Sentenza N. 90 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
29/04/1971
Data deposito/pubblicazione
29/04/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/04/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO
DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA
REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
legge 27 dicembre 1953, n. 968, concernente il risarcimento dei danni
di guerra subiti da cittadini italiani all’estero, promosso con
ordinanza emessa il 7 marzo 1969 dal Consiglio di Stato – sezione IV –
su ricorsi di Girardi Amedeo contro il Ministero del tesoro, iscritta
al n. 251 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 179 del 16 luglio 1969.
Visti gli atti di costituzione di Girardi Amedeo e del Ministero
del tesoro e d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 1971 il Giudice
relatore Luigi Oggioni;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Elio Vitucci, per
il Presidente del Consiglio dei ministri e per il Ministero del tesoro
Con ordinanza emessa il 7 marzo 1969 nei procedimenti riuniti
concernenti due ricorsi proposti dal cittadino italiano Girardi Amedeo
avverso il provvedimento del Ministero del tesoro con cui era stata
respinta la sua richiesta di indennizzo per danni di guerra subiti in
Siria, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 52 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Si osserva nell’ordinanza che il provvedimento di rigetto della
richiesta del Girardi era stato adottato in base alla norma impugnata,
secondo cui sono esclusi dal risarcimento per danni subiti all’estero i
cittadini che, alla data di entrata in vigore della menzionata legge n.
968, non risultassero domiciliati o residenti in Italia. Ciò posto, e
dopo avere rilevato che, nel sistema della legge in esame, sarebbero
previste due forme di risarcimento alternative, a scelta
dell’interessato, cioè, da un lato, il “contributo”, subordinato al
ripristino del bene distrutto, e pertanto essenzialmente a fini di
utilità economica generale, e, dall’altro, “l’indennizzo”, concesso
senza condizioni, e pertanto non soltanto in vista di generale
vantaggio, ma anche a fine reintegratorio del patrimonio del singolo,
il giudice a quo prosegue osservando che l’impugnata disciplina
finirebbe col porre in atto una ingiustificata discriminazione fra
cittadini. Mal si comprenderebbe, infatti, come, essendo l’indennizzo
legato al fatto oggettivo del danno subito, oltre che alla
considerazione dell’interesse generale, la condizione, estrinseca e non
coerente ai fini della legge, della residenza e del domicilio, possa
valere come razionale criterio discriminatore ai fini della
corresponsione dell’indennizzo stesso.
Si è costituito tempestivamente il Girardi il quale, nelle sue
difese, insiste nel negare la sussistenza di validi motivi logici,
economici e giuridici per la discriminazione operata dalla norma
impugnata, anche perché il cittadino potrebbe in ogni momento
liberamente ritornare all’estero non appena percepito l’indennizzo,
frustrando i fini di tutela dell’incremento della economia nazionale
che, indirettamente, si volessero ritenere perseguiti attraverso
l’impugnata esclusione.
Si è altresì costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso, come per legge, dall’Avvocatura generale dello
Stato, la quale nega la fondatezza della questione, affermando,
anzitutto, che il risarcimento dei danni di guerra inciderebbe nella
materia degli interessi legittimi, tutelati in modo indiretto ed al
solo fine di perseguire il vantaggio pubblico, a differenza dei diritti
soggettivi, tutelati invece come tali.
Il legislatore, dettando la complessa disciplina del risarcimento
dei danni di guerra, avrebbe appunto perseguito scopi di utilità
generale, anche per quanto riguarda, in particolare, la concessione
degli indennizzi, perché la disponibilità di circolante che ne deriva
avrebbe costituito uno stimolo per la ripresa economica nazionale. Onde
chiara apparirebbe la “ratio” della norma impugnata, tendente ad
evitare l’esportazione di valuta italiana, che si risolverebbe a tutto
beneficio della economia di Stati esteri, in palese difformità quindi
dagli scopi della legge.
La norma in esame non sarebbe quindi suscettibile di sindacato in
sede di giudizio di legittimità costituzionale per presunta violazione
del principio di eguaglianza, essendo sostenuta da motivi evidenti di
coerenza logica con i suoi presupposti.
L’Avvocatura osserva altresì che, in ogni caso, l’eventuale
rimozione del precetto impugnato finirebbe con il porre in essere una
contraddizione nell’ambito della legge giacché prescinderebbe dal
raggiungimento dell’interesse pubblico nella sola ipotesi
dell’indennizzo, lasciando invece in piedi la disciplina dei
contributi, intesa ad agevolare la ripresa economica del Paese, e
creerebbe così una ingiustificata disparità di trattamento
all’interno della categoria omogenea degli italiani all’estero.
Infine l’Avvocatura richiama la considerazione del caso sull’art.
27, comma quarto, della legge 29 settembre 1967, n. 955, con cui si è
ammesso il riesame delle richieste di risarcimento definite
negativamente per mancanza del requisito della residenza o del
domicilio, riesame da farsi su domanda dell’interessato proponibile
entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge stessa.
Pertanto secondo l’Avvocatura, vi sarebbe anche da dubitare, data
questa nuova disposizione, della rilevanza della questione.
Conclude chiedendo che la Corte, ove ritenga ammissibile e
proponibile la questione, la dichiari non fondata.
Si è infine costituito anche il Ministero del tesoro,
rappresentato e difeso come per legge dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha rassegnato conclusioni identiche alle precedenti.
1. – La questione di costituzionalità, come sopra proposta, è, in
sintesi, basata sul seguente motivo.
Il requisito del domicilio e della residenza in Italia, alla data
dell’entrata in vigore della legge 27 dicembre 1953, n. 968, e cioè
alla data del 16 gennaio 1954 (requisito al quale secondo l’art. 52 è
condizionata la concessione di indennizzi per danni di guerra subiti
all’estero), parrebbe contrastare col principio di parità di
trattamento, di cui all’art. 3 della Costituzione.
Tale disparità emergerebbe, in primo luogo, dal confronto con
l’altra ipotesi prevista dal citato art. 52, che, per la concessione
(accanto agli indennizzi) di contributi, li subordina al ripristino in
territorio nazionale del bene perduto o distrutto, al precipuo intento
di avvantaggiare l’economia del paese. Invece, l’indennizzo avrebbe
soltanto finalità risarcitoria individuale, con quella libertà di
utilizzazione ovunque, che prescinde dall’ipotesi di successivo
reimpiego in Italia.
Pertanto, la condizione del domicilio e della residenza in Italia,
ugualmente richiesta nell’una e nell’altra ipotesi, verrebbe, nel caso
di indennità, a limitare irrazionalmente la concessione,
“ricollegandola ad una circostanza del tutto estrinseca e non coerente
ai fini della legge”.
In secondo luogo, l’ordinanza prospetta la questione anche sotto il
profilo di disparità di trattamento tra quegli stessi cittadini
italiani, che, avendo parimenti subito danni di guerra all’estero, si
trovino oppur no, ad una certa data successiva, localizzati in Italia.
2. – L’Avvocatura dello Stato obietta che il giudizio di rilevanza
della questione, espresso nell’ordinanza di rinvio, sarebbe manchevole,
in quanto non tiene conto che alla legge n. 968 del 1953 ha fatto
seguito la legge 29 settembre 1967, n. 955, la quale, tra le
integrazioni della legge precedente, annovera quella (art. 27) che “le
domande definite negativamente per la mancanza del domicilio e della
residenza in Italia alla data 16 gennaio 1954 saranno riprese in esame
su domanda degli interessati” (che abbiano acquisita la qualifica di
profughi e siano qui domiciliati e residenti ad una nuova data).
L’obiezione non è fondata
L’ordinanza di rinvio ha congruamente motivato sulla rilevanza
della questione di legittimità, nei termini e nei limiti della sua
prospettazione e in relazione alla norma di legge unicamente da
considerare: alla quale prospettazione è estranea, per non coincidenza
di situazioni, l’ipotesi regolata dalla successiva norma.
3. – La proposta questione di costituzionalità non è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio di
uguaglianza, dichiarato dall’art. 3 della Costituzione, postula due
corollari: a situazioni uguali deve corrispondere tratta mento uguale,
a situazioni diverse, trattamento differenziato: il tutto nei limiti
di valutazioni razionali.
Come anzidetto, nell’ordinanza di rinvio si assume che a situazioni
diverse (concessione di contributi – concessione di indennità) la
legge ha dettato una stessa regola di trattamento con la comune
condizione del domicilio e della residenza in Italia per i richiedenti:
la quale condizione, razionale per la prima ipotesi, non lo sarebbe per
la seconda. Ugual difetto si riscontrerebbe con l’accordare o negare
l’indennità, a cittadini italiani di pari diritto, in relazione ad un
evento personale esteriore ed indifferente ai fini della legge.
Così posta la questione, sostanzialmente come questione di
razionalità di disposizioni, la Corte osserva e ritiene che la norma
in esame, considerata in se stessa e nel quadro dei motivi che l’hanno
determinata, ha la sua logica giustificazione. Questa giustificazione
è posta in evidenza dagli atti parlamentari (Relazione Vanoni al
disegno di legge e successiva discussione) da cui risulta che, con la
concessione di indennità ai danneggiati che non avessero chiesto il
contributo per ricostruire, si è inteso di agevolare comunque il
reinserimento dei danneggiati stessi nel ciclo della vita economica e
della ripresa produttiva del paese: ciò mediante la reintegrazione
patrimoniale dei singoli, considerata come mezzo e non come fine. Al
raggiungimento di questo fine si è poi voluto dichiaratamente
assegnare anche un valore “etico e morale”, oltre che economico.
La condizione del domicilio e della residenza in Italia, alla quale
è stato sottoposto il conseguimento della indennità, trova, quindi,
la sua collocazione nel sistema che il legislatore, nell’esercizio
della sua scelta, ha voluto istituire. Trattasi di condizione non
arbitraria, ma diretta, nei limiti di una presumibilità di risultati,
ad ottenere che l’uso delle somme ricevute come indennità non subisca
deviazioni verso utilizzazioni estranee al profitto da attuarsi
mediante reinvestimento in area italiana.
La questione, sotto entrambi i profili con cui è stata proposta,
va dichiarata non fondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 52 della legge 27 dicembre 1953, n. 968 (concessione di
indennizzi e contributi per danni di guerra), proposta, con l’ordinanza
di cui in epigrafe, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
– LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI