Sentenza N. 91 del 1964
Corte Costituzionale
Data generale
26/11/1964
Data deposito/pubblicazione
26/11/1964
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/11/1964
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA
JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott.
ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof.
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
comma, del T. U. delle leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R.
29 gennaio 1958, n. 645, promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre
1963 dal Pretore di Sampierdarena nel procedimento civile vertente tra
Volino Mario e Gaggin Carlo, iscritta al n. 2 del Registro ordinanze
1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 34
dell’8 febbraio 1964.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 21 ottobre 1964 la relazione del
Giudice Michele Fragali;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Il Pretore di Sampierdarena, decidendo nel procedimento civile
vertente fra Mario Volino e Carlo Gaggin, in accoglimento di
un’eccezione del primo, ha rimesso a questa Corte la decisione sulla
legittimità costituzionale dell’art. 250, terzo comma, del D.P.R. 29
gennaio 1958, n. 645, che approva il T. U. delle leggi sulle imposte
dirette, per cui chiunque vanti un credito produttivo di ricchezza
mobile di categoria A non può esercitare o proseguire le azioni
giudiziarie che gli competono, se non dimostra di averne fatto
dichiarazione all’Amministrazione finanziaria.
L’attore aveva rilevato che la norma predetta è in contrasto con
gli artt. 24, comma primo, 101, comma secondo, e 104, comma primo,
della Costituzione.
Secondo l’attore essa, “per un fatto che riguarda la pubblica
Amministrazione”, nega al giudice il suo potere-dovere giurisdizionale
e alla parte il diritto all’accertamento giurisdizionale e fa venire
meno l’autonomia del potere giudiziario che viene assoggettato al
potere esecutivo. Soggiungeva l’attore che la pubblica Amministrazione
ha poteri e mezzi suoi per accertamenti fiscali di carattere preventivo
e definitivo, potendo procedere al diretto esame degli atti; e, per
quel fine, non deve servirsi del giudice e farlo divenire strumento o
mezzo di controllo fiscale.
Il Pretore ha ritenuto che la eccezione non fosse manifestamente
infondata e che essa fosse rilevante.
L’ordinanza, emessa il 26 ottobre 1963, è stata notificata alle
parti private il 30 ottobre e il 7 dicembre 1963, al Presidente del
Consiglio dei Ministri il 5 novembre 1963; è stata comunicata ai
Presidenti dei due rami del Parlamento il 30 ottobre 1963 e pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica dell’8 febbraio 1964, n. 34.
Nessuna delle parti private è comparsa in questa sede; ed il 4
dicembre 1963 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.
2. – Nelle deduzioni di intervento il Presidente del Consiglio
obietta, quanto al richiamo degli artt. 101 e 104 della Costituzione,
che l’obbligo fatto al giudice di sospendere il giudizio qualora il
creditore non abbia denunciato il credito, non crea interferenze del
potere esecutivo sul potere giudiziario, essendo l’indipendenza del
giudice garantita nella formazione del giudizio e nell’organizzazione
della sua funzione.
Per ciò che concerne il riferimento all’art. 24 della
Costituzione, rilevato che la condizione di procedibilità che si
reputa illegittima, corrisponde, sul piano sostanziale, ad un obbligo
che investe il soggetto indipendentemente dalla instaurazione del
giudizio, il Presidente del Consiglio si rifà alle sentenze di questa
Corte, che hanno ritenuto la competenza della legge ordinaria, entro
certi limiti e in relazione a determinate esigenze, a regolare
discrezionalmente la tutela giurisdizionale e a determinare oneri o
sanzioni patrimoniali a carico delle parti quale condizione per la
valida costituzione o per la valida prosecuzione del rapporto
processuale. Viene altresì rilevato che questa Corte, con la sentenza
4 aprile 1963, n. 45, ha specificatamente ritenuto che fosse legittimo
l’analogo onere imposto, a tutela dell’interesse generale alla
riscossione dei tributi, dall’art. 28 del D.P.R. 25 giugno 1953, n.
492, per l’imposta di bollo, e dall’art. 108 del R. D. 30 dicembre
1923, n. 3269, per l’imposta di registro.
3. – Con memoria depositata l’8 ottobre 1964, e all’udienza del
successivo 21 ottobre 1964, il Presidente del Consiglio ha ripetuto le
deduzioni proposte nell’atto di intervento.
1. – La Corte ritiene non fondato che non si accordi con gli artt.
101, comma secondo, e 104, comma primo, della Costituzione, la norma
dell’art. 250, comma terzo, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, recante
approvazione del T. U. delle leggi sulle imposte dirette, la quale
subordina alla denuncia fiscale l’esercizio dell’azione giudiziaria a
tutela di un credito produttivo di reddito di ricchezza mobile di
categoria A.
Ovviamente inesatto è anzitutto l’assunto, sostenuto nella
ordinanza di rimessione, che, osservando una norma di legge la quale
protegge l’interesse della pubblica Amministrazione, il giudice viene
assoggettato all’autorità del potere esecutivo.
Non è esatto nemmeno che l’imposizione di un onere processuale di
natura fiscale fa del giudice un organo dell’Amministrazione tributaria
e lede quindi l’indipendenza della Magistratura. L’indipendenza è
garantita dalla Costituzione all’organizzazione giudiziaria nel suo
complesso (sentenza 16 aprile 1959, n. 22); e questa non perde la sua
autonomia solo perché la legge determina una modalità di esercizio
dell’azione al fine di rispettare un interesse dell’Amministrazione
tributaria. Il giudice, quando l’onere non è osservato, sospende il
processo in obbedienza ad una norma che gliene attribuisce il potere in
quanto giudice, e quindi per una autorità che la legge gli conferisce
nel quadro della funzione che egli svolge come organo della tutela
giurisdizionale, non nell’esercizio di una funzione spettante a
quell’Amministrazione. Nella legge in esame v’e tanto riguardo
all’indipendenza del giudice che nessuna sanzione penale a carico di
lui è prevista per il caso in cui omette di sospendere di provvedere
sulle domande della parte, essendo una pena pecuniaria statuita
soltanto per il cancelliere che riceve documenti ed atti relativi al
processo senza accertarsi dell’adempimento dell’onere.
2. – Non è fondato neanche l’assunto che la norma nega alla parte
il diritto all’accertamento giurisdizionale.
La Corte ha già deciso che il determinare concrete modalità di
esercizio della tutela giudiziaria lede la garanzia apprestata
dall’art. 24, comma primo, della Costituzione, soltanto ove risulti
difficoltà o impossibilità nell’esplicazione del diritto (sentenze 27
giugno 1963, n. 113, e 4 giugno 1964, n. 47).
L’onere di una denunzia fiscale come quella di cui si discute ha
per oggetto una formalità di facile compimento, non sottoposta a
condizioni di solennità, anche se esige completezza di dati subiettivi
ed obiettivi ai fini di un idoneo accertamento del tributo.
L’onere non è poi irrazionalmente imposto, avuto riguardo al fatto
che si riferisce al credito fatto valere in giudizio; e deve ancora una
volta rilevarsi che l’interesse alla riscossione dei tributi è
protetto dalla Costituzione all’art. 53, sullo stesso piano di ogni
diritto individuale, tanto vero che si impone di soddisfarne le
esigenze pure nel conflitto con l’interesse alla inviolabilità del
domicilio (art. 14, comma terzo), non meno fondamentale del diritto
alla tutela giurisdizionale (sentenza 4 aprile 1963, n. 45).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 250, comma terzo, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, che
approva il T. U. delle leggi sulle imposte dirette, proposta
dal Pretore di Sampierdarena con ordinanza 26 ottobre 1963, in
riferimento agli artt. 24, comma primo, 101, comma secondo, e 104,
comma primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 novembre 1964.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.