Sentenza N. 96 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
11/03/1971
Data deposito/pubblicazione
11/03/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
05/05/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
terzo comma, del codice di procedura penale, promossi con quattro
ordinanze emesse, rispettivamente, il 15 aprile 1969 dal tribunale di
Marsala nel procedimento penale a carico di Tumbarello Giuseppe ed
altro, il 19 maggio 1969 dalla Corte di cassazione – sezione quarta
penale – nel procedimento penale a carico di Catenaccio Giacinto, il
14 ottobre 1969 dal pretore di Alessandria nel procedimento penale a
carico di Carlessi Natale, ed il 16 settembre 1969 dal pretore di
Milano nel procedimento penale a carico di Di Lauro Giuseppe; iscritte
rispettivamente ai nn. 318, 375 e 432 del registro ordinanze 1969 ed al
n. 145 del registro ordinanze 1970 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 243 del 24 settembre 1969, n. 280 del 5
novembre 1969, n. 324 del 24 dicembre 1969 e n. 136 del 3 giugno 1970.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri.
udito nell’udienza pubblica del 24 marzo 1971 il Giudice relatore
Enzo Capalozza;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso di un procedimento penale in grado di appello,
dinanzi al tribunale di Marsala – essendo risultato che l’imputato
Giuseppe Tumbarello aveva proposto personalmente l’impugnazione senza
nominare un difensore e, dopo che gli era stato notificato l’avviso di
deposito della sentenza, aveva omesso di presentare i motivi – il
tribunale, con ordinanza del 15 aprile 1969, riteneva rilevante e non
manifestamente infondato, in riferimento all’art. 24, secondo comma,
della Costituzione, il dubbio di legittimità costituzionale dell’art.
151, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui
dispone che l’avviso del suddetto deposito sia notificato al difensore
che abbia proposto impugnazione o (rectius: e) a quello che sia
designato dall’imputato nella dichiarazione relativa.
Nella motivazione dell’ordinanza, si precisa che la norma
denunziata implicitamente esclude che analogo avviso sia notificato al
difensore del dibattimento di primo grado che non abbia assunto alcuna
delle due suddette qualifiche.
Sulla non manifesta infondatezza della questione, si osserva che
tale difensore, pur avendo la facoltà di enunciare i motivi di
un’impugnazione da lui non proposta (art. 201, primo comma, cod. proc.
pen.), non ha diretta conoscenza né di tale impugnazione, né
dell’avvenuto deposito della sentenza; e che, per quanto l’introduzione
del giudizio di gravame sia dominata dal potere dispositivo del
soggetto impugnante, la presentazione e la stessa formulazione dei
motivi sarebbero lasciate all’iniziativa dell’imputato, in una fase
processuale nella quale non è prevista la nomina di un difensore di
ufficio, sebbene la difesa presenti un più accentuato carattere
tecnico, per essere diretta alla censura di un provvedimento del
giudice.
Da ciò deriverebbe, ad avviso del tribunale, la violazione del
precetto costituzionale sull’inviolabilità della difesa, intesa come
possibilità effettiva dell’assistenza tecnico-professionale e come
diritto irrinunciabile e indisponibile.
La limitazione prevista nella disposizione denunziata non potrebbe,
poi, essere configurata come un semplice adeguamento del diritto di
difesa alle caratteristiche strutturali della fase di impugnazione.
Infatti, l’imputato, normalmente sfornito di cognizioni tali da
consentirgli di specificare i motivi di censura, che sono a pena di
inammissibilità (art. 201, settimo comma, cod. proc. pen.), potrebbe
ignorare anche l’onere di presentarli e, d’altro canto, il difensore
del dibattimento, senza l’avviso di deposito, non sarebbe posto in
grado di avere notizia né dell’impugnazione proposta, né del
contenuto della sentenza.
Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi è stata costituzione
della parte privata.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto con atto
depositato il 26 giugno 1969, nel quale chiede che la questione sia
dichiarata infondata.
Dopo aver accennato all’interpretazione giurisprudenziale del
citato art. 151, nella sua originaria formulazione, nonché
all’innovazione ad esso apportata con la legge di riforma del 18 giugno
1955, n. 517, l’Avvocatura deduce che il testo vigente pone in grado il
difensore di redigere i motivi senza dover attendere dall’imputato la
notizia dell’avvenuto deposito della sentenza, e che l’obbligo
dell’avviso non sarebbe stato esteso al difensore del dibattimento che
non abbia assunto alcuna delle qualifiche previste dalla disposizione
denunziata, per la probabilità che egli sia stato dall’imputato
sostituito. Aggiunge, infine, che anche il più idoneo sistema di
garanzie fa pur sempre affidamento su di un minimo di diligenza, la cui
omissione non può attribuirsi ad imperfezione della norma.
2. – Nel corso di un giudizio di impugnazione di un’ordinanza del
pretore di Roma, che aveva dichiarato inammissibile, per mancata
presentazione dei motivi, l’appello proposto contro una sentenza di
condanna dall’imputato, il quale, nella relativa dichiarazione, non
aveva nominato un difensore, la Corte di cassazione, con ordinanza del
19 maggio 1969, ha sollevato questione di legittimità, in riferimento
all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dello stesso art. 151,
terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte che reca: “nel
caso preveduto nel primo capoverso” e “nel caso preveduto dalla prima
parte, al difensore che abbia proposto la impugnazione ed a quello che
sia stato designato nella dichiarazione di impugnazione”.
Secondo la Cassazione, la disposizione denunziata potrebbe
risolversi in una menomazione del diritto di difesa, in quanto,
nell’ipotesi in cui l’impugnazione sia proposta dal solo imputato che
non abbia provveduto a nominare un difensore, verrebbe a mancare la
possibilità di quell’assistenza tecnica che, integrando l’essenza del
diritto di difesa, deve persistere in ogni stato e grado del
procedimento.
Non vi è stata, in questa sede, costituzione di parte.
3. – Analoghe questioni di legittimità costituzionale del più
volte citato art. 151, terzo comma, del codice di procedura penale,
nella parte in cui dispone che l’avviso di deposito della sentenza
pronunziata in dibattimento sia notificato soltanto “al difensore che
abbia proposto l’impugnazione e a quello che sia stato designato
dall’imputato nella dichiarazione di impugnazione”, sono state
separatamente sollevate, in riferimento all’art. 24 della Costituzione,
con ordinanza del 14 ottobre 1969 dal pretore di Alessandria e del 16
ottobre 1969 dal pretore di Milano, nel corso di due incidenti di
esecuzione di sentenza di condanna, il cui appello, proposto dal solo
imputato, era stato dichiarato inammissibile, per omessa presentazione
dei motivi di impugnazione, con ordinanze, per le quali non era stato
notificato avviso di deposito al difensore nella fase di cognizione.
Neppure in tali giudizi innanzi a questa Corte vi è stata
costituzione di parte.
1. – Il dubbio di legittimità costituzionale, avanzato con varie
argomentazioni nelle diverse ordinanze, con riferimento all’art. 24,
secondo comma, della Costituzione, attiene all’articolo 151, terzo
comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui statuisce che
l’avvenuto deposito della sentenza pronunziata in seguito al
dibattimento (art. 151, primo comma) viene notificato “alle parti
private a cui spetta il diritto di impugnazione” (oltreché comunicato
al pubblico ministero) e, inoltre, “al difensore che abbia proposto
l’impugnazione e a quello che sia stato designato dall’imputato nella
dichiarazione di impugnazione”.
2. – La questione è fondata.
È da premettere che dalla sistematica del codice di diritto
processuale penale (art. 125 e segg.) emerge il principio generale
secondo cui il difensore non cessa dal mandato e dall’ufficio sino a
quando non sia sostituito con altro difensore (di fiducia o d’ufficio):
la revoca e la nomina del nuovo difensore non producono effetto se non
comunicate all’autorità giudiziaria (art. 133, secondo comma, cod.
proc. pen.); e il difensore di fiducia deve essere sostituito con il
difensore d’ufficio tanto nel caso in cui, essendo stato revocato
dall’imputato, da questo non venga sostituito con un altro, quanto nel
caso in cui sia egli stesso ad abbandonare l’incarico.
Una puntuale applicazione di tale principio si ha nell’articolo
201, primo comma, cod. proc. pen., che, proprio per il coordinamento
con la norma impugnata, abilita chi è stato difensore nel dibattimento
a predisporre, sottoscrivere e presentare i motivi, pur se l’imputato,
direttamente impugnante, non l’abbia designato nella dichiarazione di
gravame (e, si ritiene, persino se nella dichiarazione sia stato
designato altro difensore: invero, il nuovo difensore potrebbe non
accettare il mandato).
3. – Detto ciò, se si scende all’esame diretto della questione, se
ne scorge immediatamente la fondatezza.
Come è noto, l’avviso ha lo scopo di far decorrere il termine per
la individuazione, la formulazione e la presentazione dei motivi, i
quali debbono essere esposti specificamente, a pena di decadenza (art.
201, ultimo comma, cod. proc. pen.). Orbene, l’art. 151, terzo comma,
cod. proc. pen., indicando ed elencando i soggetti a cui va fatta la
notifica del deposito della sentenza dibattimentale, esclude tale
notifica per il difensore nel dibattimento, che non abbia proposto
l’impugnazione per conto della parte privata o che non sia stato, dalla
parte direttamente impugnante, designato nella dichiarazione di
gravame.
Sicché esso difensore, al quale l’avviso non va notificato, non ha
conoscenza autonoma del proposto gravame né dell’avvenuto deposito
della sentenza impugnata e perciò non v’è la sicurezza che sia messo
in condizione di apprestare tempestivamente la difesa. Il che contrasta
col criterio, più volte affermato dalla Corte, per cui l’art. 24,
secondo comma, della Costituzione contiene un’effettiva garanzia del
diritto della parte (e specialmente dell’imputato) all’assistenza
tecnica in ogni stato e grado del procedimento e, correlativamente, del
diritto del difensore a svolgere l’attività necessaria per
l’espletamento del mandato affidatogli (vedi, da ultimo, sentenza n.
62/1971).
L’illegittimità costituzionale deriva, dunque, da ciò: che –
nel momento forse più delicato del procedimento e in una fase
costitutiva del gravame in cui le ottemperanze, a pena di decadenza e
di conseguente inammissibilità (artt. 201, ultimo comma, 207, primo
comma, e 209, primo comma, cod. proc. pen.), sono ristrette entro
termini assai angusti di tem po – l’interessato può trovarsi privo
dell’assistenza del difen sore professionale; il che è illogico, fra
l’altro, se si pensa che chi sia stato difensore nel giudizio a quo
può presentare i motivi di gravame (sopra, n. 2).
4. – Devono essere disattese le argomentazioni dell’Avvocatura
dello Stato – secondo la quale vigilantibus iura succurrunt – poiché
l’imputato e le altre parti private possono non essere in grado di
conoscere o comprendere le esigenze essenziali del processo penale e,
in particolare, la necessità della tempestiva redazione dei motivi con
l’eventuale ausilio del difensore.
Al rilievo della stessa Avvocatura che il difensore può presentare
i motivi senza attendere la comunicazione della parte, è agevole
replicare che egli, come si è già accennato, non è in grado di
predisporli, se ignora persino che il deposito è avvenuto, né di
redigerli, se non ha diretta conoscenza della sentenza e di quant’altro
vi attiene (vedi art. 201, terzo comma, cod. proc. pen.), dato che essi
concernono la motivazione. E non è vero che la mancata conferma del
precedente difensore autorizzi a dedurre che la parte intenda
sostituirlo: infatti, la nuova nomina va effettuata con atto ricevuto
dall’autorità giudiziaria, o ad essa presentato, ovvero con
dichiarazione resa, anche per lettera, alla cancelleria o segreteria
(art. 134 cod. proc. pen.) o, quando si tratta di detenuto, con
dichiarazione ricevuta presso lo stabilimento carcerario (art. 80 cod.
proc. pen.); e sino a che uno di questi atti non esista, resta
difensore chi lo è stato in precedenza.
Ad ogni modo, quel che occorre è la sicurezza di una difesa
tecnica subito dopo la dichiarazione di gravame, sicurezza che la norma
impugnata non dà. A tacere, poi, del caso particolare in cui
l’imputato non sia in grado o possa non essere in grado di provvedere
alla difesa, allorché, essendo minorenne o altrimenti incapace, il
genitore o il tutore impugnante (persona diversa da lui) non abbia
designato il nuovo difensore.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 151, terzo
comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude che
l’avviso di deposito della sentenza pronunziata in seguito a
dibattimento sia notificato anche al difensore nel dibattimento.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 maggio 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI