Sentenza N. 91 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
29/04/1971
Data deposito/pubblicazione
29/04/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/04/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
terzo comma, del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 22 febbraio 1969 dal giudice istruttore del
tribunale di Lucca nel procedimento penale a carico di Porta Gianfranco
ed altri, iscritta al n. 111 del registro ordinanze 1969 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 98 del 16 aprile 1969;
2) ordinanza emessa il 28 novembre 1969 dalla Corte d’assise di
Torino nel procedimento penale a carico di Marasso Giuseppe, iscritta
al n. 26 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1970.
Udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 1971 il Giudice
relatore Vezio Crisafulli
1. – Nel corso di un procedimento penale a carico di Porta
Gianfranco ed altri, imputati del reato di vilipendio alle Forze armate
dello Stato ed al Governo (art. 290 cod. pen.), il giudice istruttore
presso il tribunale di Lucca ha sollevato con ordinanza emessa in data
22 febbraio 1969 questione di legittimità costituzionale della norma
di cui all’art. 313, terzo comma, ultima ipotesi, del codice penale, in
riferimento all’art. 104, primo comma, della Costituzione.
L’ordinanza assume che la disposizione denunciata, attribuendo al
Ministro per la giustizia il potere di concedere ovvero rifiutare
l’autorizzazione a procedere per il reato in esame, subordinerebbe il
processo penale all’esito di una valutazione discrezionale compiuta da
un organo statuale estraneo alla magistratura, in contrasto con il
principio della separazione dei poteri, che trova la sua più completa
ed esplicita enunciazione nella norma costituzionale secondo cui “la
magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni
altro potere”. La rilevanza sussisterebbe nella fattispecie, avendo il
Ministro rifiutato l’autorizzazione a procedere.
2. – La stessa norma forma oggetto anche di altra questione di
legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, dalla Corte d’assise di Torino, con ordinanza emessa il
28 novembre 1969 nel procedimento penale a carico di Marasso Giuseppe e
di Servino Giuseppe. La lamentata violazione del principio
costituzionale di eguaglianza consisterebbe – ad avviso del giudice a
quo – nel fatto che l’art. 313, secondo l’interpretazione operatane
dalla giurisprudenza, consentirebbe al Ministro per la giustizia di
trattare diversamente, in ordine all’autorizzazione a procedere,
persone che abbiano concorso nel medesimo reato, pur non essendo in
questi casi l’istituto preordinato in funzione di una valutazione
discrezionale della situazione dei soggetti attivi del reato. La
rilevanza sussisterebbe, in quanto nella fattispecie di cui trattasi
l’autorizzazione è stata concessa per il primo e negata per il secondo
dei due coimputati.
1. – I due giudizi hanno ad oggetto la medesima disposizione di
legge e possono quindi esser decisi con unica sentenza.
2. – L’ordinanza del tribunale di Lucca ripropone, con esclusivo
riferimento all’art. 104, primo comma, della Costituzione, la stessa
questione di legittimità costituzionale dell’art. 313, terzo comma,
del codice penale, che questa Corte ebbe già a dichiarare non fondata
con la sentenza n. 22 del 1959, alla stregua, tra l’altro, della norma
costituzionale dell’art. 104, cui si richiama il tribunale di Lucca.
E poiché l’ordinanza non adduce motivi nuovi né si ravvisano
ragioni che possano indurre a diversa decisione, la questione
dev’essere dichiarata manifestamente infondata.
3. – Presenta, invece, un profilo parzialmente nuovo l’ordinanza
della Corte d’assise di Torino, con riferimento – questa volta – al
solo art. 3 della Costituzione e con specifico riguardo alla
particolare ipotesi, che si era concretamente verificata nel caso di
specie, di concorso di più persone nel medesimo fatto-reato,
l’autorizzazione a procedere prevista dall’art. 313, terzo comma,
essendo stata concessa nei confronti di un imputato e negata, per
contro, nei confronti di un altro. Di qui, e muovendo dalla premessa
che una tale illimitata facoltà di scelta sia effettivamente
consentita al Ministro per la giustizia dall’art. 313, la denunciata
violazione del principio di eguaglianza.
Senonché, l’interpretazione assunta – peraltro, dubitativamente –
dall’ordinanza, oltre ad essere disattesa dalla dottrina pressoché
unanime, si rivela in contraddizione con la ragion d’essere
dell’istituto regolato nell’art. 313 cod. pen., tale disposizione
prescrivendo la necessità dell’autorizzazione a procedere in
considerazione della natura oggettiva dei reati ivi contemplati, e non
in considerazione delle qualità personali degli imputati.
Come questa Corte ebbe ad affermare nella menzionata sentenza n. 22
del 1959 “la valutazione demandata al Ministro per la giustizia ha per
Oggetto il promuovimento o la prosecuzione dell’azione penale per
determinati reati, chiunque ne sia l’autore”; ed è per questo che la
norma dell’art 313, non operando alcuna discriminazione tra i cittadini
che versino in identica situazione, venne riconosciuta non in contrasto
con l’art. 3 della Costituzione.
È da ritenere perciò conforme ai principi l’indivisibilità
dell’autorizzazione, stabilita, come nel caso dell’art. 313, con
riguardo al fatto, nulla rilevando in contrario che manchi nel codice
una espressa disposizione in tal senso, quale si rinviene invece negli
artt. 120, 123, 129 e 130, per la querela, la richiesta e l’istanza.
Giacché, in queste ultime ipotesi, a differenza che in quella
dell’art. 313, terzo comma, la procedibilità o la proseguibilità
dell’azione penale possono indifferentemente essere subordinate a
valutazioni di ordine soggettivo, oltre che oggettivo, ed era quindi
necessaria una norma che ne estendesse in ogni caso, ciò malgrado,
l’efficacia ai coimputati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 313, terzo comma, del codice
penale, sollevata, con l’ordinanza del giudice istruttore del tribunale
di Lucca di cui in epigrafe, in riferimento all’art. 104, primo comma,
della Costituzione e già dichiarata non fondata con la sentenza n. 22
del 16 aprile 1959;
b) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la
questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 313, terzo
comma, del codice penale, sollevata, con l’ordinanza della Corte
d’assise di Torino di cui in epigrafe, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1971
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.