Sentenza N. 93 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
29/04/1971
Data deposito/pubblicazione
29/04/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/04/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
quarto, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato
con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, promosso con ordinanza emessa il 19
aprile 1969 dalla Corte d’appello di Roma nel procedimento penale a
carico di De Sica Vittorio, iscritta al n. 266 del registro ordinanze
1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 186 del
23 luglio 1969.
Visti gli atti di costituzione di Vittorio De Sica e d’intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 marzo 1971 il Giudice relatore
Angelo De Marco;
uditi l’avv. Ercole Graziadei, per il De Sica, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del
Consiglio dei ministri
Nel corso del procedimento penale a carico di Vittorio De Sica,
imputato del reato di cui all’art. 261, comma quarto, del testo unico
delle leggi sulle imposte dirette, approvato con d.P.R. 29 gennaio
1958, n. 645, la 1 Sezione penale della Corte d’appello di Roma,
ritenuto che la diversa formulazione del citato quarto comma dell’art.
261 del t.u. rispetto a quella dell’originario articolo 30 del r.d. 17
settembre 1931, n. 1608, veniva a creare una nuova figura di reato nel
senso di rendere punibili gli atti fraudolenti del contribuente, sui
beni propri o altrui, per rendersi insolvibile, agli effetti della
riscossione delle imposte dirette, anche se compiuti anteriormente alla
morosità per sei rate consecutive di imposta, con ordinanza in data 19
aprile 1969 sollevava questione di illegittimità costituzionale, per
eccesso di delega, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, della
ravvisata nuova figura di reato.
Dopo gli adempimenti di legge il giudizio, così promosso, viene
oggi alla cognizione della Corte.
Si è costituito il De Sica, il di cui patrocinio, con memoria
depositata il 5 agosto 1969:
a) in via principale sostiene, in conformità con la impugnata
sentenza del tribunale di Roma, che con tale motivazione aveva assolto
l’imputato perché il fatto non costituisce reato, che dal raffronto
tra il primo e quarto comma dell’impugnato art. 261, chiaramente si
evince che presupposto per l’esistenza del reato è la precedente
morosità per sei rate consecutive di imposta;
b) in via subordinata, ove dovesse ritenersi sussistente
l’innovazione ravvisata dalla Corte d’appello, chiede che venga
dichiarata fondata la sollevata questione di illegittimità
costituzionale.
È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
che, con l’atto d’intervento, depositato il 12 luglio 1969, sostenendo
che l’art. 261, comma quarto, del t.u. non ha modificato la previsione
dell’art. 30 del r.d. n. 1608 del 1931 e che, quindi, resta sempre
ferma, come condizione di punibilità, la preesistente mora per sei
rate successive di imposta, chiede che la proposta questione venga
dichiarata non fondata.
Con due distinte memorie depositate rispettivamente l’8 e l’11
marzo 1971, l’Avvocatura generale dello Stato per il Presidente del
Consiglio dei ministri ed il patrocinio del De Sica insistono nelle
tesi sopra riassunte
L’art. 30 del r.d. 17 settembre 1931, n. 1608 (approvazione del
t.u. delle disposizioni riguardanti le dichiarazioni dei redditi e le
sanzioni in materia di imposte dirette), prevedeva una particolare
figura di reato (frode fiscale) riguardante il contribuente, moroso per
sei rate successive d’imposta diretta, il quale, per sottrarsi al
pagamento, “compie”, sui propri e sugli altrui beni, atti fraudolenti,
che rendano in tutto o in parte inefficace l’esecuzione forzata
promossa dall’esattore.
Sembra pacifica, ed è presupposto logico dell’ordinanza di rinvio,
l’opinione che per la sussistenza del reato, da quella norma preveduto,
occorressero i due estremi della mora pro tratta per sei rate
consecutive d’imposta ed il compimento di atti fraudolenti, posti in
essere dopo il verificarsi di tale mora.
In attuazione della delega legislativa contenuta nell’art. 63 della
legge 5 gennaio 1956, n. 1, la sopra esaminata norma è stata trasfusa
nell’art. 261 del t.u. approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645,
che al primo comma prevede, come reato punibile con l’ammenda da L.
1.000 a L. 200.000, il mancato pagamento di sei rate consecutive
d’imposta per un ammontare complessivo non inferiore a L. 12.000 ed al
quarto comma, come reato punibile con la reclusione fino a tre mesi, il
fatto del contribuente “incorso in morosità” che, al fine di sottrarsi
al pagamento delle imposte dovute, “abbia compiuto”, sui propri o sugli
altrui beni, atti fraudolenti che rendano in tutto o in parte
inefficace l’esecuzione esattoriale.
Argomentando dalla dizione “abbia compiuto” il giudice a quo ha
ritenuto che nel testo unico sia stata introdotta una nuova figura di
reato, per la quale il contribuente moroso viene colpito anche nel caso
che gli atti fraudolenti siano stati posti in essere anteriormente al
verificarsi della mora, con conseguente violazione dell’art. 76 della
Costituzione, in quanto per il sopra citato art. 63 della legge di
delega il Governo doveva limitarsi alle modifiche necessarie per
l’attuazione dei seguenti criteri:
1) adattamento delle disposizioni alla esigenza di semplificazione
nell’applicazione dei tributi ed a quella di una razionale
organizzazione dei servizi;
2) perfezionamento delle norme concernenti l’attività
dell’Amministrazione finanziaria ai fini dell’accertamento dei redditi.
Ma, come concordemente oppongono sia l’Avvocatura generale dello
Stato nell’interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, sia il
patrocinio della parte privata, non può ritenersi che il legislatore
delegato abbia preveduto una nuova figura di reato.
Presupposti comuni tanto all’art. 30 del t.u. del 1931, quanto
all’art. 261 del t.u. del 1958 sono:
a) l’esistenza di uno stato di morosità, qualificato dall’omesso
pagamento di sei rate consecutive d’imposta;
b) compimento di atti fraudolenti, diretti a rendere inefficace
l’azione esecutiva dell’esattore.
Il raffronto tra l’art. 30 del t.u. del 1931 e l’art. 261 del t.u.
del 1958 dimostra che i due presupposti sopra indicati esistono
immutati nelle due norme.
In particolare il diverso uso del verbo “compiere” al presente
nell’art. 30, al (congiuntivo) passato nell’art. 261, comma quarto,
del t.u. del 1958, è conseguenza diretta della formalmente diversa
espressione adoperata per indicare la condizione di morosità del
debitore d’imposta: nell’art. 30 la morosità qualificata è definita
direttamente; nell’art. 261 è definita nel primo comma agli effetti
del più lieve reato contravvenzionale consistente nel solo fatto di
tale mora e viene poi richiamata nel quarto comma con la dizione
“incorso in morosità” agli effetti del più grave reato delittuoso
commesso da chi voglia rendersi insolvibile ed eludere, così, il
debito fiscale.
Di qui l’esclusione della volontà del legislatore delegato di
innovare sulla previsione delittuosa già contemplata dall’art. 30 del
t.u. del 1931 e, conseguentemente, la non violazione dell’art. 76 della
Costituzione.
La sollevata questione deve, quindi, dichiararsi non fondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 261, comma quarto, del testo unico delle leggi sulle imposte
dirette, approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, sollevata, in
riferimento all’art. 76 della Costituzione, con l’ordinanza di cui in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.