Sentenza N. 47094 del 2016
Corte di Cassazione - Sezione Penale V
Data deposito/pubblicazione
09/11/2016
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/10/2016
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 ottobre – 9 novembre
2016, n. 47094
Presidente Bianchi – Relatore Gianniti
Ritenuto in fatto
1.La Corte di appello di Firenze con la impugnata sentenza ha confermato la
sentenza 24/10/2013 con la quale il Tribunale di Pistoia aveva condannato
B.G. alla pena di un anno di reclusione, sostituita con due anni di libertà
controllata, e alla sanzione accessoria della sospensione della patente di guida
per un anno, in relazione al reato di omicidio colposo, commesso in data
21/5/2009 ai danni di I.B. ed aggravato dalla violazione della normativa sulla
circolazione stradale, per avere cagionato, mediante l’apertura improvvisa
dello sportello della propria auto parcheggiata, la caduta dalla bicicletta della
predetta I.B., (di 75 anni), con conseguenti lesioni personali alla medesima che
ne cagionavano il decesso il successivo 10.7.2009.
2.Avverso la suddetta sentenza, tramite difensore di fiducia, propone ricorso
l’imputato, deducendo violazione dell’art. 533 comma 1 c.p.p. nonché
violazione degli artt. 589, 40 e 41 c.p..
2.1. Quanto alla pretesa violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole
dubbio, secondo il ricorrente, non sarebbe stata in alcun modo provata la
violazione della norma cautelare contestata. Il ricorrente osserva che la Corte –
dopo aver rilevato che nel caso in esame non vi erano emergenze istruttorie
che consentivano una ricostruzione assolutamente certa delle modalità
dell’incidente e, in particolare, dopo aver sottolineato, al fine di negare la
possibilità di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, l’assenza di dati
oggettivi – non avrebbe tuttavia valorizzato detta assenza nel valutare
l’attendibilità della ricostruzione del consulente del PM, la cui ricostruzione non
poteva dirsi corroborata da elementi esterni.
2.2. Quanto poi alla dedotta violazione degli artt. 589, 40 e 41 c.p., secondo il
ricorrente, non sarebbe dimostrato che l’evento morte possa pacificamente
ricollegarsi, sotto il profilo causale, al sinistro stradale, essendosi verificato,
nella serie causale, un errore terapeutico da parte dei medici curanti, che
aveva determinato I’exitus. Il ricorrente osserva che la Corte ha escluso
l’interruzione del nesso causale a seguito dell’errore medico, rilevando che
esso non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, ma a
sostegno del proprio assunto avrebbe richiamato sentenze emesse da questa
Corte in fattispecie non del tutto sovrapponibili. D’altronde la causa
sopravvenuta di cui all’art. 41 comma 2 non si riferisce solo ad un processo
causale del tutto autonomo ed imprevedibile, ma anche nel caso di un
processo non completamente avulso dal precedente, ma caratterizzato da un
percorso completamente atipico ed eccezionale.
Considerato in diritto
1. II ricorso non è fondato.
2. Non fondato è il profilo del ricorso concernente l’asserita violazione dell’art.
533 comma 1 c.p.p.
2.1. Al riguardo occorre in primo luogo ribadire il principio secondo cui la
ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia –
valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti,
accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza
causale di ciascuna colpa concorrente – è rimessa al giudice di merito ed
integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di
legittimità se sorretti da adeguata motivazione (Sezione 4, 5 dicembre 2007,
Proc. Rep. Trib. Forlì in proc. Benelli; nonché, Sezione 4, 12 dicembre 2008,
Spinelli).
2.2. Orbene, nel caso di specie, il Tribunale di Pistoia ha ricostruito la dinamica
dell’incidente stradale attraverso le consulenze disposte dal PM, le
testimonianze rese dalle figlie della ciclista deceduta e di un negoziante che
aveva soccorso la vittima caduta per terra, nonché attraverso le varie
dichiarazioni rese dall’imputato durante le indagini preliminari.
Sulla base delle suddette risultanze processuali il Tribunale di Pistoia ha
ritenuto dimostrato che si fosse verificato un urto tra la bicicletta e l’auto; e
che, d’altra parte, non erano credibili sul punto le dichiarazioni del B. che
negavano tale urto, perché interessate e perché smentivano a posteriori la sua
prima affermazione, contenuta nel CID da lui sottoscritto, circa il verificarsi di
un contatto, sia pure lieve, tra il pedale della bicicletta e lo sportello della sua
auto.
Peraltro, in punto di urto, il Tribunale di Pistoia ha ritenuto condivisibili le
conclusioni del consulente del PM, che aveva valutato anche l’ipotesi che non vi
fosse stato alcun urto tra lo sportello e la bicicletta e che la donna fosse caduta
a causa di una manovra di emergenza da lei eseguita per evitare di colpire lo
sportello che il B. aveva aperto, perdendo così il controllo del suo velocipede:
secondo il consulente, infatti, la donna, se si fosse trovata alla distanza
indicata dallo stesso imputato quando questi aveva aperto lo sportello, pur
viaggiando a velocità molto modesta, non avrebbe avuto un tempo sufficiente
per evitare l’ostacolo in modo non pericoloso. Al contrario, ha respinto la tesi
del consulente della difesa circa la impossibilità di un urto tra la bicicletta e lo
sportello dell’auto dell’imputato, perché basata su elementi dei tutto ignoti
quali il modello della bicicletta, la distanza tra la bici caduta e la macchina, la
modalità con cui quest’ultima era parcheggiata.
In definitiva, il giudice di primo grado ha ritenuto provato il nesso di causalità
tra l’apertura dello sportello da parte del B. e la caduta della donna, per avere
tale apertura costituito quanto meno una turbativa, e ha ritenuto quindi che
l’imputato avesse cagionato il sinistro violando l’art. 157 c.7 dei codice della
strada (che vieta l’apertura degli sportelli di un veicolo senza essersi prima
assicurati che ciò non costituisca un pericolo o un intralcio per gli altri utenti
della strada).
2.3. E la Corte di appello di Firenze, pur confermando la ricostruzione del fatto
operata dal giudice di primo grado, ha dato preliminarmente atto che le prove
raccolte non consentivano una ricostruzione assolutamente certa e indiscutibile
delle modalità dell’incidente (perché: ad esso non assistettero dei testimoni;
non fu richiesto l’intervento dell’autorità e quindi non furono effettuati rilievi da
parte della Polizia o dei Carabinieri, né sul posto né sui veicoli rimasti coinvolti;
la persona offesa non era mai stata escussa a sommarie informazioni e
l’imputato aveva fornito versioni molto diverse tra loro, così ostacolando e non
certo facilitando tale ricostruzione), di talché risultava impraticabile o
comunque inutile l’effettuazione di una perizia, proprio perché il perito non
avrebbe potuto che fornire una ricostruzione ipotetica ovvero formulare
conclusioni alternative, come già aveva fatto il consulente dei PM.
Ciò non di meno, secondo la Corte territoriale, è risultato provato, oltre ogni
ragionevole dubbio, che l’incidente che aveva portato al decesso dell’anziana B.
era connesso alla condotta tenuta dal B. ed era stato causato dall’apertura
dello sportello dell’auto, dallo stesso effettuata in violazione dell’art. 157 c.7
codice della strada: la vittima, secondo quanto dichiarato dalle sue figlie,
aveva sempre attribuito la sua caduta a tale movimento di apertura dello
sportello; lo stesso imputato, nell’immediatezza del fatto, aveva ammesso tale
collegamento dapprima scusandosi, in presenza del teste C., per avere aperto
lo sportello, spiegando di non avere visto la bicicletta che arrivava (frase che
egli non avrebbe avuto motivo di dire se la donna fosse caduta
indipendentemente da tale suo gesto) e poi firmando una esplicita
dichiarazione, riportata nel C.I.D. pervenuto il 27/5/2009 alla sua Compagnia
Assicuratrice (la Liguria spa), in cui ammetteva che “ho aperto lo sportello …
mentre lo stavo chiudendo perché mi era accorto della signora dallo
specchietto mi ha sfiorato lo sportello con il pedale e è caduta a terra”; dalla
relazione che il perito della predetta Compagnia Assicuratrice aveva inviato a
quest’ultima emergeva che anche allo stesso il B. aveva dichiarato che la B.
era caduta a terra “senza venire a contatto cori lo sportello … ma sfiorandolo
soltanto con il pedale destro”.
Secondo la Corte territoriale: a) il giudice di primo grado aveva correttamente
valutato come proveniente dall’imputato la dichiarazione riportata nel predetto
C.I.D. della Compagnia Assicuratrice Liguria, essendo stata dallo stesso
sottoscritta (con firma che non era mai stata formalmente disconosciuta) e
comunque non potendo che essere stata redatta da persona che aveva
ricevuto dallo stesso B. la descrizione dell’incidente (stante l’assenza di
testimoni e il ricovero della vittima); b) non era attendibile la successiva
dichiarazione dattiloscritta – che l’imputato aveva inviato al perito della
Compagnia di Assicurazioni – perché “palesemente e inspiegabilmente difforme
da quanto egli stesso aveva sino a quel momento affermato”; c) parimenti non
attendibile era quanto riferito dal B. in sede di interrogatorio reso alla P.G.
l’8.3.2011 (laddove aveva precisato di avere “visto la donna accasciarsi a terra
e cadere sulla sede stradale”): sia perché il teste C., che al momento
dell’incidente si trovava all’interno del suo negozio posto nei pressi, aveva
riferito di avere sentito “una botta”, tanto da essere uscito a causa di quel
rumore (il semplice “accasciarsi” dell’anziana signora, invero, non avrebbe
causato un rumore così forte da essere sentito all’interno di un negozio e da
indurre il negoziante ad uscire subito per strada); sia perché non erano emersi
elementi che potessero far pensare ad una improvvisa autonoma perdita di
equilibrio della donna (non risultavano anomalie della strada né particolari
fenomeni atmosferici; la donna non aveva avuto un malore, dato che dopo la
caduta era compos sui; lo stesso imputato, unico soggetto presente al fatto,
non aveva mai indicato una diversa causa di quella caduta, a cui pure aveva
assistito).
Per le ragioni che precedono la Corte territoriale ha confermato che, alla luce
delle prove raccolte e nell’inesistenza di una ipotesi alternativa razionale e
plausibile, era risultato dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che la caduta
della anziana ciclista era avvenuta (non per una mera “concomitanza
ambientale” con il B., che si stava accingendo a scendere dalla sua auto, ma)
perché il B. aveva aperto lo sportello del suo veicolo mentre la bicicletta stava
sopraggiungendo, non essendosi accorto della stessa, andando così ad
interferire con il suo transito.
La Corte territoriale si è fatta carico di esaminare la contestazione mossa
dall’appellante alla consulenza del PM (nella parte in cui questi aveva indicato
la posizione della ciclista come in marcia sul lato destro della strada e in
prossimità della fila delle auto in sosta), dicendo che si trattava di una mera
ipotesi; e ha ritenuto infondata detta contestazione, in quanto il consulente
aveva utilizzato un dato che emergeva dalle prove acquisite; peraltro anche il
consulente M., nominato dalla Liguria Assicurazioni – il quale, nel ricostruire le
modalità del sinistro, aveva fatto ricorso all’ausilio dello stesso B. che lo aveva
accompagnato in una ricognizione sul posto – nelle sue conclusioni aveva
escluso che la donna stesse viaggiando a tale distanza dall’auto da non poter
ricevere alcuna turbativa dall’apertura dello sportello.
La Corte territoriale ha ritenuto che, essendo risultato provato che l’incidente
era consistito nella caduta della ciclista provocata dall’apertura dello sportello
dell’auto – risultava poco rilevante accertare se si fosse verificato anche un
vero e proprio urto tra di essi o se la donna avesse perso l’equilibrio per un
brusco cambio di traiettoria a cui si fosse trovata costretta dalla turbativa
costituita appunto dall’apertura dello sportello: infatti in entrambi i casi il B.
avrebbe violato l’art. 157 c.7 c.d.s. ed avrebbe quindi cagionato, per colpa, il
sinistro stesso. Sotto questo profilo, la Corte ha correttamente rilevato che, in
presenza di una incertezza probatoria, il giudice ben può valutare tutti i
possibili collegamenti tra l’evento e la condotta, dovendo pronunciare la
condanna ogniqualvolta emerga che la condotta dell’imputato, anche se non
ricostruita con assoluta certezza, abbia in ogni caso concorso a cagionare
l’evento. Nel caso in esame, secondo la Corte, era certo che il B. ha aperto lo
sportello della propria auto mentre sopraggiungeva la bicicletta condotta dalla
B. ed era certo che, così facendo, il B. ha interferito con il percorso della
bicicletta; tale condotta non solo era stata altamente imprudente (essendo
notoria la probabilità che un altro veicolo, soprattutto a due ruote, stia
transitando sulla sede stradale tenendosi accostato alle auto in sosta, essendo
obbligato a viaggiare in prossimità del lato destro della corsia), ma anche
violativa dell’art. 157 del codice della strada (il quale al settimo comma vieta a
chiunque “di aprire le porte di un veicolo… senza essersi assicurato che ciò non
costituisca pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada”).
Per le ragioni che precedono la Corte ha ritenuto ampiamente provata la
responsabilità del B. nel sinistro, dallo stesso cagionato con colpa generica e
con la contestata colpa specifica.
2.4. A fronte della duplice ed ampiamente argomentata disamina (effettuata in
sede di merito e sopra ripercorsa), le diverse prospettazioni del ricorrente si
risolvono in censure sull’apprezzamento del compendio probatorio, che sono
improponibili in sede di legittimità e comunque sono infondate, avendo
entrambi i giudici del merito fatta satisfattiva applicazione dei principi vigenti in
materia ed avendo il giudice di secondo grado sottoposto a complessiva
argomentata rivisitazione il compendio probatorio.
3.Infondato è anche il profilo del ricorso concernente la contestata sussistenza
dei nesso causale tra la colpevole condotta colpevole del B. ed il decesso della
Sig.ra B..
3.1. E’ nota la giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale, ai
fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione dei nesso causale tra la
condotta e l’evento (art. 41 c.p., comma 2), il concetto di causa sopravvenuta
da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso di un
processo causale del tutto autonomo (giacché, allora, la disposizione sarebbe
pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe
comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle
cause di cui all’art. 41 c.p., comma 1), ma anche nel caso di un processo non
completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato da un percorso
causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed
eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto
imprevedibili a seguito della causa presupposta.
Orbene, l’apprezzamento sulla natura eccezionale ed imprevedibile del fatto
sopravvenuto è comunque accertamento devoluto al giudice di merito che deve
logicamente motivare il suo convincimento sul punto.
Tanto è per l’appunto avvenuto nel caso di specie, nel quale entrambi i giudici
di merito, esaminando tutti i dati processuali a disposizione, hanno escluso
l’interruzione del nesso causale.
3.2. Ed, invero, al riguardo, il Tribunale di Pistoia ha in primo luogo
accuratamente ripercorso la storia clinica della donna. Quest’ultima:
nell’immediatezza era stata ricoverata per un trauma cranico con frattura
occipitale, un’emorragia cerebrale e la frattura dei perone sinistro; aveva avuto
un decorso regolare ed era stata dimessa il 10.6.2009, ma il 25.6.2009 aveva
manifestato un episodio di lipotimia e il 10.7.2009, improvvisamente, aveva
riportato un arresto cardiaco; subito ricoverata, era deceduta quel giorno
stesso per “embolia polmonare massiva”.
Quindi, il giudice di primo grado – dopo aver rilevato che dall’autopsia era
emersa la presenza di trombi al polmone sinistro – ha ritenuto corretta la
valutazione dell’anatomo-patologo, nominato consulente dal PM, secondo cui
tale embolia era “da ricondursi, etiopatogeneticamente, al trauma subito al
livello dell’arto inferiore sinistro il 21.5.2009 e alla immobilizzazione cui fu
costretto il soggetto in seguito all’evento”, anche perché nel corso dell’autopsia
era emersa pure una trombosi dei vasi venosi profondi della gamba sinistra.
Il Tribunale di Pistoia ha dato atto che il consulente tecnico della difesa – pur
ritenendo a sua volta che la causa della morte era stata l’embolia polmonare
dovuta ad una trombosi conseguente alla frattura e alla immobilizzazione
provocate dall’incidente – aveva sostenuto che il nesso causale tra la caduta e
il decesso era stato interrotto dal sopravvenire di un’altra causa, cioè l’errore
medico (in quanto la donna non era stata curata con le terapie necessarie per
scongiurare il rischio di una trombosi, che nel suo caso era elevatissimo,
mentre la somministrazione di eparina a basso peso molecolare, come previsto
dai protocolli sanitari, avrebbe ridotto il rischio di morte dal 30% al 2-8%); ma
ha significativamente osservato che anche il consulente delle difesa aveva
riferito che le predette terapie non avrebbero eliminato dei tutto il rischio di
morte, tanto che si era detto d’accordo con la conclusione del consulente del
PM secondo cui in casi simili l’evento mortale era “latamente prevedibile ma
non del tutto prevenibile”.
3.3. E la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha
ritenuto che l’eventuale errore dei medici non aveva interrotto il nesso causale
tra le lesioni subite dalla B., provocate dal sinistro di cui l’imputato era
responsabile, e la sua morte, e tanto meno esso si poneva come causa
sopravvenuta da sola idonea a provocare l’evento.
II sinistro aveva cagionato all’anziana donna gravi lesioni che sarebbero state
sufficienti per provocarne la morte, essendole state riscontrate una frattura
occipitale, con emorragia cerebrale ed emorragia subaracnoidea frontale, e la
frattura del perone; l’intervento dei medici avrebbe potuto forse evitare il
decesso, ma persino il consulente medico-legale nominato dall’imputato non
aveva potuto non riconoscere che, in una simile situazione di lesività aggravata
dall’età e dalle non perfette condizioni di salute della paziente, persisteva un
rischio di mortalità pari al 2-8% anche in caso di applicazione delle migliori
terapie conosciute e con il pieno rispetto dei protocolli medici.
3.4. Anche in punto di nesso causale, dunque, la sentenza impugnata si sottrae
alle censure del ricorrente, essendo corredata da motivazione adeguata e
conforme a legge.
4. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente
deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.