Sentenza N. 4824 del 2019
Corte di Cassazione - Sezione Penale I
Data deposito/pubblicazione
19/01/0030
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/12/2018
IN FATTO E IN DIRITTO
1. La Corte di Appello di Trento, con sentenza emessa in data 10 maggio 2017 ha confermato, nei confronti
di V.L. e C.G., la decisione emessa in primo grado dal Tribunale di Trento.
Con tali conformi decisioni di merito è stata affermata la penale responsabilità di entrambi gli imputati con
condanna alla pena – sospesa – di mesi otto di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa (previo riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche e riduzione per il rito abbreviato) per il reato di concorso nel porto
non consentito di un fucile calibro 12 (fatto avvenuto il (OMISSIS)).
1.1 In fatto, va evidenziato che la vicenda oggetto di giudizio si incentra sulla temporanea “cessione”
dell’arma – durante una battuta di caccia – dal V. (soggetto autorizzato al porto) al C. (soggetto non
autorizzato al porto).
Secondo la Corte di Appello tale momentaneo utilizzo dell’arma da parte del C. è punibile, in ragione della
consistenza temporale del possesso – quantificato in circa 15 minuti sulla base delle deposizioni acquisite – e del fatto che il C. utilizzo l’arma in questione per esplodere un colpo. Entrambi gli imputati erano
consapevoli dell’assenza di titolo abilitativo in capo al C..
2. In particolare, esaminando il contenuto dei motivi di appello, la Corte di secondo grado afferma che:
– il rapporto del C. con l’arma è stato effettivo e non ridotto a pochi attimi, dunque non rileva che durante
l’azione il V. sia rimasto nei pressi, essendo transitata l’arma nel dominio di fatto del soggetto non titolato;
– non risultano applicabili altre fattispecie, atteso che nel momento in cui l’arma è entrata nella materiale
disponibilità del C., per un tempo apprezzabile, si concretizza il reato di porto abusivo, né il contesto
venatorio può fungere da esimente;
– il concorso del V. consiste nella cessione temporanea dell’arma, accompagnata da indicatori fattuali che
rivelano la consapevolezza della assenza di abilitazione in capo al C..3. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione – a mezzo del comune difensore – V.L. e
C.G. – articolando distinti motivi.
3.1 Al primo motivo si deduce vizio di motivazione.
Si ribadisce che il possesso dell’arma in capo al C. è durato circa quindici minuti (sulla base della attività di
osservazione svolta dagli operanti) e il V. era nei pressi. Non vi sarebbe un reale “potere di fatto” sull’arma
da parte del C.. Non vi era, pertanto, alcun obbligo di denunzia e la condotta non sarebbe penalmente
rilevante.
Non si tratta – in tesi – di una “cessione” in senso proprio, ma di un momentaneo rapporto con l’arma, da
parte del soggetto non titolato, avvenuto sotto il costante controllo del soggetto titolato.
3.2 Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla
qualificazione del fatto.
La proposta di riconduzione della condotta alla previsione di legge di cui all’art. 35 Tulps è stata
ingiustamente disattesa.
Ma in ogni caso si evidenzia che non vi è stata alcuna “cessione” dell’arma, in senso giuridico-formale.
La cessione è momentanea e non punibile. Si afferma, in particolare, che se l’uso momentaneo dell’arma
avviene sotto il costante controllo del soggetto titolato non vi è alcun reato.
3.3 Al terzo motivo si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione di legge in riferimento alla
ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato a carico di V.L..
L’arma, si afferma, è stata solo “provata” dal C. perché costui era interessato al suo acquisto.
Non vi è alcuna prova della consapevolezza soggettiva, in capo al V., dell’assenza di titolo abilitativo in capo
al C..3.4 Al quarto motivo si deduce ulteriore vizio argomentativo. Si ritiene che la decisione di secondo grado sia
meramente riproduttiva dei contenuti espressi dal primo giudice, senza adeguata risposta alle censure.
4. I ricorsi sono infondati, per le ragioni che seguono.
4.1 Il ricorrente riproduce le censure già esposte in sede di merito, cui è stata fornita risposta che il Collegio
ritiene adeguata ed immune da vizi in diritto.
Va premesso che in tema di armi la legislazione è ispirata ad un condivisibile rigore, in ragione delle
potenziali conseguenze lesive di condotte poste in essere da soggetti inesperti. Il rapporto, anche
temporaneo, con l’arma – purché di durata apprezzabile comporta l’obbligo della denunzia (e la verifica dei
requisiti soggettivi di idoneità) anche se la detenzione deriva da affidamento, cessione o qualsivoglia altro
motivo (così Sez. 1, n. 3490 del 26.9.1986, rv 175396; Sez. I n. 6912 del 29.4.1992, rv 190557).
4.2 Ora, il caso in esame – per come congruamente ricostruito in sede di merito – ha visto il trasferimento
dell’arma, durante la battuta di caccia, dal soggetto “titolato” a quello “non titolato”. Le modalità del fatto
sono incontestate, essendo pacifico che il C. ha imbracciato l’arma e ha mantenuto il possesso per almeno
quindici minuti, anche adoperando l’arma.
Ciò, effettivamente, attribuisce al fatto – come si è ritenuto in sede di merito – caratteri di illiceità del porto,
atteso che non si è trattato di una semplice “esibizione” dell’arma ma di un – sia pur temporaneo –
impossessamento da parte del soggetto sprovvisto di abilitazione. A nulla rileva, sul punto, la compresenza
del soggetto “titolato”, ribadita nel ricorso, posto che la durata apprezzabile del “rapporto diretto” tra il
soggetto “non titolato” e l’arma determina la fuoriuscita di questa dalla sfera di controllo del legittimo
detentore e – specularmente – l’ingresso nel dominio volontaristico della persona sprovvista di titolo, il che
è aspetto sufficiente a concretizzare (proprio per l’assenza di una reale volontà di cessione definitiva)
l’illegittimità del porto.
A conclusioni del tutto analoghe è pervenuta questa Corte in un caso caratterizzato da profonde analogie
con il presente (cessione temporanea dell’arma durante una battuta di caccia), deciso con sentenza emessa
da questa Prima Sezione il 16.1.2018 (n. 20186 del 2018) ai contenuti, condivisi dal Collegio, si opera rinvio.
4.3 Quanto detto sopra esclude la fondatezza dei primi due motivi di ricorso. Il terzo ed il quarto motivo
sono, invero, inammissibili per manifesta infondatezza.La consapevolezza, da parte del L., dell’assenza di titolo abilitativo in capo al C. è stata argomentata
razionalmente, in sede di merito, sulla base delle concrete emergenze istruttorie, sicché la doglianza si
traduce in una mera richiesta di rivalutazione, non consentita nella presente sede di legittimità.
Le argomentazioni in fatto e in diritto esposte nella decisione impugnata ricalcano, infine, legittimamente
quelle impiegate dal primo giudice, posto che i motivi di appello riproponevano – come del resto è normale
che sia, in assenza di nova – i temi già trattati.
Non vi è dunque alcun omesso esame delle censure quanto una condivisione dei profili argomentativi già
esposti in primo grado.
I ricorsi vanno, nel loro complesso rigettati. Ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.
PQM
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019