Sentenza N. 94 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
08/07/1967
Data deposito/pubblicazione
08/07/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/06/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ- Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
30 dicembre 1923, n. 3269, sulla legge del registro, promosso con
ordinanza emessa il 21 gennaio 1966 dalla Corte d’appello di Milano nel
procedimento civile vertente tra Germani Marcello e l’Amministrazione
finanziaria dello Stato, iscritta al n. 34 del Registro ordinanze 1966
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 30
aprile 1966.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e di costituzione dell’Amministrazione finanziaria dello Stato
e di Germani Marcello;
udita nell’udienza pubblica del 12 aprile 1967 la relazione del
Giudice Aldo Sandulli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l’Amministrazione
finanziaria dello Stato.
Con ordinanza emessa il 21 gennaio 1966 e depositata il 10 febbraio
successivo, nel corso della fase di appello di un giudizio civile di
opposizione, proposto dal sig. Germani Marcello contro un’ingiunzione
notificatagli dall’Amministrazione finanziaria dello Stato per il
pagamento dell’imposta di registro (comprensiva della così detta
“tassa di titolo”) su una sentenza del Tribunale di Milano, non ancora
passata in giudicato, la quale aveva accertato l’esistenza di un
contratto non registrato relativo alla vendita di un immobile
effettuata dalla società per azioni Petroli d’Italia al Germani e
aveva dichiarato risolto il contratto stesso per colpa di quest’ultimo,
la Corte d’appello di Milano ha rimesso a questa Corte la questione
della legittimità costituzionale dell’art. 72 della legge del registro
approvata con R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, in riferimento agli artt.
3, 24 e 113 della Costituzione.
La Corte milanese ha ritenuto che la risoluzione dell’anzidetta
questione sia rilevante ai fini del giudizio di sua spettanza poiché
dalla disposizione denunciata – la quale, per la registrazione delle
sentenze che pronuncino su domande basate su convenzioni non risultanti
da un titolo registrato, impone il pagamento all’erario di una somma
proporzionale al valore della convenzione-dipende “la sussistenza per
l’ufficio del registro del potere di gravare la sentenza delle imposte
proporzionali e delle sopratasse prima del suo passaggio in cosa
giudicata”.
Ha motivato, poi, in ordine alla non manifesta infondatezza della
questione osservando che la disposizione dell’art. 72, con l’esigere il
pagamento dell’imposta proporzionale di registro anche per le sentenze
non ancora passate in giudicato, “consente, in concreto, la tassazione
di convenzioni che, ancora controverse fra le parti in ordine alla loro
stessa giuridica esistenza, potrebbero, nei successivi giudizi di
impugnazione, essere ritenute neppur sorte o radicalmente nulle”: ciò,
“con la conseguenza, per il caso di mancato pagamento anticipato del
tributo preteso, di porre l’intimato nella condizione di non potere
avere rilasciata, dal cancelliere, copia della sentenza soggetta alla
registrazione (art. 117 della legge di registro), e, quindi, di non
potere inserire tale copia nel fascicolo della causa di appello
promossa contro la sentenza tassata (art. 347, secondo comma, del
Codice di procedura civile); con l’effetto ulteriore di avere preclusa,
in tal modo, la possibilità di adire validamente il giudice di appello
per fare definitivamente accertare la inesistenza stessa della
convenzione (art. 348, secondo comma, del Codice di procedura civile),
e di conseguire, pertanto, la piena tutela dei propri diritti, che è
garantita dalla Costituzione (art. 24, primo comma)”. In sostanza
l’ordinanza lamenta che la disposizione impugnata incide negativamente
sul diritto dei cittadini di agire e difendersi in giudizio. Al qual
riguardo, attraverso un riferimento alla sentenza n. 21 del 1961 di
questa Corte, l’ordinanza di rimessione adombra una condizione di
particolare sfavore dei meno abbienti in ordine a tale diritto, e
perciò l’incompatibilità della disposizione denunciata con gli artt.
3, 24 e 113 della Costituzione.
L’ordinanza è stata notificata alle parti in causa il 10 febbraio
1966 e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 14 febbraio
successivo. Di essa è stata data comunicazione ai Presidenti dei due
rami del Parlamento il 10 febbraio. La pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale è avvenuta il 30 aprile 1966 (S.U. n. 105).
Davanti a questa Corte si è costituito il Germani con deduzioni
depositate il 20 maggio 1966, nelle quali si ribadiscono,
sostanzialmente, gli argomenti contenuti nell’ordinanza.
Si è altresì costituito, in rappresentanza del Presidente del
Consiglio dei Ministri e dell’Amministrazione finanziaria, l’Avvocatura
generale dello Stato, con atto depositato il 19 aprile 1966, sostenendo
l’infondatezza della questione.
Ricordato che la questione ora proposta è già stata dichiarata
infondata da questa Corte con sentenza n. 82 del 1963, l’Avvocatura
osserva che la c.d. tassa di titolo non sarebbe una tassa giudiziale,
ma la “normale imposta di registro” dovuta sulle convenzioni non
registrate; che l’art. 72, dato che si basa sulla esistenza di fatti
rivelatori di una capacità contributiva, e data la possibilità di
invocare il gratuito patrocinio, non può essere considerato lesivo
dell’art. 3 della Costituzione; che esso non contrasta con l’art. 24
della Costituzione, in quanto non pone nessun divieto alla
“instaurazione di ulteriori giudizi qualora non vengano corrisposte la
“tassa giudiziaria” o la “tassa di titolo”; che non lede nemmeno l’art.
113 della Costituzione, poiché non nega la possibilità di far valere
nelle sedi competenti l’illegittimità dell’applicazione del tributo.
Nega poi che la possibilità di pretendere il tributo, nonostante il
mancato passaggio in giudicato della sentenza, possa esser considerata
lesiva degli artt. 24 e 113: il tributo mira infatti a colpire le
convenzioni accertate, per le quali l’imposta di registro avrebbe
dovuto esser corrisposta in precedenza; e l’andamento
dell’amministrazione finanziaria sarebbe sicuramente compromesso se
dovesse attendersi il passaggio in giudicato delle sentenze che abbiano
preceduto all’accertamento, mentre, qualora nelle ulteriori fasi
giudiziarie dovesse risultare l’inesistenza o la nullità delle
convenzioni o l’obbligo di altri di far fronte al tributo, la
restituzione di questo varrebbe a ripianare la situazione di chi avesse
dovuto indebitamente corrisponderlo.
In una memoria depositata il 25 marzo 1967 l’Avvocatura fa richiamo
alla sopravvenuta sentenza di questa Corte n. 80 del 1966, la quale ha
dichiarato l’illegittimità dell’art. 117 della legge sul registro
“nella parte in cui vieta ai funzionari delle cancellerie giudiziarie
di rilasciare, prima che sia avvenuta la loro registrazione, copie o
estratti di sentenze il cui deposito in giudizio sia condizione
essenziale per la procedibilità dell’impugnativa, ai sensi dell’art.
348 del Codice di procedura civile”. E osserva che gli inconvenienti
lamentati con l’ordinanza di rimessione, lungi dal dipendere dal
contenuto dell’art. 72-il quale in sé e per sé non limita in alcun
modo la tutela giurisdizionale dei diritti del cittadino -,
“dipendevano, prima che intervenisse la citata sentenza n. 80/1966,
dalla disposizione dell’art. 117 della stessa legge di registro”, e
sarebbero perciò venuti meno col venir meno di tale disposizione.
La questione sottoposta a questa Corte investe soltanto l’art. 72
della legge del registro (R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269); e la investe
sotto un unico profilo. La disposizione dell’art. 72, che impone
l’obbligo del pagamento della così detta tassa di titolo per la
registrazione delle sentenze in cui venga accertata l’esistenza di
“convenzioni non ridotte in iscritto o per le quali non siano stati
enunciati titoli registrati” anche se le sentenze stesse non siano
ancora passate in cosa giudicata, è stata denunciata infatti
unicamente perché la sottoposizione alla “tassa di titolo” delle
sentenze non ancora passate in giudicato comporterebbe un onere, il
quale, anche per essere assai gravoso nel caso di convenzioni di valore
elevato, sarebbe in grado di incidere in modo accentuatamente
sfavorevole sul diritto di agire e di difendersi in giudizio dei meno
abbienti. Perciò appunto essa vulnererebbe i precetti degli artt. 3,
24 e 113 della Costituzione, e segnatamente dell’art. 24. L’ordinanza
argomenta in proposito dall’impossibilità, risultante dall’art. 117
della legge del registro, che chi sia interessato a impugnare una
sentenza ne ottenga la copia da produrre nel giudizio di impugnazione
quando non sia stata pagata l’imposta di registro (e quindi la “tassa
di titolo”) prescritta per quella sentenza, e dalla conseguente
improcedibilità, statuita dal Codice di procedura civile (artt. 347,
secondo comma, e 348, secondo comma; ma V. pure l’art. 369), del
giudizio di impugnazione proposto nonostante la mancata registrazione.
Improcedibilità risolventesi a sua volta nell’assoluta non
raggiungibilità, da parte di chi non sia in grado di pagare il
tributo, del risultato della caducazione proprio di quella sentenza
dalla quale, in ipotesi, avrebbe potuto derivare la sua indebita
tassazione. Di qui l’accostamento alla fattispecie dell’art. 6 della
legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (regola del solve et repete),
dichiarato illegittimo con la sentenza n. 21 del 1961 di questa Corte.
Con la sentenza n. 82 del 1963 questa Corte ebbe però ad affermare
che una denuncia come quella ora riferita era malamente proposta nei
confronti dell’art. 72. Questo, infatti, non diversamente dagli
articoli che immediatamente lo precedono (artt. 68-71), si limita a
regolare l’importo dell’imposta di registro dovuta in occasione
dell’emanazione di certe categorie di sentenze; e nei confronti di tale
regolamento nessuna denuncia viene sollevata. Nulla statuisce però
l’articolo in ordine alle conseguenze del mancato assolvimento
dell’obbligazione tributaria, e, in particolare, in ordine al divieto
di rilascio di copie delle sentenze non registrate e
all’improcedibilità dei giudizi d’impugnazione nel caso di mancato
deposito della sentenza impugnata. Le statuizioni in questi ultimi
sensi sono contenute invece in altre disposizioni (sopra ricordate)
della legge del registro e del Codice di procedura civile, non
denunciate né nel giudizio concluso con la sentenza n. 82 del 1963,
né ora.
Per di più la sentenza di questa Corte n. 80 del 1966, intervenuta
successivamente all’ordinanza che ha dato origine al presente giudizio,
ha fa venir meno quella parte della disposizione dell’art. 117 della
legge del registro che vietava ai funzionari delle cancellerie
giudiziarie di rilasciare, prima che fosse avvenuta la registrazione
delle sentenze, copie o estratti di esse, il cui deposito in giudizio
fosse condizione essenziale per la procedibilità dell’impugnativa.
Con la conseguenza che ormai gli effetti sfavorevoli denunciati
dall’ordinanza di rimessione non sono, comunque, più realizzabili.
La questione proposta deve essere perciò dichiarata non fondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione proposta con l’ordinanza indicata
in epigrafe, relativa alla illegittimità costituzionale dell’art. 72
del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, sulla legge del registro, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale.
Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.