Sentenza N. 92 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
08/07/1967
Data deposito/pubblicazione
08/07/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/06/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ- Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
capoverso, e 503, ultimo comma, del Codice di procedura penale,
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 10 dicembre 1965 dal Tribunale di Belluno
nel procedimento penale a carico di Orsini Lucio, iscritta al n. 233
del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 38 del 12 febbraio 1966;
2) ordinanza emessa il 16 marzo 1966 dal pretore di Bari nel
procedimento penale a carico di Ginefra Salvatore ed altro, iscritta al
n. 82 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 124 del 21 maggio 1966;
3) ordinanza emessa il 28 marzo 1966 dal pretore di Milano nel
procedimento penale a carico di Cerella Rosina, iscritta al n. 118 del
Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 182 del 23 luglio 1966;
4) ordinanze emesse il 22 marzo, il 1, l’8 e il 15 giugno 1966, dal
Tribunale di Bari nei procedimenti penali a carico di Di Gregorio
Giuseppina, Cocozza Ferdinando, Carrieri Angelo ed altro e Civitano
Domenico ed altro, iscritte ai nn. 86, 144, 145 e 189 del Registro
ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 131 del 28 maggio 1966, n. 226 del 10 settembre 1966 e n. 284 del
12 novembre 1966.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e di Costituzione di Cocozza Ferdinando;
udita nell’udienza pubblica del 15 marzo 1967 la relazione del
Giudice Biagio Petrocelli;
uditi l’avv. Paolo Tesauro, per il Cocozza, e il sostituto avvocato
generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio
dei Ministri.
Nel corso di un giudizio in grado di appello a carico di Orsini
Lucio, il Tribunale di Belluno, con ordinanza del 10 dicembre 1965, ha
sollevato di ufficio questione di legittimità costituzionale degli
art. 435, capoverso, e 503, ultimo comma, del Codice di procedura
penale in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Nella
ordinanza si osserva che al procedimento immediato disciplinato
dall’art. 435 per i reati commessi in udienza non è applicabile l’art.
503, concernente la concessione di un termine per la preparazione della
difesa nei giudizi direttissimi. Da ciò risulterebbe, pertanto, la
impossibilità per il difensore di predisporre un’adeguata difesa
dell’imputato, onde il denunciato contrasto con le suddette norme
costituzionali. I principi sanciti da queste ultime sarebbero per altro
violati anche nel caso in cui ai giudizi immediati fosse applicabile
l’art. 503, ultimo comma, rimettendo quest’ultimo, a sua volta, la
concessione di quel termine alla discrezione del giudice.
La questione di legittimità costituzionale del solo art. 503,
ultimo comma, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, è
stata altresì sollevata, su istanza dei difensori degli imputati, dal
Tribunale di Bari con tre separate ordinanze del 1, dell’8 e del 15
giugno 1966, nel corso di tre procedimenti penali per diffamazione a
mezzo della stampa rispettivamente instaurati contro Cocozza
Ferdinando, Civitano Domenico e Laforgia Nicola Oberdan, Carrieri
Angelo e Laforgia Nicola Oberdan. Nelle tre ordinanze si osserva che
la norma impugnata contrasterebbe con l’art. 24 perché farebbe
dipendere dalla valutazione discrezionale del giudice la concessione
del termine per la difesa. La norma violerebbe, altresì, il principio
di eguaglianza perché l’applicabilità della disciplina prevista
dall’art. 503 e non piuttosto di quella relativa a casi analoghi, in
cui la concessione del termine è invece obbligatoria, verrebbe a
dipendere dalla decisione, del tutto discrezionale, del pubblico
ministero di procedere con rito direttissimo anziché con rito
ordinario.
Lo stesso Tribunale di Bari ha sollevato ancora questione di
legittimità costituzionale dell’art. 503, ultimo comma, in riferimento
al solo art. 24 della Costituzione, con ordinanza del 22 marzo 1966
emessa nel corso del procedimento penale contro Di Gregorio Giuseppina.
Con questa ordinanza il Tribunale di Bari, premesso che per i
particolari caratteri del giudizio direttissimo la difesa dell’imputato
può essere svolta solo nel dibattimento, né è quindi possibile un
preventivo esame degli atti di polizia giudiziaria e di quelli
compiuti dal pubblico ministero, osserva che il termine stabilito dalla
norma impugnata, nella misura massima di cinque giorni, “oltre che
inferiore a quello ordinario”, sarebbe oggettivamente breve.
D’altra parte, la disposizione impugnata, rimettendo al
discrezionale e insindacabile apprezzamento del giudice la concessione
del termine, creerebbe una situazione di disparità rispetto alle
ipotesi analoghe prevedute dagli artt. 130 e 446 dello stesso Codice,
nelle quali la concessione del termine a difesa per il caso di
sostituzione del difensore e, rispettivamente, di nuove contestazioni
in dilattimento, è obbligatoria. Tutto ciò sarebbe in contrasto con
il principio della inviolabilità del diritto di difesa in giudizio, di
cui l’art. 24 intenderebbe-ad avviso del Tribunale – assicurare non
solo la certezza, ma anche una pienezza di esercizio.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 503 in
riferimento all’art. 24 della Costituzione è stata, infine, sollevata,
su istanza dei difensori, anche dal pretore di Milano, con ordinanza
del 28 marzo 1966 emessa nel corso del procedimento penale contro
Cerella Rosina, e da quello di Bari, con ordinanza emessa il 16 marzo
1966, nel corso del procedimento penale contro Ginefra Salvatore e
Lagalante Luigi. Nella prima ordinanza si osserva che l’attribuzione al
giudice di un potere discrezionale in ordine alla concessione del
termine a difesa violerebbe l’art. 24, giacché tale valutazione
attiene non all’acquisizione o meno di un mezzo di prova, ma
all’esercizio stesso del diritto di difesa. Nella seconda si rileva
invece che la discrezionalità nella concessione del termine sarebbe in
contrasto con le esigenze di certezza e le necessarie garanzie
connesse alla inviolabilità del diritto di difesa sancite dall’art.
24.
Tutte le ordinanze sono state regolarmente notificate e
comunicate. Esse risultano pubblicate nell’ordine sui seguenti numeri
della Gazzetta Ufficiale: n. 38 del 12 febbraio 1966; n. 226 del 10
settembre 1966; n. 284 del 12 novembre 1966; n. 226 del 10 settembre
1966; n. 131 del 28 maggio 1966; n. 182 del 23 luglio 1966; n. 124 del
21 maggio 1966. Nel giudizio a seguito della ordinanza del Tribunale
di Belluno si è costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato; si è
costituito anche il difensore dell’imputato Cocozza. I rispettivi atti
risultano depositati in cancelleria il 29 gennaio e il 16 luglio 1966.
Il difensore del Cocozza in data 2 marzo 1967, ha altresì depositato
una memoria illustrativa.
L’Avvocatura dello Stato ritiene che la questione proposta dal
Tribunale di Belluno circa la legittimità costituzionale degli artt.
435 e 503, ultimo comma, del Codice di procedura penale sia infondata.
In questo senso si richiama al principio più volte affermato dalla
Corte costituzionale, per il quale, se il diritto di difesa deve essere
inteso come effettiva potestà di assistenza tecnica e professionale
nel giudizio, al fine di assicurare il contraddittorio e di rimuovere
ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti, tuttavia l’esercizio
di tale diritto deve essere regolato secondo le particolari
caratteristiche di ogni singolo procedimento. Alla stregua di tale
principio, sia la impossibilità di concedere un termine a difesa nei
giudizi immediati per i reati commessi in udienza, sia la riserva alla
valutazione discrezionale del giudice circa la concessione del termine
nei giudizi direttissimi si giustificano senz’altro tenuto conto della
particolare funzione e delle speciali esigenze connesse ai due suddetti
procedimenti.
La difesa del Cocozza riprende le argomentazioni svolte dal
Tribunale di Bari con l’ordinanza del 1 giugno 1966; e, in particolare,
sostiene che il potere riconosciuto al giudice di rifiutare la
concessione del termine a difesa nei giudizi direttissimi, più che
dare luogo a una mera diversità nelle modalità di esercizio del
diritto di difesa, si risolverebbe in un vero e proprio sacrificio, o
quanto meno pregiudizio, del diritto stesso, in contrasto, altresì,
con la disciplina riservata in materia a situazioni del tutto analoghe,
come quelle di cui agli artt. 130 e 446 dello stesso Codice.
1. – Le questioni sulle quali la Corte deve decidere sono due:
a) se sia costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt.
3 e 24 della Costituzione, l’art. 435 del Codice di procedura penale,
in quanto non dispone per il giudizio immediato per reato commesso in
udienza la concessione di alcun termine per la difesa: questione
sollevata dal Tribunale di Belluno con ordinanza del 10 dicembre 1965;
b) se sia costituzionalmente illegittimo il terzo comma dell’art.
503 del Codice di procedura penale, in quanto dispone che nel giudizio
direttissimo il termine per preparare la difesa viene concesso soltanto
se il giudice lo ritiene necessario: questione sollevata dal Tribunale
di Belluno nell’ordinanza già citata, dal pretore di Bari con
ordinanza del 16 marzo 1966, dal pretore di Milano con ordinanza del 28
marzo 1966, dal Tribunale di Bari con ordinanze del 22 marzo e del 1, 8
e 15 giugno 1966, in riferimento all’art. 24 della Costituzione; ed in
riferimento anche all’art. 3 dalle citate ordinanze del Tribunale di
Belluno e del Tribunale di Bari.
È da rilavare, circa l’ordinanza del Tribunale di Belluno, che nel
giudizio di primo grado nessuna richiesta di termine a difesa era stata
avanzata; e che l’ordinanza del Tribunale di Bari fu emessa dopo che in
una precedente udienza il termine a difesa era stato richiesto ed
ottenuto.
Poiché il Tribunale di Belluno solleva entrambe le questioni nella
stessa ordinanza e le altre ordinanze riguardano identica materia, si
decide con unica sentenza.
2. – Le due questioni non sono fondate.
L’art. 435 del Codice di procedura penale prevede una forma
specialissima di giudizio, il cui precipuo carattere è quello di
attuarsi immediatamente dopo la commissione del reato, affinché, dati
i particolari suoi effetti nell’ambiente e nelle circostanze in cui si
verifica, si abbia senza indugio l’applicazione della sanzione e la
riaffermazione del diritto. Tale forma di giudizio verrebbe meno in
quella che è la sua propria natura ed efficacia se dovesse sospendersi
a seguito di concessione di un termine per la difesa. Il diritto di
difesa trova d’altra parte anche nel giudizio immediato la sua piena
soddisfazione, giacché, essendo il reato commesso in pubblica udienza,
la immediatezza degli elementi probatori rende possibile alla difesa di
assolvere il suo compito, così come rende possibile al giudice di
assolvere il suo. Anche relativamente alla questione in esame la Corte
deve richiamare ciò che ha statuito in altre sentenze, vale a dire che
le esigenze del processo penale, ai fini della migliore possibile
applicazione della legge, si risolvono in taluni casi con forme
speciali di procedimento, alle quali, come si adatta, senza che ne
siano sostanzialmente lese le esigenze, la funzione della giustizia nel
suo insieme, così può e deve adattarsi anche il diritto alla difesa,
senza alcuna sua effettiva menomazione o sacrificio, e senza che ne
risulti leso il principio costituzionale dell’art. 24.
3. – Nemmeno è fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 503, terzo comma, del Codice di procedura penale. Il potere
discrezionale che, nel giudizio direttissimo, la legge attribuisce al
giudice di concedere o non concedere il termine per la difesa non può
essere considerato come fonte di arbitrio. La norma che prevede un
siffatto potere è indirizzata al giudice in quanto rivolta
all’assolvimento fedele e non arbitrario del suo compito; e il potere
discrezionale gli è attribuito affinché, con l’esame obiettivo e
imparziale che è nella natura del suo ufficio, egli possa cogliere e
regolare le esigenze proprie del caso concreto, stabilendo, volta per
volta, se sia necessaria oppur no la concessione del termine. Se poi
nella pratica, in questo o quel procedimento, si faccia da taluno uso
non conveniente, o addirittura arbitrario, del potere, ciò riguarda,
con tutte le conseguenze, il caso singolo, non la legge nella
generalità e normalità delle sue previsioni. D’altra parte bisogna
rilevare che il giudizio direttissimo è disposto, di regola, per i
casi nei quali la semplicità dei fatti e l’immediatezza degli elementi
della prova sono tali da rendere più che sufficiente per la difesa la
conoscenza che ne risulta dallo stesso svolgersi del dilattimento.
Le precedenti considerazioni valgono anche ad escludere che la
norma impugnata possa ritenersi illegittima in riferimento all’art. 3
della Costituzione. Ritenuta non lesa la posizione dell’imputato dalla
esistenza del potere discrezionale del giudice circa la concessione del
termine a difesa, è evidente che non può qualificarsi lesiva del
principio di eguaglianza la diversità di posizione che naturalmente ne
risulta a seconda che il giudice si avvalga di quel potere in un senso
o nell’altro, per accogliere o respingere la relativa istanza.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, sollevata dal Tribunale di
Belluno con ordinanza del 10 dicembre 1965, dell’art. 435 del Codice di
procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 503, terzo comma, del Codice di procedura penale, sollevata
dal Tribunale di Belluno nella stessa ordinanza del 10 dicembre 1965,
dal pretore di Bari con ordinanza del 16 marzo 1966, dal pretore di
Milano con ordinanza del 28 marzo 1966, dal Tribunale di Bari con
ordinanza del 22 marzo e del 1, 8 e 15 giugno 1966, in riferimento
all’art. 24 della Costituzione; e in riferimento anche all’art. 3
della Costituzione dalle citate ordinanze del Tribunale di Belluno e
dalle tre ultime ordinanze del Tribunale di Bari.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.