulla
base della normativa vigente, competenti (anche) in ordine alle
controversie in materia di revisione della tariffa d’estimo.
E ciò per l’assorbente considerazione che la previsione di
competenza, ex art. 1 d.P.R. 634 cit., in ordine alle controversie
relative al classamento comprende ex se la possibilità di “impugnare
anche le variazioni dei metodi inerenti una delle tre operazioni
(qualificazione, classificazione e determinazione della tariffa,
appunto) sulla base delle quali si determina poi in concreto ogni
singolo classamento”.
3. – L’Avvocatura dello Stato, per l’intervenuto Presidente del
Consiglio dei ministri, ha a sua volta direttamente concluso per una
decisione di infondatezza basata sul presupposto esegetico di
inclusione della controversia in esame nell’area di cognizione delle
Commissioni tributarie.
4. – Entrambe le parti hanno anche depositato memoria per
illustrare i rispettivi assunti.
immobiliari urbane, disposta con D.M. 20 gennaio 1990 ed attuata con
successivo decreto del 27 settembre 1991, in un giudizio promosso da
un contribuente per far dichiarare, previa disapplicazione dei
riferiti atti generali, nulla o comunque inefficace la maggior
rendita per l’effetto così attribuita ad immobili di sua proprietà,
la Commissione tributaria di Piacenza adita ha negato di avere
potestà decisoria in materia.
E ciò – come in narrativa detto – con riguardo al quadro delle
competenze del giudice tributario in tema di controversie catastali,
come definito nell’ultimo comma dell’art. 1 d.P.R. 26 ottobre 1972 n.
636 (sulla revisione del contenzioso tributario), con limitato
riferimento, secondo la lettura del giudice a quo, per gli immobili
urbani a destinazione (abitativa-commerciale) ordinaria (categ. A, B,
C) alle sole vertenze concernenti la “consistenza” ed il
“classamento” (l’attribuzione, cioè, ad ogni unità, accertata nel
suo possessore e nella sua consistenza, della rispettiva categoria e
classe) e, per gli immobili a destinazione speciale (categ. D) o
particolare (categ. E), alle vertenze sulla “attribuzione di rendita”
(quale per essi prevista mediante stima diretta).
In tale prospettiva però – sempre secondo l’autorità rimettente
– ne deriverebbe, nei confronti dei proprietari di immobili del primo
tipo, un vuoto di tutela avverso i provvedimenti di revisione delle
tariffe di estimo, non rientranti nel novero di quelli impugnabili
ancorché “di fatto indirettamente modificativi del classamento”.
Da ciò appunto la sollevata questione di costituzionalità del
citato art. 1 d.P.R. 636/1972, in parte qua, in riferimento oltreché
all’art. 113 anche all’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo
del trattamento ingiustificatamente deteriore che si assume riservato
ai titolari degli immobili in questione rispetto ai proprietari degli
immobili di categ. D, E che possono viceversa adire le Commissioni
tributarie avverso l’attribuzione diretta di rendita, come per essi
prevista.
2. – Osserva la Corte che la premessa esegetica da cui muove il
giudice a quo – e che sia l’Avvocatura dello Stato sia la difesa
della parte costituita viceversa contestano (eccependo sotto tale
profilo l’infondatezza della impugnativa) – è effettivamente
controversa in dottrina e nella giurisprudenza fino ad oggi nota del
giudice tributario.
Ciò perché – mentre, nella sequenza ordinaria della operazione
di formazione del catasto urbano, la “determinazione della tariffa”
(per le “categorie” e “classi” di immobili previamente individuate
attraverso la “qualificazione” e la “classificazione” delle unità
tipo per ogni zona censuaria) conclude la fase delle operazioni
generali, destinate ad avere una ricaduta sulla posizione dei singoli
proprietari in esito alle susseguenti operazioni individuali ed ai
connessi provvedimenti di “consistenza” e “classamento”, dichiarati
espressamente impugnabili dal citato art. 1 d.P.R. 636/72 –
nell’ipotesi invece di revisione degli estimi, in mancanza di una
esplicita indicazione normativa al riguardo, si è posto il dubbio se
i correlativi atti generali, contenenti i prospetti delle nuove
tariffe, siano o non censurabili innanzi al giudice tributario.
Per la soluzione affermativa si è pronunziata gran parte della
giurisprudenza delle Commissioni in considerazione della attribuzione
di rendita in concreto derivante dalla adozione delle nuove tariffe,
sia pur con diverse motivazioni. Talune decisioni, infatti,
argomentano dalla locuzione normativa “attribuzione della rendita” di
cui all’ultima parte dell’art. 2 comma 1° dello stesso d.P.R. 636,
(peraltro concernente, secondo una opinione recepita dallo stesso
giudice a quo, la diversa ipotesi della stima diretta e singolare
prevista per gli immobili D ed E); talaltre, invece, si basano sulla
considerazione che l’emanazione delle nuove tariffe si risolve “di
fatto” in una modifica del “classamento” (donde, appunto, la
impugnabilità davanti alla Commissione tributaria): tutte, comunque,
pervenendo – per l’una o per l’altra ragione – ad affermare la
sindacabilità incidenter tantum dei decreti ministeriali davanti al
giudice tributario ai sensi dell’art. 16, comma quarto, del d.P.R.
636/72 (nel testo sostituito dall’art. 7 d.P.R. 739/1981).
Peraltro, anche le decisioni giurisprudenziali che, discostandosi
dal ricordato indirizzo, concludono per la inammissibilità dei
ricorsi del contribuente, a tale soluzione pervengono in
considerazione della non ravvisabilità allo stato di un
provvedimento riconducibile ad uno di quelli tipicamente richiesti
dalla legge come “veicolo di accesso” al giudizio tributario, oltre
che per carenza attuale dell’interesse a ricorrere, con ciò
evidentemente non escludendo, ma anzi implicitamente ammettendo, la
possibilità della tutela nel momento della successiva
concretizzazione del rapporto tributario ancorato alla rendita
catastale derivante dalla applicazione dei nuovi estimi.
Ma tali essendo sul punto le opzioni interpretative
alternativamente formulate, è chiaro allora che ciò che, con
riguardo ai provvedimenti di revisione degli estimi, viene in
discussione è non già l’ an ma solo il quomodo dell’accesso alla
tutela giurisdizionale avanti le Commissioni tributarie.
E tanto basta per escludere la violazione dei parametri
costituzionali invocati dalla Commissione di Piacenza; non dovendosi
sciogliere anticipatamente in questa sede un nodo interpretativo che
non è funzionale alla decisione della questione di
costituzionalità.
3. – Per di più la stessa Commissione rimettente sembra non avere
considerato che secondo pressocché pacifica dottrina e
giurisprudenza il proprietario degli immobili di categoria A, B, C è
legittimato ad impugnare i provvedimenti generali di revisione degli
estimi per vizi di legittimità, davanti al giudice amministrativo.
Il che dà ulteriore conferma della infondatezza della questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, sollevata, in riferimento
agli artt. 113 e 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria
di primo grado di Piacenza con ordinanza emessa il 16 marzo 1992.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1993.
Il presidente: CASAVOLA
Il redattore: GRANATA
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA