Sentenza N. 10510 del 2016
Corte di Cassazione - Sezione Civile I
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 24 febbraio – 20 maggio
2016, n. 10510
Presidente Salvago – Relatore Dogliotti
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 152 D.Lgs. 196/03, C.N. chiedeva al Tribunale di
Palermo che la Corte dei Conti ovvero la Presidenza del Consiglio dei
Ministri fossero condannati al risarcimento dei danni , determinati da
illegittima divulgazione di dati attinenti alla sua salute.
Precisava il ricorrente di aver presentato ricorso in materia
pensionistica alla Corte dei Conti per la Regione Siciliana,Sezione
Giurisdizionale di Palermo; la relativa sentenza, che trattava i dati
personali del ricorrente riguardo alla salute dello stesso e alle sue
invalidità, era stata pubblicata sulla banca dei dati , sito internet
della Corte dei Conti, liberamente accessibile.
Costituitosi regolarmente il contraddittorio, la Presidenza del
Consiglio dei Ministri eccepiva la sua carenza di legittimazione; nel
merito, entrambi i convenuti chiedevano il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Palermo , con sentenza in data 14 luglio 2010,
dichiarava la carenza di legittimazione passiva della Presidenza del
Consiglio, nel merito, rigettava la domanda del ricorrente, non
ravvisando alcun illecito nel comportamento della Corte dei Conti .
Ricorre per cassazione il C., che pure deposita memoria difensiva.
Resistono, con un unico controricorso, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri e la Corte dei Conti.
Motivi della decisione
Con il primo motivo , il ricorrente lamenta violazione dell’art. 52
Codice Privacy, là dove il giudice a quo affermava che la divulgazione
dei dati sanitari non costituiva illecito, ed escludeva dunque ogni
responsabilità della Corte dei Conti e/o del titolare del trattamento
dei dati.
Con il secondo, violazione dell’art. 28 e 29 Codice Privacy nonché vizio
di motivazione circa la responsabilità del titolare e/o del responsabile
dei trattamento dei dati personali da parte della Pubblica
Amministrazione. Precisava il ricorrente che tale diffusione, nella
specie, costituiva un illecito amministrativo, determinato dai soggetti
diversi dal giudice, a mezzo della rete di telecomunicazione internet.
Con il terzo , in subordine, si chiedeva di sollevare la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 52 Codice Privacy, per contrasto
con gli artt. 2, 3, 13, 32, 117 Cost.
Va precisato che il diritto alla riservatezza o (all’intimità )della
sfera privata dell’individuo, appare, ben più di altri aspetti di tutela
della personalità, strettamente collegato alle profonde trasformazioni
operate dalla società industriale: accresciuto contatto e ad un tempo
maggiore estraneità tra individui, più ampio dinamismo e circolazione
dei soggetti che possono inserirsi in ambienti e situazioni tra loro del
tutto indipendenti, talora rivestendo ruoli differenziati e mostrando
così profili diversi della propria personalità. Ma è soprattutto
l’incessante progresso tecnologico, il perfezionamento ( e la
pericolosità) dei mezzi di comunicazione di massa e degli strumenti di
raccolta di dati e notizie che, attraverso inedite, per il passato del
tutto impensabili, e talora gravissime, aggressioni agli aspetti più
intimi della personalità, richiedono necessariamente l’individuazione di
più efficaci ed adeguate difese.
Per molti anni mancò un riscontro normativo specifico alla tutela di
tale diritto, anche se la giurisprudenza e la dottrina man mano ne
riconoscevano la protezione, magari ancorandolo all’art. 10 c.c.
relativo all’immagine ovvero successivamente agli artt. 2 e 3 della
Costituzione e alla garanzia di tutela e sviluppo della personalità.
Solo in tempi relativamente recenti si è pervenuti ad una disciplina
organica della materia, con la L. n. 675 del 1996, variamente
modificato, successivamente, con un ancor più incisivo Dlgs. N. 196/2003.
Va preliminarmente osservato che non è stato impugnata e quindi ha
valore di giudicato , la statuizione dei giudice a quo circa il difetto
di legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il ricorso merita accoglimento per quanto di ragione.
Richiamava il giudice a quo l’art. 52 D.lgs. 196 che disciplina i modi
di diffusione delle sentenze o dei provvedimenti giurisdizionali, per
finalità di informativa giuridica, precisando che l’interessato può
esplicitamente chiedere, per motivi legittimi, con domanda depositata
nella cancelleria, prima che sia definito il grado di giudizio, che, in
caso di riproduzione del provvedimento in qualsiasi forma, per finalità
di informazione giuridica, sia esclusa l’indicazione delle generalità e
d altri dati identificati ) soggetto interessato, riportati nel
provvedimento stesso; più specificamente, nel settore civile, vanno
omessi , anche in mancanza di richiesta, le generalità, nonché altri
dati identificativi , anche relativi a terzi dai quali possa desumersi
l’identità di minori oppure delle parti nei procedimenti in materia di
rapporti di famiglia e di stato delle persone.
Va peraltro osservato che l’art. 22 Codice Privacy afferma il principio
generale per cui i dati sensibilissimi, e specificamente quelli idonei a
rivelare lo stato di salute non possono„ essere diffusi. Tale
indicazione, che non pare ammettere eccezioni, supera il punto di
equilibrio indicato dall’art. 52, con riferimento ai provvedimenti
giurisdizionali, tra gli interessi della persona alla privacy, di sicura
rilevanza costituzionale, e quelli , altrettanto rilevanti,
all’integrale pubblicazione dei provvedimenti giurisdizionali, a scopo
di informativa giuridica.
Del resto, ad colorandum , anche se successiva alla fattispecie dedotta,
può ricordarsi l’Autorizzazione n. 7/2008 al trattamento dei dati a
carattere giudiziario, anche da parte di soggetti pubblici, del Garante
della privacy, ove si evidenzia la necessità di favorire l’attività di
documentazione , studio e ricerca in campo giuridico ma pure, quella di
ridurre al minimo i rischi che i trattamenti potrebbero comportare per i
diritti e le libertà fondamentali nonché per la dignità della persona;
ne consegue che devono essere trattati i soli dati essenziali. ai fini
della informativa giuridica, e che il trattamento va effettuato
unicamente con operazioni,`con logiche e mediante forme di
organizzazione di dati strettamente indispensabili in rapporto ai
predetti obblighi informativi.
Ancor più recentemente la Deliberazione del Garante della Privacy del 2
dicembre 2010 circa le “Linee guida sul trattamento dei dati personali
nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali, per finalità di
informazione giuridica ” precisa che, relativamente ai dati idonei a
rivelare lo stato di salute, esiste uno specifico divieto di diffusione
anche per i soggetti pubblici, e chiarisce che la salvaguardia dei
diritti degli interessati attraverso un oscuramento delle loro
generalità, non pregiudica la finalità di informazione giuridica, ma può
risultare necessaria nella prospettiva di un bilanciamento dei diversi
interessi per tutelare la sfera di riservatezza dei soggetti coinvolti.
Appare pertanto illecita la diffusione delle generalità del ricorrente,
con riferimento ad un provvedimento giurisdizionale ove si indicava il
suo stato di salute e le sue invalidità.
Il ricorrente chiede la condanna dei titolare dei trattamento dei dati
al risarcimento dei danno, ma non è in grado di indicare specificamente
chi egli sia (si limita ad affermare che non sarebbe il giudice) né di
individuare la consistenza del danno occorso che, come afferma la
giurisprudenza consolidata di questa Corte (tra le altre, Cass. 222 del
2016), anche in materia di diritti fondamentali, non può configurarsi in
re ipsa: il richiedente deve fornire prova di tutti i presupposti di cui
all’art. 2043 c.c., non solo il comportamento illegittimo, ma pure il
danno occorso e il nesso di causalità tra comportamento ed evento dannoso.
Va dunque accolto il ricorso, nei limiti di quanto sopra indicato,
assorbito il terzo motivo.
Va cassata la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo, in
diversa opposizione, che sulla base dei principi sopra espressi,
valuterà l’esistenza e la consistenza dei danno, nonché l’indicazione
del soggetto responsabile, e pure si pronuncerà sulle spese dei presente
giudizio di legittimità.
Ai sensi degli artt. 22 e 52 Dlgs 196/03 appare opportuno omettere le
generalità e gli altri dati identificativi della parte privata.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la
sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese dei presente giudizio di
legittimità, al Tribunale di Palermo, in diversa composizione.
In caso di diffusione dei presente provvedimento, omettere le generalità
e gli altri dati identificativi, a norma degli artt. 52 e 22 d.lgs 196/03.