Sentenza N. 32509 del 2018
Corte di Cassazione - Sezione Penale III
Data dell'udienza in cui è stato assunto
05/04/2018
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A. E., nato ad ***
avverso l’ordinanza del 22/11/2017 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
letta la requisitoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 22 novembre 2017 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza ha dichiarato inammissibile l’opposizione, presentata il 14 settembre 2017, al decreto penale di condanna emesso dal medesimo giudice nei confronti E. A., in relazione al reato di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000, notificato all’imputato il 7 agosto 2017, in quanto presentata tardivamente e comunque trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata, ritenendo tale modalità non consentita dall’art. 461 cod. proc. pen.
2. Avverso tale ordinanza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione dell’art. 1 I. 7/10/1969 n. 742 (come modificata dal d.l. 12/9/2014 n. 132, convertito con modificazioni dalla I. 19/11/2014 n. 162), ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., prospettando la erroneità della affermazione della tardività della propria opposizione, non essendo stato considerato che il decreto era stato notificato in pendenza della sospensione feriale dei termini, con la conseguenza che il termine per la proposizione dell’opposizione avrebbe dovuto essere computato dalla cessazione di tale sospensione, e che quindi la propria opposizione, proposta il entro il termine di 15 giorni dalla notificazione del decreto.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 461 cod. proc. pen., ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., censurando l’affermazione della inammissibilità della proposizione della opposizione mediante posta elettronica certificata, essendo consentita la trasmissione degli atti di parte mediante tale modalità dal d.l. 7/3/2005 n. 85 (codice della amministrazione digitale), il cui art. 48 equipara la trasmissione dei documenti informatici per via telematica alla notificazione per mezzo della posta.
2.3. Con un terzo motivo ha lamentato la violazione dell’art. 16, comma 4, d.l. 16 ottobre 202 n. 179, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., non essendo stata notificata all’imputato copia del decreto penale di condanna e non essendo consentite le notificazioni all’imputato personalmente a mezzo di posta elettronica certificata.
3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, a causa della sua manifesta infondatezza, per non essere consentito nel processo penale alle parti private di effettuare comunicazioni, notificazioni e altre istanze mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Nel processo penale non è consentito alle parti private inviare mediante posta elettronica certificata atti di alcun genere (cfr. Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443; Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, Livisianu, Rv. 263189; Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, P., Rv. 270702; Sez. 5, n. 12347 del 13/12/2017, dep. 16/03/2018, Gallo, Rv. 272781), dunque neppure l’atto di opposizione a decreto penale (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 272740; Sez. 3, n. 50932 del 11/07/2017, Giacinti, Rv. 272095).
Ai sensi degli artt. 148, comma 2 bis, 149, 150, 151, comma 2, cod. proc. pen. e della I. n. 221 del 2012 (di conversione del d.l. n. 179 del 2012), l’utilizzo della posta elettronica certificata è consentito, dal 15/12/2014, solamente per eseguire le comunicazioni di cancelleria alle persone diverse dall’imputato.
Questa stessa Sezione terza ha al riguardo chiarito (cfr. Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443, cit.), che, a differenza di quanto previsto per il processo civile, nel processo penale tale forma di trasmissione, per le parti private, non è consentita.
Nel processo civile l’art. 366, comma 2, cod. proc. civ. (così come previsto dalla legge 12 novembre 2011, n. 183, che ha modificato la legge n. 53/1994), ha introdotto espressamente la posta elettronica certificata quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati. Già il D.M. n. 44/2011 aveva disciplinato con maggiore attenzione l’invio delle comunicazioni e delle notifiche in via telematica dagli uffici giudiziari agli avvocati e agli ausiliari del giudice nel processo civile, in attuazione dell’art. 51 della Legge 6 agosto 2008, n. 133. In tale contesto assume rilevanza la disposizione di cui all’art. 4 che prevede l’adozione di un servizio di posta elettronica certificata da parte del Ministero della Giustizia in quanto ai sensi di quanto disposto dalla legge 24/2010 nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica devono effettuarsi, mediante posta elettronica certificata. Quest’ultima disposizione è stata rinnovata anche dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, che all’art. 16, comma 4, ha stabilito che “Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione e’ redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria”.
Ne consegue, pertanto, che per la parte privata, nel processo penale, l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione non è – allo stato – consentito quale forma di comunicazione e/o notificazione, e che pertanto l’atto di opposizione a decreto penale, di cui si lamenta da parte del ricorrente l’errata dichiarazione di inammissibilità, non è stato regolarmente trasmesso e, quindi, non può considerarsi depositato.
Ciò comporta la manifesta infondatezza del ricorso, rimanendo assorbite le doglianze in ordine alla mancata considerazione della sospensione feriale dei termini processuali e alla omessa notificazione del decreto all’imputato personalmente con modalità diverse dalla posta elettronica certificata, stante la mancanza di un valido atto di opposizione, tale non potendo ritenersi quello trasmesso a mezzo di posta elettronica certificata da parte del difensore dell’imputato, che, a causa dell’utilizzo di tale mezzo non consentito, non può considerarsi validamente depositato e non consente quindi di formulare rilievi di alcun genere.
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 5/4/2018
Il Consigliere estensore Il Presidente
Giovanni Liberati Vito Di Nicola