Sentenza N. 95 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
08/07/1967
Data deposito/pubblicazione
08/07/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/06/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ- Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
R.D. 5 giugno 1939, n. 1016 (oblazione per le contravvenzioni alle
norme sulla protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia)
e dell’art. 108 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (oblazione per le
contravvenzioni ai regolamenti comunali), promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanza emessa il 18 gennaio 1966 dal pretore di Narni nel
procedimento penale a carico di Liti Sergio, iscritta al n. 30 del
Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 76 del 26 marzo 1966;
2) ordinanze emesse il 5 febbraio 1966 dal pretore di Orvieto nei
procedimenti penali a carico di Todini Carlo Alberto e Pasquale,
Bellocchio Franco, Cavazzoni Raul, Coppola Federico, Menna Margherita e
Menna Ugo, iscritte ai nn. 46, 47, 48, 49, 50 e 51 del Registro
ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 105 del 30 aprile 1966.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 26 aprile 1967 la relazione del
Giudice Biagio Petrocelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nel corso del procedimento penale contro Liti Sergio, il pretore di
Narni, con ordinanza del 18 gennaio 1966, ha sollevato di ufficio, in
riferimento agli artt. 3, 25 e 102 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 77 del testo unico delle leggi
per la protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia,
approvato con R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, che prevede la oblazione per
i reati di cui alle disposizioni del predetto testo unico.
Nell’ordinanza si premette che il Liti, imputato dei reati di cui
agli artt. 43 e 76, primo comma, del citato R.D., per aver esercitato
la caccia in zona di riserva, aveva chiesto e ottenuto di essere
ammesso all’oblazione prevista dalla norma impugnata; e si osserva che
a seguito di ciò avrebbe dovuto emettersi sentenza istruttoria di
improcedibilità. Il pretore ha ritenuto tuttavia di dover prospettare
dubbi sulla legittimità costituzionale della disposizione, in
particolare nei punti in cui questa concede all’autorità
amministrativa, e cioè al prefetto, la facoltà di respingere le
istanze di oblazione nei casi di speciale gravità e il potere di
determinare discrezionalmente la somma da pagare a quel titolo, nei
limiti della pena stabilita dalla legge per la violazione di cui si
tratta.
Secondo il pretore, la facoltà concessa al prefetto di accettare o
respingere la domanda di oblazione con esame del fatto, nonché il
potere di determinare discrezionalmente la somma da pagare potrebbe
costituire, sostanzialmente, l’esercizio della funzione giurisdizionale
da parte di un organo del potere esecutivo contrariamente alla
disposizione dell’art. 102 della Costituzione. L’esame stesso dei
fatti, demandato al prefetto sia pure ai soli fini dell’accettazione e
meno della domanda di oblazione e della determinazione della somma da
pagare, potrebbe rappresentare un distoglimento dell’imputato, sia pure
per i detti effetti, al giudice naturale precostituito, in violazione
dell’art. 25. Infine, la facoltà concessa al prefetto di accettare o
respingere la domanda, ed il potere conferitogli di fissare
discrezionalmente la somma da pagare, potrebbe portare a disuguaglianza
dei cittadini davanti alla legge, in violazione dell’art. 3.
Nel corso di sei distinti procedimenti penali contro Todini Carlo
Alberto e Pasquale, Bellocchio Franco, Cavazzoni Raul, Coppola
Federico, Menna Margherita e Menna Ugo, imputati del reato previsto
dall’art. 41, ultima parte, della legge urbanistica 17 agosto 1942, n.
1150, il pretore di Orvieto, con separate ordinanze di identico
contenuto, tutte del 5 febbraio 1966, ha sollevato di ufficio questione
di legittimità costituzionale dell’art. 108 del testo unico delle
leggi comunale e provinciale, approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383,
in riferimento all’art. 3 della Costituzione. Si assume che, concedendo
al sindaco la facoltà di determinare la somma da pagarsi a titolo di
oblazione entro i limiti minimo e massimo fissati dalla legge, è
violato l’art. 3 della Costituzione, potendo la norma impugnata dar
luogo ad arbitrio da parte del sindaco e a disparità di trattamento
fra un cittadino e l’altro per un fatto contravvenzionale di pari
gravità.
Le ordinanze sono state regolarmente notificate e comunicate. Esse
risultano pubblicate, la prima, nel n. 76 del 26 marzo 1966, e, tutte
le altre, nel n. 105 del 30 aprile 1966 della Gazzetta Ufficiale. In
rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri si è
costituita l’Avvocatura generale dello Stato nei giudizi a carico del
Liti e dei Todini, con atti di intervento e deduzioni depositati in
cancelleria rispettivamente il 7 aprile e il 31 marzo 1966.
L’Avvocatura contesta che l’attribuzione al prefetto di un potere
discrezionale in ordine all’accoglimento della istanza di oblazione
comporti l’esercizio di funzioni giurisdizionali, in violazione degli
artt. 102 e 25 della Costituzione. Ritiene inoltre che l’attribuzione
all’autorità amministrativa (prefetto, sindaco) del potere di fissare
la entità della somma da pagare ai fini dell’oblazione non violi, di
per sé, il principio di eguaglianza. In proposito, fra gli altri
argomenti, si rileva soprattutto che la “eventuale disparità di
trattamento di situazioni analoghe non deriva direttamente dalla
legge”, “ma, se mai, da una eventuale scorretta applicazione” di essa.
Le ordinanze del pretore di Orvieto e l’ordinanza del pretore di
Narni, nella parte riguardante il potere dell’autorità amministrativa
di fissare – entro i limiti minimo e massimo della pena stabilità
dalla legge – la misura della somma da pagare a titolo di oblazione,
propongono identica questione; ed è pertanto il caso di decidere con
unica sentenza.
1. – La predetta questione non è fondata. La disposizione del
terzo comma dell’art. 77 del T. U. della legge sulla caccia, approvato
con R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, oggetto dell’ordinanza del pretore di
Narni, e quella del primo comma dell’art. 108 del T. U. della legge
comunale e provinciale, approvato con R.D. del 3 marzo 1934, n. 383,
oggetto delle ordinanze del pretore di Orvieto, con l’attribuire
rispettivamente al prefetto e al sindaco il potere di cui innanzi, non
ledono in alcun modo il principio di eguaglianza. Si assume che
“l’esercizio di un tal potere può dar luogo a disparità di
trattamento fra un cittadino e l’altro per fatti contravvenzionali di
pari gravità, e che si può avere il caso di chi debba versare somma
irrisoria mentre altri sia costretto a pagare somma pari al massimo
della pena edittale”. La Corte deve a questo proposito riportarsi a
quanto, su identico oggetto, fu rilevato con la sentenza n. 15 del
1967. Per l’applicazione delle varie norme l’ordinamento non può, di
regola, procedere in base a quella “predeterminazione fissa”, e “in via
generale”, che sembra auspicata nelle ordinanze di rimessione. Le
norme impugnate, con l’attribuire al prefetto e al sindaco il potere di
determinare volta per volta la somma da versare a titolo di oblazione,
non fanno che soddisfare alla inderogabile esigenza dell’ordinamento di
adeguare la norma generale alle particolarità di ciascun caso
concreto. Il che è indispensabile proprio per realizzare nei suoi veri
termini il principio di eguaglianza, che, nei casi in questione, si
risolve in un principio di giusta proporzione. Tale funzione di
adattamento della norma generale al caso concreto trova sua peculiare
espressione nel potere del giudice di fissare la pena fra il minimo e
il massimo edittale, ma si svolge largamente anche nel campo
amministrativo, ogni volta che l’applicazione di una norma renda
necessaria, a ciascun organo, una adeguata valutazione del caso
concreto. Indubbiamente non si può escludere che il potere
discrezionale si esplichi talvolta in modo erroneo o addirittura
ingiusto. Questa è però una eventualità del momento applicativo, per
la quale valgono i rimedi stabiliti dalla legge, non un motivo di
illegittimità della norma che in via generale attribuisce il potere.
2. – Nemmeno è fondata la questione, sollevata con l’ordinanza del
pretore di Narni, sulla legittimità del comma quarto dell’art. 77 del
T. U. 5 giugno 1939, n. 1016, secondo il quale il prefetto può
respingere la domanda di oblazione nei casi di speciale gravità.
Si assume che questa norma potrebbe costituire violazione della
Costituzione nelle norme:
a) dell’art. 102, in quanto la facoltà concessa al prefetto, con
l’attribuire un esame del fatto, verrebbe a stabilire sostanzialmente
un esercizio di funzione giurisdizionale da parte di un organo del
potere esecutivo;
b) dell’art. 25, in quanto l’esame dei fatti demandato al prefetto
potrebbe rappresentare distoglimento dell’imputato dal suo giudice
naturale;
c) dell’art. 3, potendo la facoltà concessa al prefetto portare a
disuguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Nessuna delle asserite violazioni ha fondamento. Non la violazione
dell’art. 102, perché non può dirsi esercizio di funzione
giurisdizionale il potere di valutazione, che, come nel caso della
istanza di oblazione, viene attribuito all’autorità amministrativa,
potere che, pur importando una valutazione del singolo caso, rimane di
natura amministrativa, e si svolge prima e al di fuori del processo
giurisdizionale.
Del pari è qui a torto invocato anche l’art. 25 della Costituzione
perché, ove si disponga il non accoglimento della istanza, lungi
dall’esserne distolto, l’esame del caso viene portato davanti al
giudice naturale, proprio per l’attuazione di una più adeguata tutela.
Nemmeno infine si ha violazione dell’art. 3, per le stesse ragioni
per le quali si è ritenuto non fondata la questione relativa al potere
di fissare la somma da pagare fra il minimo e il massimo della pena
stabilita dalla legge.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 77 del R. D. 5 giugno 1939, n. 1016 (oblazione per le
contravvenzioni alle norme sulla protezione della selvaggina e per
l’esercizio della caccia), in riferimento agli artt. 3, 25 e 102 della
Costituzione, sollevata dal pretore di Narni con ordinanza del 18
gennaio 1966;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 108 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (oblazione per le
contravvenzioni ai regolamenti comunali), in riferimento all’art. 3
della Costituzione, sollevata dal pretore di Orvieto con sei ordinanze
del 5 febbraio 1966.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.