Sentenza N. 99 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
10/06/1969
Data deposito/pubblicazione
10/06/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/05/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE, Giudici,
Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1244, promosso con
ordinanza emessa il 10 gennaio 1967 dalla Corte di appello di Catanzaro
nel procedimento civile vertente tra i Comuni di Pedivigliano e di
Soveria Mannelli e l’Opera per la valorizzazione della Sila ed altri,
iscritta al n. 271 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del 27 gennaio 1968.
Visti gli atti di costituzione del Comune di Pedivigliano e
dell’Opera valorizzazione Sila;
udita nell’udienza pubblica del 7 maggio 1969 la relazione del
Giudice Giovanni Battista Benedetti;
uditi l’avv. Cesare Gabriele, per il Comune di Pedivigliano, ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l’Opera
Sila.
Con ordinanza 10 gennaio 1967, emessa dalla Corte di Appello di
Catanzaro nel procedimento civile vertente tra i Comuni di Pedivigliano
e di Soveria Mannelli contro l’Opera per la valorizzazione della Sila e
Berlingieri Clementina, è stata proposta la questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione,
del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1244,
con il quale l’Ente di riforma otteneva l’espropriazione – ai fini
della riforma fondiaria prevista dalla legge 12 maggio 1950, n. 230 –
del terreno denominato “Chiazza” sito in agro di Parenti, in danno di
Berlingieri Clementina.
Risulta dagli atti che in esecuzione della sentenza 16 maggio 1889
del Collegio arbitrale per gli affari della Sila, il fondo “Chiazza”
era stato diviso in due quote, rispettivamente assegnate ai Comuni di
Pedivigliano e di Soveria Mannelli – ai sensi della legge 25 maggio
1876, n. 3124 – “in compenso degli usi civici che essi vantavano nella
Sila”.
Con verbale di aggiudicazione 21 ottobre 1891, approvato dalla
competente Giunta provinciale amministrativa, il Comune di Pedivigliano
cedeva la sua quota in enfiteusi perpetua a Berlingieri Francesco di
Anselmo. Identica cessione della sua quota faceva il Comune di Soveria
Mannelli in favore di Berlingieri Anselmo fu Francesco, con verbale di
aggiudicazione 10 agosto 1899, vistato dalla sottoprefettura di
Nicastro. Quest’ultima quota veniva poi ereditata nel 1912 dal
Berlingieri Francesco, il quale riunito così tutto il fondo “Chiazza”,
lo donava alla figlia Berlingieri Clementina in Lucifero. Il fondo in
questione veniva, infine, espropriato nel 1951 col decreto impugnato ed
attribuito all’Opera Sila.
Con citazione del 5 dicembre 1952 Berlingieri Francesco conveniva
in giudizio dinanzi al tribunale di Cosenza l’ente espropriante per
sentire dichiarare incostituzionale e illegittimo il decreto di
scorporo giacché il fondo “Chiazza” non apparteneva all’espropriata ma
era di proprietà dei Comuni di Pedivigliano e di Soveria Mannelli
contro i quali non si sarebbe potuto procedere, sia per la loro
qualità di enti pubblici, sia perché la proprietà dagli stessi
posseduta non aveva estensione superiore ai 300 ettari.
In detto giudizio interveniva volontariamente la donataria
Berlingieri Clementina e veniva altresì ordinato l’intervento dei due
Comuni interessati, i quali, sostenendo la nullità dei contratti
enfiteutici a suo tempo stipulati, stante il carattere demaniale del
fondo e l’inefficacia dei contratti medesimi, per la mancata
approvazione da parte degli organi competenti, concludevano per la
nullità della procedura di scorporo.
Con sentenza 15 luglio 1964 il tribunale di Cosenza dichiarava
manifestamente infondata la questione di costituzionalità eccepita
dagli attori e rigettava tutte le altre loro richieste.
Avverso tale sentenza proponevano appello i due Comuni insistendo
nella richiesta di dichiarazione di nullità o d’inefficacia delle
costituzioni di enfiteusi e la Corte di appello di Catanzaro, con
sentenza non definitiva 10 gennaio 1967 – gravata di impugnazione
dinanzi alla Corte di cassazione – dichiarava la nullità delle
enfiteusi costituite dai Comuni su tutto il fondo “Chiazza” in favore
dei Berlingieri, nonché la nullità dei successivi trasferimenti di
dette enfiteusi, dato che esse non potevano essere contratte su un
fondo avente una innegabile natura demaniale in quanto assegnato ai due
enti pubblici in compenso di usi civici inalienabili ed
imprescrittibili che avevano sulla Sila. Osserva inoltre la sentenza
che non risulta che vi sia stato in prosieguo alcun provvedimento di
sdemanializzazione così come è da escludersi che per effetto dei due
verbali di aggiudicazione del 1891 e del 1899 possa ritenersi
intervenuta la trasformazione del demanio in allodio, in quanto – come
rilevato dalla ordinanza 29 aprile 1940 pronunciata contro il
Berlingieri Francesco dal Commissario per la liquidazione degli usi
civici di Catanzaro – la costituzione di enfiteusi non fu mai approvata
dal Sovrano ai sensi della legge 16 giugno 1927, n. 1766.
Sulla base di tali rilievi la Corte di appello ha tratto la
conseguenza che l’intero fondo “Chiazza”, in quanto demaniale, non
poteva essere espropriato col decreto del Presidente della Repubblica 4
novembre 1951 e che l’esproprio non poteva intervenire in danno di
Berlingieri Clementina, la quale non era mai stati enfiteuta giacché
le due quote erano sempre appartenute ai beni demaniali dei Comuni. Ha
conseguentemente rimesso gli atti a questa Corte, con ordinanza emessa
in pari data della sentenza, sollevando eccezione di
incostituzionalità del decreto presidenziale di esproprio.
L’ordinanza è stata ritualmente comunicata, notificata e
pubblicata.
Nel presente giudizio si sono costituiti soltanto il Comune di
Pedivigliano, rappresentato e difeso dall’avv. Cesare Gabriele,
mediante deposito di deduzioni in cancelleria in data 3 luglio 1967 e
l’Opera Sila, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello
Stato, con deposito di deduzioni in data 13 febbraio 1968.
La difesa del Comune rileva che, avendo la Corte di appello deciso
che il fondo “Chiazza” è demanio comunale, il decreto presidenziale
che ne ha disposto l’esproprio deve ritenersi illegittimo, in
riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, per aver ecceduto
dai limiti della delega contenuti negli artt. 2 e 3 della legge 12
maggio 1950, n. 230.
L’Avvocatura, per contro, nelle sue deduzioni fa presente che
avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello l’Opera Sila
ha proposto ricorso per Cassazione per i seguenti motivi:
1) difetto di giurisdizione della Corte di appello: articolo 360,
n. 1, del Codice di procedura civile, in relazione agli artt. 1 della
legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 e segg. della legge 11
marzo 1953, n. 87;
2) violazione dell’art. 11 della legge 25 maggio 1876, n. 3124 e
falsa applicazione dell’art. 13 della legge 16 giugno 1927, n. 1766,
violazione dell’art. 9 della legge Sila n. 230 del 1950.
In relazione al primo motivo l’Avvocatura osserva che con la
sentenza impugnata, dichiarandosi nulle a tutti gli effetti le
originarie enfiteusi, si è statuito sulla questione essenziale della
causa e sulla questione dell’eccesso di delega del decreto di scorporo
disposto contra non dominum. Alla Corte costituzionale non resterebbe
che adottare un provvedimento conseguenziale alla sentenza non
definitiva di merito, e cioè una dichiarazione “dovuta” di
illegittimità costituzionale della legge-provvedimento. In
ottemperanza alle norme che regolano il giudizio di legittimità
costituzionale, la questione della validità delle enfiteusi costituite
dai comuni interessati avrebbe invece dovuto formare oggetto
dell’ordinanza di rimessione e non della sentenza parziale.
Si domanda poi l’Avvocatura se possa ammettersi una pronuncia
secundum eventum litis della Corte costituzionale e quale sorte possa
avere una pronuncia del genere nel caso di accoglimento del ricorso in
Cassazione. Dovrebbe in tale ipetesi restar ferma l’ipotetica sentenza
costituzionale (con la conseguenza che in tal modo si confischerebbe in
danno della ricorrente il rimedio del ricorso in Cassazione) e
resterebbe la sua efficacia condizionata al passaggio in cosa giudicata
della sentenza di appello.
In relazione al secondo motivo del ricorso l’Avvocatura osserva che
la sentenza impugnata ha dichiarato la nullità dei contratti di
enfitensi basandosi sull’ordinanza 25 aprile 1940 del Commissario per
la liquidazione degli usi civici per la Calabria, la quale ebbe a
stabilire che il fondo “Chiazza” doveva essere restituito al demanio
comunale non risultando la concessione in enfiteusi approvata dal
Sovrano, ai sensi dell’art. 13 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, e
mancando perciò il titolo valido per la trasformazione del demanio in
allodio.
Orbene le enfitensi in questione, sorte nel 1900, non soggiacciono
alla disciplina della legge del 1927, bensì a quella dettata dall’art.
11 della precedente legge 15 maggio 1876, n. 3124, che concede ai
Comuni la facoltà di censire, e cioè dare in enfiteusi, o ripartire
le terre silane già demaniali, e di destinarle all’uso diretto della
popolazione secondo che sarà determinato dal Consiglio Provinciale
avuto riguardo agli interessi dei Comuni. Nella specie, quindi, non vi
era bisogno dell’approvazione del Sovrano.
Rileva, inoltre, la difesa dell’Opera Sila nel ricorso per
cassazione che se anche il fondo “Chiazza” dovesse ancora considerarsi
tuttora sottoposto ad usi civici (per la nullità della sua conversione
da demanio in allodio) i Comuni potrebbero far valere il loro diritto
solo sull’indennità, giusta il disposto dell’art. 9 della legge Sila
n. 230 del 1950, il quale stabilisce che sulla indennità di
espropriazione sono trasferiti, ad ogni effetto, i diritti dei terzi
“compresi i diritti di uso civico”. Dal che è dato desumere che anche
i terreni gravati di uso civico sono espropriabili.
Sulla base dei motivi del ricorso per cassazione e delle
considerazioni svolte a sostegno dei medesimi l’Avvocatura in questa
sede sostiene che, quando meno allo stato attuale delle cose, il
giudizio incidentale di legittimità è inammissibile.
In linea strettamente subordinata, e qualora la Corte intendesse
trattare il merito della questione, l’Avvocatura richiama le
considerazioni svolte nel secondo motivo del ricorso per cassazione e
conclude per l’infondatezza della questione sollevata.
In una memoria depositata il 24 aprile 1969 la difesa del Comune di
Pedivigliano osserva anzitutto che entrambi i motivi del ricorso per
cassazione richiamati dall’Avvocatura per relationem sarebbero
infondati. Non sussiste anzitutto il difetto di giurisdizione del
giudice a quo. Il presupposto necessario della questione costituzionale
è la declaratoria di nullità dell’enfiteusi per effetto della
demanialità del fondo espropriato senza la quale declaratoria non
sarebbe potuta sorgere la questione di legittimità costituzionale né
sulla nullità avrebbe potuto giudicare questa Corte la cui competenza,
alla luce della Costituzione e delle leggi indicate nel ricorso, è
inflessibilmente limitata alle questioni costituzionali con esclusione
di ogni questione pregiudiziale e conseguenziale. A nulla rileva poi
che la Corte di Catanzaro abbia dichiarato in sentenza la demanialità
del fondo “Chiazza” anziché assumerla nella ordinanza di rimessione
come presupposto della questione di legittimità dato che questa Corte
non può che assumere come fondamento della rilevanza della questione
di legittimità costituzionale e della propria decisione la
demanialità comunque ritenuta o dichiarata dal giudice a quo.
Per quanto riguarda poi il merito della vertenza la difesa del
Comune di Pedivigliano osserva che è giurisprudenza pacifica che i
beni assegnati ai Comuni in virtù dell’art. 11 della legge del 1876
sulla Sila Regia in compenso degli usi civici siano divenuti demanio
dei Comuni assegnatari conservando le prerogative della inalienabilità
e imprescrittibilità. È vero che tali beni potevano essere concessi
in enfiteusi ma per la validità di tali concessioni erano necessarie
le preventive determinazioni del Consiglio provinciale come risulta del
resto dal tassativo disposto dell’art. 11 della legge citata,
determinazioni che nella specie sono mancate. Le costituzioni di
enfitensi del fondo in contestazione (che secondo la costante
giurisprudenza equivalgono ad alienazione) sono quindi radicalmente
nulle e conseguentemente è nullo il decreto di espropriazione
(pronunciato nei confronti dell’utilista che non era mai divenuto
legalmente tale) per un bene inespropriabile sia per la sua natura
giuridica, sia perché per l’art. 2 della legge Sila sono espropriabili
solo le proprietà private e non quelle d’enti pubblici.
La difesa del Comune insiste perciò nella richiesta di dichiarare
l’illegittimità costituzionale del decreto di espropriazione per
violazione degli artt. 2 e 9 della legge di delega n. 230 del 1950.
1. – Con l’ordinanza in epigrafe è stata sollevata la questione di
legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica
4 novembre 1951, n. 1244, per aver disposto l’esproprio ai fini della
riforma fondiaria in favore dell’Opera per la valorizzazione della Sila
del terreno denominato “Chiazza”, sito nei Comuni di Parenti e Taverna,
del quale risultava essere enfiteuta Berlingieri Clementina in
Lucifero, ma che in effetti faceva parte dei beni demaniali dei Comuni
di Pedivigliano e Soveria Mannelli. Il giudice a quo, con sentenza di
pari data dell’ordinanza di rinvio, ha compiuto l’accertamento circa la
reale natura e la titolarità del terreno espropriato dichiarando che
esso, assegnato ai due comuni ai sensi dell’art. 11 della legge 25
maggio 1876, n. 3124, in compenso degli usi civici che vantavano sulle
terre della Sila, non ebbe mai a perdere il carattere di demanialità
poiché nulli ad ogni effetto erano da considerarsi i contratti del 28
dicembre 1891 e del 21 marzo 1900 con i quali erano state cedute in
enfitensi le quote spettanti ai due comuni sul detto terreno e nulli
tutti i successivi trasferimenti fino a quello in favore del soggetto
privato espropriato.
Dalla circostanza che la sentenza in questione è stata impugnata
con ricorso per cassazione l’Avvocatura dello Stato ha tratto motivo
per sollevare pregiudizialmente eccezione di inammissibilità del
presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale.
L’eccezione non è fondata.
L’accertamento circa la natura demaniale o meno del terreno in
contestazione e della nullità o validità dei contratti enfiteutici
relativi al medesimo costituisce il presupposto indispensabile della
questione di legittimità ed attiene a quel giudizio di rilevanza che
è di esclusiva competenza del giudice a quo. Detto accertamento,
effettuato dalla Corte di appello di Catanzaro nella citata sentenza
non definitiva, è stato richiamato nell’ordinanza di rinvio emessa in
pari data e posto a fondamento del giudizio di rilevanza e non
manifesta infondatezza della questione di costituzionalità. Il
procedimento di legittimità costituzionale è stato perciò
ritualmente introdotto secondo le regole dettate dall’art. 23, comma
secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87. È stata più volte
affermata, proprio in ordine agli inconvenienti lamentati dagli Enti di
riforma circa l’applicazione della norma in questione ai giudizi di
costituzionalità riguardanti le leggi- provvedimento, l’indipendenza
delle pronunce della Corte dallo svolgimento dei giudizi principali.
Tali pronunce, con la tipicità della dichiarazione di illegittimità
“in quanto” costantemente in esse adoperata, non precludono alle parti
il diritto di proseguire, nell’ulteriore fase del giudizio di merito e
nei successivi gradi, a discutere sulla fondatezza dei presupposti e
quindi sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale.
E non è da escludere che una differente definitiva decisione sulle
questioni di fatto e di diritto che rappresentano il presupposto del
sindacato di costituzionalità produca come conseguenza l’inefficacia
della sentenza della Corte.
2. – Circa il merito della questione, dovendo procedere sulla base
degli accertamenti compiuti dalla Corte di appello di Catanzaro con la
ripetuta sentenza del 10 gennaio 1967, non è dubbio che debba essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale del decreto del Presidente
della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1244, per aver disposto – in
violazione dell’art. 2 della legge Sila 12 maggio 1950, n. 230 che
consente di sottoporre all’espropriazione soltanto terreni di
proprietà privata – l’esproprio del fondo “Chiazza” che per la sua
qualità di terreno demaniale non era soggetto a scorporo ai fini della
riforma fondiaria.
Né vale opporre che nel caso in esame i Comuni di Pedivigliano e
Soveria Mannelli dovrebbero esercitare il loro diritto sull’indennità
di espropriazione ai sensi dell’art. 9 della legge sopracitata poiché,
come già esposto nelle sentenze n. 78 del 1961 e n. 18 del 1965, il
diritto di proprietà dei Comuni sui demani civici non può riportarsi
tra “i diritti dei terzi compresi i diritti di uso civico” contemplati
dalla disposizione richiamata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale del decreto del Presidente
della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1244, in quanto ha disposto la
espropriazione del terreno “Chiazza” appartenente al demanio dei Comuni
di Pedivigliano e di Soveria Mannelli e non al soggetto privato
espropriato.
Così deciso in Roma, nella sede della corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.