N. 93 del 1965
Data generale
27/12/1965
Data deposito/pubblicazione
27/12/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott.
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,
83 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, e dell’art. 43 della legge 23
marzo 1956, n. 136, promossi con le seguenti deliberazioni:
1) due deliberazioni emesse il 24 gennaio 1965 dal Consiglio
comunale di Sperlonga sui ricorsi di Zannella Francesco e Ruotolo
Domenico contro La Rocca Antonio ed altri, iscritte ai nn. 20 e 21 del
Registro ordinanze 1965 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 85 del 3 aprile 1965;
2) due deliberazioni emesse il 29 gennaio 1965 dal Consiglio
comunale di Sperlonga sui ricorsi di Zannella Francesco e Muccitelli
Benedetto contro La Rocca Antonio ed altri, iscritte ai nn. 45 e 46 del
Registro ordinanze 1965 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 109 del 30 aprile 1965;
3) deliberazione emessa il 7 febbraio 1965 dal Consiglio comunale
di Montenero Valcocchiara sul ricorso di Mannarelli Angelo contro
Orlando Emilio ed altri, iscritta al n. 52 del Registro ordinanze 1965
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 122 del 15
maggio 1965;
4) dodici deliberazioni emesse il 24 marzo 1965 dal Consiglio
comunale di Bergamo sui ricorsi di Valentini Enzo ed altri contro
Clauser Fiorenzo ed altri, iscritte ai nn. 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64,
65, 66, 67, 68 e 69 del Registro ordinanze 1965 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 122 del 15 maggio 1965.
Visti gli atti di costituzione di La Rocca Antonio ed altri, di
Orlando Emilio e di Clauser Fiorenzo ed altri;
udita nell’udienza pubblica del 14 ottobre 1965 la relazione del
Giudice Giuseppe Branca;
uditi gli avvocati Luigi Galateria e Pietro Tranquilli- Leali, per
La Rocca Antonio ed altri, e l’avv. Francesco Gravone, per Orlando
Emilio.
1. – Nel corso di giudizi riguardanti la materia elettorale e
promossi dai sigg. Zannella e altri contro Antonio La Rocca e altri, il
Consiglio comunale di Sperlonga emetteva il 24 e il 29 gennaio 1965
quattro deliberazioni analoghe, denunciando alla Corte costituzionale,
in riferimento agli artt. 24, 25,101,102,103,104, 108 e disp. trans. VI
della Costituzione, gli artt. 82 e 83 del D.P.R. 16 maggio 1960, n.
570, e 43 della legge 23 marzo 1956, n. 136.
Queste disposizioni contrasterebbero con l’art. 102 della
Costituzione perché attribuiscono la funzione giudiziaria non al
giudice ordinario, ma ai consigli comunali, che sono organi
amministrativi; con l’art. 103, perché i soli giudici speciali
consentiti dalla Costituzione sarebbero il Consiglio di Stato e gli
altri organi di giustizia amministrativa, la Corte dei conti e i
Tribunali militari; con gli artt. 103 e 108, perché i consigli
comunali non sarebbero organi indipendenti e imparziali, ma
direttamente interessati al risultato di questa loro attività
giurisdizionale; con gli artt. 24, secondo comma, e 102, primo comma,
perché il consiglio comunale decide la controversia anche senza la
presenza di tutti i propri componenti e col voto di consiglieri non
presenti a tutte le fasi del processo; con la disp. VI perché, passati
5 anni, non si è proceduto alla revisione di queste attribuzioni;
infine con l’art. 25 perché il terzo comma del citato articolo 82 del
D.P.R. 1960, n. 570 permette lo spostamento della competenza dal
consiglio comunale alla Giunta provinciale amministrativa violando il
c.d. principio del “giudice naturale”.
2. – Impugnazioni analoghe a quelle del Consiglio comunale di
Sperlonga sono state avanzate anche dai Consigli comunali di Montenero
Valcocchiara in causa contro Emilio Orlando e altri, e di Bergamo, in
causa contro Fiorenzo Clauser e altri, con le deliberazioni citate in
epigrafe.
3. – Il La Rocca e gli altri si sono costituiti con atti depositati
il 22 aprile e il 19 maggio 1965 e hanno depositato una memoria il 30
settembre 1965. L’Orlando si è costituito con atto depositato il 4
giugno 1965 e con memoria depositata il 1 ottobre 1965, così come
hanno fatto il Clauser e gli altri con atti depositati, i primi due, il
22 maggio 1965, un terzo il 6 giugno 1965.
La loro difesa, ponendosi sulla linea delle deliberazioni di
rinvio, insiste rilevando che i consiglieri votanti e non presenti alla
discussione possono non aver letto gli atti di parte, il che non
garantirebbe il diritto di difesa delle parti (art. 24 della
Costituzione); che, mentre i consiglieri, di cui si contesta
l’elezione, possono partecipare alla discussione, lo stesso non si può
dire degli altri interessati, ciò che importa disparità nella difesa
(art. 24); che, siccome i consiglieri di cui si contesta l’elezione
devono astenersi dal giudizio, può accadere che il collegio non possa
costituirsi: con il che il consiglio comunale, cioè il giudice
naturale, talvolta non è in grado di decidere (art. 25).
Sostiene inoltre che i consigli comunali possono deliberare sulla
legittimità della propria composizione (come ha già detto questa
Corte) ma, essendo organi amministrativi, solo in via amministrativa,
non in veste di giudici (art. 104 della Costituzione); che, nel caso
dei consigli comunali, nessuna norma si conosce da cui sia garantita
quell’indipendenza della persona del giudice alla quale si riferisce
l’art. 102 della Costituzione; che in virtù dell’art. 102 e della
disp. trans. VI della Costituzione il legislatore avrebbe dovuto, sia
pure a distanza maggiore di un quinquennio, o sopprimere le
giurisdizioni speciali o adeguarle alla Costituzione: cosa che non ha
fatto perché, con le norme impugnate, o ha innovato, creando perciò
una nuova giurisdizione contraria al divieto dell’art. 102, o non ha
innovato ed esse sono ugualmente illegittime poiché doveva per lo meno
sottoporre a revisione la disciplina preesistente (artt. 74 e 75 del T.
U. 5 aprile 1951, n. 203).
Quanto allo spostamento di competenza, dal consiglio comunale alla
G. P. A., la difesa rileva che esso dipende dal decorso di un termine
(60 giorni) assolutamente inadeguato a una istruttoria giurisdizionale
e, passato quel termine, dall’arbitrio delle parti: il che è anche
più grave di quanto accadeva in altri casi colpiti da
incostituzionalità, in cui lo spostamento del giudice dipendeva da
organi giurisdizionali.
Conclude chiedendo la dichiarazione di illegittimità
costituzionale delle disposizioni impugnate.
4. – Nella discussione orale i difensori di La Rocca e di Orlando
hanno insistito su alcuni punti delle loro tesi.
1. – Le diverse cause, avendo ad oggetto le stesse questioni di
costituzionalità, vanno risolte con un unico giudizio.
2. – Gli artt. 82, 83 del T.U. 16 maggio 1960, n. 570 (art. 43
della legge 23 marzo 1956, n. 136) sono stati denunciati, fra l’altro,
per contrasto con l’art. 108, comma secondo, della Costituzione, che
garantisce l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali.
Sul problema questa Corte, pronunciatasi più volte, era giunta
alla conclusione, dalla quale non crede ora di scostarsi, che
l’attività dei consigli comunali, in materia di contenzioso
elettorale, è attività giurisdizionale; che si tratta di
giurisdizione speciale d’antica tradizione; che anche in essa devono
essere garantite l’indipendenza e l’imparzialità del giudicante.
Aveva inoltre ritenuto che l’imparzialità, intesa come
indipendenza del giudice dagli interessi presenti in giudizio, fosse
garantita dall’obbligo del consigliere, la cui elezione sia contestata,
di non partecipare alla decisione. L’obbligo veniva tratto non dalle
disposizioni impugnate o da altre dello stesso T.U., ma dall’art. 279
della legge comunale e provinciale.
Da molti consigli comunali tuttavia questa norma non è stata
rispettata o applicata, quasi fosse estranea alla materia; inoltre da
più parti si è obiettato che, in certe contingenze, osservarla
significherebbe impedire il funzionamento del collegio; infine da
alcuni consigli comunali si è continuato a dubitare, sollevandosi
nuove eccezioni, della costituzionalità dei propri poteri
giurisdizionali. Si è generato pertanto uno stato di confusione e
d’incertezza che, reiterandosi in modo talvolta affannoso le denuncie
di incostituzionalità della legge, induce questa Corte a riesaminare
la questione alla luce della propria giurisprudenza in materia di
indipendenza (imparzialità) dei giudici.
3. In realtà queste incertezze, più che essere frutto di
oscillazioni interpretative, derivano dalla laconicità delle norme
impugnate; le quali (a differenza dai regolamenti delle Camere che
disciplinano gli analoghi giudizi in seno al Parlamento), affidando le
controversie elettorali a un giudice speciale, hanno tralasciato di
regolare in qualche modo il procedimento che si svolge innanzi ad esso.
Ciò ha provocato una lacuna che, non del tutto colmabile con altre
norme relative a procedimenti, giudiziari o amministrativi, troppo
diversi da quello del contenzioso elettorale, è così grave da non
esserne assolutamente garantita l’imparzialità del giudicante.
Infatti quei giudizi, abbiano ad oggetto l’eleggibilità dei
singoli o le operazioni elettorali, toccano comunque l’interesse
personale degli stessi consiglieri che compongono il collegio:
l’interesse di alcuni, se di costoro personalmente è contestata
l’elezione; della maggioranza, se è in giuoco la sorte della lista di
maggioranza; di tutti, se si denunciano irregolarità delle operazioni
elettorali che possano compromettere l’intero risultato delle elezioni.
Pertanto a garantire di volta l’imparzialità dei giudicanti sarebbero
state necessarie, sulla composizione del collegio in questa o in quella
contingenza e sullo svolgimento del giudizio, regole severe, che invece
le disposizioni impugnate o altre analoghe non contengono affatto; né
la norma della legge comunale e provinciale (art. 279), che imporrebbe
l’astensione a chi sia parte nella lite, è sempre utilizzabile od
offre piena sicurezza se si pensa alla solidarietà che, legando i
componenti d’una lista, li contrappone a quelli delle altre.
4. – Deve aggiungersi che il silenzio della legge, come è noto, ha
legittimato l’adozione di regole vigenti per le deliberazioni
amministrative collegiali (il ricorrente non partecipa alla
discussione; manca un aperto contraddittorio; chi giudica non ha
l’obbligo di partecipare alla discussione; ecc.). In verità, pur
essendo anomale rispetto a quelle che presiedono al rito ordinario,
queste regole, nell’ambito di una giurisdizione speciale, di per sé
non sarebbero sospette; ma, in un procedimento che s’è detto così
povero delle normali garanzie, rivelano anch’esse una pericolosità o
un ‘insufficienza che non possono non esser denunciate.
Nel quadro di tale situazione si spiega come i ripetuti incidenti
di costituzionalità, sollevati negli ultimi anni dai consigli
comunali, siano serviti molto spesso, più che a fini di giustizia, a
ritardare la decisione delle controversie oltre i termini utili:
frutto, anche questo, d’un sistema per cui le stesse persone sono
giudici e parti in uno stesso giudizio.
In conclusione, le norme impugnate, non offrendo né suggerendo
garanzie per l’imparzialità del giudicante, contrastano con l’art.
108, comma secondo, della Costituzione; pertanto se ne deve dichiarare
l’illegittimità costituzionale.
5. – La competenza dei consigli comunali in materia elettorale è
prevista inoltre dall’art. 84 del citato T.U. 1960, n. 570 (art. 76
del T.U. 5 aprile 1951, n. 203). Perciò anche alla parte di questo
articolo, che la prevede, va estesa, a norma dell’art. 27 della legge
11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di incostituzionalità.
L’art. 2 della legge 18 maggio 1951, n. 328, attribuisce, fra
l’altro, ai consigli provinciali una competenza analoga a quella che le
norme denunciate conferiscono ai consigli comunali. Ne deriva che se ne
deve pronunciare la parziale incostituzionalità a norma del citato
art. 27.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 82, 83 del
D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, Testo unico relativo alle elezioni
comunali, e 43 della legge 23 marzo 1956, n. 136 (artt. 74 e 75 del
D.P.R. 5 aprile 1951, n. 203), nelle parti che riguardano i consigli
comunali, in riferimento all’art. 108, secondo comma, della
Costituzione;
dichiara inoltre, a norma dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953,
n. 87, la illegittimità costituzionale:
1) degli artt. 84 del predetto D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, e 76
del D.P.R. 5 aprile 1951, n. 203, limitatamente alle parole “Il
consiglio comunale”;
2) dell’art. 2 della legge 18 maggio 1951, n. 328, nella parte che
attribuisce ai consigli provinciali, in materia di contenzioso
elettorale, una competenza analoga a quella dei consigli comunali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.