Sentenza N. 93 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
08/07/1967
Data deposito/pubblicazione
08/07/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/06/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ- Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
Codice di procedura penale e dell’art. 28 del R.D. 28 maggio 1931, n.
602, contenente le norme di attuazione del Codice di procedura penale,
promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1966 dal pretore di Venezia
nel procedimento penale a carico di Garganego Dante ed altro, iscritta
al n. 38 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 105 del 30 aprile 1966.
Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1967 la relazione del
Giudice Michele Fragali.
Un’ordinanza del 24 gennaio 1966, emessa dal pretore di Venezia, ha
proposto questione di legittimità costituzionale dell’art. 419 del
Codice di procedura penale, per la parte in cui dispone che l’imputato
non ammesso al gratuito patrocinio deve anticipare le spese per le
citazioni e per l’indennità ai testimoni di cui domanda l’escussione
ai sensi del precedente art. 415. La questione è stata estesa
all’art. 28 del R.D. 28 maggio 1931, n. 602, contenente le norme di
attuazione del Codice di procedura penale, che stabilisce il
procedimento di liquidazione di tali spese e il deposito della somma
liquidata.
Il pretore ha rilevato che la norma denunciata è suscettibile di
creare disparità fra l’imputato che sia e l’imputato che non sia nelle
condizioni di effettuare il suddetto deposito e pone un ostacolo
estrinseco all’esercizio della difesa in uno dei suoi aspetti più
rilevanti, quale quello di introdurre testi a discarico.
L’istituto del gratuito patrocinio non elimina l’accennata
disuguaglianza, perché l’ammissione al beneficio è sulordinata alla
valutazione dello stato di povertà da parte di un organo che è
investito di funzioni amministrative e che decide previa informazione e
parere di organi amministrativi; la prescrizione del previo deposito
non inerisce ad alcuna esigenza interna al processo e si spiega perciò
come un indiretto impedimento posto dalla legge processuale a presunti
tentativi della difesa di decampare dall’oggetto del giudizio,
impedimento, da un lato, inutile perché esiste nell’art. 420 del
Codice di procedura penale, il mezzo per frustrare siffatti tentativi,
e, dall’altro lato, in contrasto con la natura pubblicistica della
difesa, in modo che vengono posti limiti all’acquisizione delle prove,
creandosi una disparità fra l’accusa e la difesa.
L’ordinanza, essendo gli imputati presenti alla udienza pretorile,
è stata notificata soltanto al Presidente del Consiglio dei Ministri
il 7 febbraio 1966 ed è stata comunicata ai Presidenti delle due
Camere il giorno 2 febbraio stesso anno. È stata pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica 30 aprile 1966 n. 105.
Nessuno si è costituito o è intervenuto.
1. – L’art. 419 del Codice di procedura penale è denunciato
soltanto per quanto concerne l’onere, fatto all’imputato, di depositare
l’importo delle spese per l’escussione dei testimoni compresi nelle
liste ammesse ai sensi dell’art. 420 stesso Codice.
La ragione dell’onere sta nell’esigenza di stimolare la parte ad un
uso cosciente del suo diritto di difesa ed a evitare che ne abusi per
fini dilatori o sterili. Rimedio utile ad ovviare a tali eccessi è
certo il potere dato al presidente del collegio o al pretore di ridurre
le liste testimoniali sovrabbondanti e di eliminare le testimonianze
inammissibili per legge o non pertinenti direttamente all’oggetto del
giudizio (art. 420 del Codice di procedura penale); ma tal potere
viene esercitato in una fase processuale in cui non può compiersi se
non una deliberazione sommaria della pertinenza delle testimonianze
addotte in lista, a differenza del caso in cui la necessità di
assumere nuovi testi sorge nel corso del dibattimento (art. 457,
secondo comma, del Codice di procedura penale), in cui è possibile una
cognizione piena del carattere imprescindibile della nuova istruttoria.
In vista di ciò è ragionevole richiamare la parte ad una seria
valutazione dell’opportunità di proporre il mezzo istruttorio, in modo
da evitare semplici supposizioni, improvvide illazioni o sconsiderate e
leggere determinazioni; le quali, se fossero di mala fede, altro non
farebbero che interrompere l’ordinato svolgimento del processo e recare
intralcio all’esercizio regolare della funzione giurisdizionate.
Deve essere respinto, quindi, l’assunto, profilato nell’ordinanza,
che il Codice di procedura penale abbia voluto, con la norma impugnata,
imprimere al processo una direzione informata al preconcetto di
ritenere sufficienti le prove acquisite dagli uffici del pubblico
ministero o da quelli dell’istruzione, o un indirizzo rivolto a porre
limiti all’acquisizione di altre prove: questo assunto è smentito dal
potere dato al giudice del dibattimento nel citato art. 457, secondo
comma. Una valutazione del sistema che non guardi alla superficie pone
in reciproca correlazione gli artt. 419 e 420 del Codice di procedura
penale, e dà, all’onere imposto alla parte privata e al potere
concesso al giudice, la portata di mezzi concorrenti alla soddisfazione
del fine sopraindicato, di impedire smoderatezze e esorbitanze
nell’impiego dei mezzi difensivi.
In conseguenza rimane altresì contestato che il sistema determini
una disparità fra l’accusa e la difesa: la garanzia contro gli eccessi
della prima è nella posizione fatta dall’ordinamento costituzionale al
pubblico ministero e, del resto, anche lo Stato è tenuto ad anticipare
la spesa delle testimonianze dedotte dal pubblico ministero mediante la
presentazione delle liste di cui all’art. 415, comma primo, del Codice
di procedura penale; così risultando, a favore del pubblico ministero,
la sola differenza dell’esonero dal deposito, che è una differenza di
ovvia ragione.
Non si vede pertanto come, sotto i profili contrastati, la
questione preposta possa trovare fondamento.
2. – La questione è priva di base anche con riguardo all’ipotesi
in cui la parte privata non sia in condizioni economiche tali da
tollerare l’anticipazione della spesa: per essa soccorre il beneficio
del gratuito patrocinio. Ciò è rilevato nella ordinanza di
rimessione; ma essa non ne trae le logiche conseguenze.
Il gratuito patrocinio, nella materia penale, può essere
consentito alla sola condizione della prova dello stato di povertà,
senza cioè far luogo ad indagini sulla probabilità in un esito del
processo favorevole all’istante, com’è per la materia civile (art. 15,
sesto comma, del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, sul gratuito
patrocinio); e il giudice a quo inutilmente obietta che la valutazione
dello stato di povertà del ricorrente è fatta discrezionalmente da un
organo investito di funzioni amministrative, il quale decide su
informazioni e su pareri di organi amministrativi (art. 15, terzo
comma, e art. 16, secondo, terzo e quinto comma, del predetto R.D. 30
dicembre 1923, n. 3282). Le commissioni di gratuito patrocinio sono
organi ausiliari di quelli giurisdizionali presso i quali operano, e
hanno il compito di accertare l’esistenza dei presupposti richiesti
dalla legge per l’ammissione ad un servizio pubblico com’è quello di
gratuito patrocinio. La pronunzia è emessa da un collegio che
assicura imparzialità di giudizio perché composto oltre che da
magistrati, da rappresentanti del foro i quali apportano, all’esame da
compiere, il contributo di chi fa, del diritto di difesa, oggetto di
continua preoccupazione; ed è assurdo opinare che, per essere liberati
dall’onere di anticipare le spese di un futuro processo
giurisdizionale, l’ordinamento debba apprestare a colui che richiede il
beneficio della difesa gratuita un altro procedimento di identica
natura. Un procedimento del genere sarebbe una inutile anticipazione di
quello che la parte vuole instaurare, o nel quale essa è chiamata a
contraddire, e, comunque, sarebbe causa di lunga remora alla
definizione del processo.
3. – È opportuno inoltre rilevare che l’onere imposto alla parte
privata dalla norma denunciata è temperato dall’attribuzione al
giudice del dibattimento del potere, di cui si è fatto parola, di
disporre che siano citati i testimoni dei quali risulti la necessità
di assunzione (art. 457, secondo comma, del Codice di procedura
penale).
L’esercizio di quel potere è certamente discrezionale; ma la
discrezionalità del giudice è suscettibile di controllo, sia di
merito che di legittimità, essendo correlativa al carattere del
procedimento penale, che, dominato dal principio di indisponibilità,
impone al giudice di formare il materiale di cognizione prescindendo
dalla condotta processuale delle parti, in modo da tendere soltanto
alla verità materiale.
L’inosservanza dell’onere al quale si riferisce l’ordinanza del
pretore di Venezia non può pertanto recare alcun pregiudizio alla
difesa della parte, ove nel dibattimento emerga l’imprescindibilità di
quegli stessi esami testimoniali che sono stati chiesti ai sensi
dell’art. 415, primo comma, del Codice suddetto; e la notizia di tale
necessità può venire al giudice anche dalla lettura dell’istanza
rimasta senza effetto per la mancanza del deposito prescritto dal
successivo articolo 419. Nocumento alla parte viene, in tal caso, non
dalla norma impugnata, ma dal vizio dell’attività del giudice del
dibattimento; ed esso è rimediabile con i mezzi apprestati per
l’impugnazione della sentenza.
Il vero è, come altra volta ha deciso questa Corte (18 marzo
1964, n. 30), che nessuna norma costituzionale garantisce la gratuità
della prestazione giudiziaria. Né si può far differenza tra materia
civile e materia penale, come assume il giudice a quo, perché l’art.
24, terzo comma, della Costituzione che non ha un contenuto assoluto,
non distingue, e perché questa distinzione non è desumibile dal
principio dell’officialità e da quello dell’obbligatorietà
dell’azione penale, consacrati nell’art. 112 della Costituzione, i
quali non intendono assorbire, com’è noto, né escludere, né
sostituire tutta l’attività processuale privata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
proposta dal pretore di Venezia con ordinanza 24 gennaio 1966, in
relazione all’art. 419 del Codice di procedura penale e all’art. 28
delle disposizioni di attuazione dello stesso Codice approvato con R.D.
28 maggio 1931, n. 602, in quanto impongono all’imputato non ammesso al
gratuito patrocinio di anticipare le spese per le citazioni e le
indennità ai testimoni da lui richiesti, ed in riferimento agli artt.
3 e 24, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.