Sentenza N. 116 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
08/07/1969
Data deposito/pubblicazione
08/07/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/06/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE, Giudici,
primo, del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765 (disposizioni per
l’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle
malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 28 dicembre
1967 dal tribunale di Enna nel procedimento civile vertente tra
Viavattene Filippo e l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro
gli infortuni sul lavoro, iscritta al n. 23 del Registro ordinanze 1968
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 30
marzo 1968.
Visti gli atti di costituzione di Viavattene Filippo e
dell’I.N.A.I.L. e d’intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 7 maggio 1969 la relazione del
Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi l’avv. Valerio Flamini, per l’I.N.A.I.L., e il sostituto
avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Con citazione del 20 marzo 1964 Filippo Viavattene, assumendo di
essere affetto da malattia professionale causata da inalazione di
anidride solforosa e denunciata nei termini di legge, e premesso che
aveva inoltrato regolare domanda alla sede competente dell’I.N.A.I.L.
al fine di ottenere la costituzione in suo favore della rendita per
inabilità permanente e che detta domanda era stata respinta sotto il
profilo che il diritto di cui si chiedeva il riconoscimento si era
prescritto, conveniva in giudizio, davanti al tribunale di Enna,
l’I.N.A.I.L. e ne chiedeva la condanna alla costituzione in suo favore
della rendita per inabilità permanente.
L’I.N.A.I.L., costituitosi in giudizio, deduceva che la malattia
professionale dell’attore risaliva al 1956, che al riguardo erano state
presentate due denunce (la prima il 20 gennaio 1959 e la seconda il 13
dicembre 1962) e che entrambe le pratiche erano state chiuse
negativamente per prescrizione del preteso diritto a sensi del primo
comma dell’art. 67 del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765, e chiedeva che,
accertata la prescrizione, fosse dichiarata inammissibile o comunque
fosse rigettata la domanda.
A mezzo di consulenza tecnica disposta dal collegio, si accertava
che il Viavattene era affetto da malattia professionale per protratta
inalazione di anidride solforosa, con un grado di inabilità attuale
del 40 per cento e che la tecnopatia aveva ridotte le attitudini del
soggetto nella misura minima perché fosse indennizzabile, non prima
del dicembre 1961.
Successivamente il tribunale, con ordinanza del 28 dicembre 1967,
sollevava la questione di legittimità costituzionale del citato art.
67, comma primo, del R.D. 17 agosto (e non giugno, come erroneamente
detto nella ordinanza) 1935, n. 1765, in riferimento all’art. 38, comma
secondo, della Costituzione.
Osservava, in punto di fatto, il tribunale che la (unica) malattia
denunziata dal Viavattene si era manifestata con i caratteri della
permanenza e della cronicità al più tardi tra la fine del 1958 ed i
primi del 1959. Rilevava che, a sensi del citato art. 67 e dell’art.23
del R.D. 15 dicembre 1936, n. 2276, il diritto a conseguire la rendita
per inabilità permanente (e le altre prestazioni previste dal primo
decreto) si prescrive nel termine di un anno dal giorno dell’infortunio
o da quello della manifestazione della malattia professionale e che
tale termine rimane sospeso per non più di novanta giorni per lo
svolgimento della procedura amministrativa di liquidazione.
Conseguentemente, dichiarava che la prescrizione della malattia
professionale, escludendo che, in base a differente interpretazione
dell’art. 67, il legislatore avesse voluto farla decorrere dal giorno
in cui l’assicurato avesse acquisito il diritto sostanziale alle
prestazioni per effetto del verificarsi delle condizioni cui la legge
subordina la nascita del diritto.
E concludeva nel senso che il termine iniziale della prescrizione
dell’azione per conseguire la rendita per inabilità da malattia
professionale è il giorno in cui la malattia si manifesta e non già
quello in cui essa determina un grado di inabilità superiore al 20 per
cento.
Stante ciò, il tribunale rilevava che l’attore aveva convenuto
l’I.N.A.I.L. in giudizio ben oltre i quindici mesi dalla manifestazione
della malattia e che, in conseguenza, l’azione da lui proposta doveva
considerarsi prescritta. Non poteva d’altra parte, trovare applicazione
alla fattispecie l’art. 16 della legge 19 gennaio 1963, n. 15, che
aveva elevato a tre anni il ripetuto termine di prescrizione perché,
quando la nuova norma era entrata in vigore, il diritto del Viavattene
si era già prescritto per decorso del termine e non esisteva tra le
parti una controversia nel senso voluto dal secondo comma di
quell’articolo. E in ogni caso nel fatto che l’I.N.A.I.L. avesse
disposto visita medica collegiale non poteva vedersi una rinunzia alla
già eccepita prescrizione.
Così precisati i termini della questione, il tribunale di Enna
rilevava che la norma in oggetto, se pure ispirata al sano criterio di
politica legislativa di favorire la rapida risoluzione delle
controversie in materia di infortuni sul lavoro, non poteva non
suscitare serie perplessità in ordine alla sua legittimità
costituzionale in riferimento al citato art. 38, comma secondo, della
Costituzione.
Tale disciplina, per altro in contrasto col principio secondo cui
non può iniziare a decorrere il termine di prescrizione di un diritto
fin tanto che lo stesso non è venuto in essere, sarebbe causa di gravi
inconvenienti. Qualora, infatti, l’assicurato dovesse raggiungere il
grado minimo di inabilità conseguente ad una malattia professionale al
di là dell’anzidetto termine dalla manifestazione di essa e si facesse
a chiedere all’Istituto la rendita spettantegli, la sua azione sarebbe
di già prescritta. Né ciò sarebbe evitabile, perché non è
consentito porre a carico dell’assicurato per poter interrompere la
prescrizione e per poter successivamente agire in sede di revisione,
l’onere di promuovere il giudizio contro l’istituto, ben sapendo di non
avere diritto alla rendita e d’andare incontro a sicura soccombenza con
il relativo carico delle spese. Non basta attribuire ai lavoratori
affetti da malattia professionale il diritto ad una rendita, ma occorre
anche metterli in grado di conseguirla concretamente quando essa
competa. Ora, la norma denunciata non risponde a questa esigenza,
perché prevede un termine di prescrizione troppo breve e ne fissa per
di più la decorrenza dal giorno della manifestazione della malattia
professionale, con la conseguenza che il lavoratore può incorrere
nella prescrizione e quindi nell’estinzione del diritto alla rendita,
quando ancora tale diritto non è sorto.
In tal modo il diritto alla rendita rimane frustrato e si vanifica
quindi il precetto costituzionale che riconosce il diritto dei
lavoratori ai mezzi adeguati alle loro esigenze per il caso di malattia
professionale.
Nella specie – secondo il tribunale – si sarebbe verificata proprio
l’anzidetta ipotesi: il Viavattene, infatti avrebbe raggiunto il grado
minimo di inabilità nel dicembre del 1961 quando ormai erano trascorsi
i quindici mesi dalla manifestazione della malattia verificatesi tra la
fine del 1958 e i primi del 1959.
Sotto il profilo della rilevanza, infine, il tribunale sottolineava
l’applicabilità al caso controverso del più volte citato art. 67,
nonostante la successiva normativa introdotta con la legge n. 15 del
1963, con la conseguenza che qualora fosse dichiarata l’illegittimità
costituzionale della norma impugnata, non potrebbe essere accolta la
sollevata eccezione di prescrizione del diritto alla rendita per
invalidità permanente.
L’ordinanza veniva ritualmente notificata alle parti in causa ed al
Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti della
Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 84 del 30 marzo 1968.
Davanti a questa Corte si costituivano il Viavattene con deduzioni
depositate il 19 aprile 1968 e l’I.N.A.I.L., con deduzioni depositate
lo stesso giorno e spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei
Ministri con atto depositato il 27 agosto 1968.
La difesa del Viavattene concludeva per la fondatezza della
sollevata questione, ribadendo il contrasto della norma denunciata con
l’art. 38, comma secondo, della Costituzione, sotto il profilo che la
decorrenza del termine di prescrizione dalla data dell’infortunio o
della manifestazione della malattia professionale frustrerebbe il
diritto del lavoratore a conseguire la rendita per inabilità
permanente qualora tra la manifestazione della tecnopatia ed il
raggiungimento del minimo di inabilità indennizzabile dovesse
intercorrere un periodo superiore ai quindici mesi.
L’I.N.A.I.L., invece, con un ampio scritto difensivo, concludeva
per la infondatezza della sollevata questione. Sosteneva l’Istituto
che il complesso ordinamento dell’assicurazione sociale, per un verso,
importa il sorgere del diritto a favore dell’infortunato a seguito
dell’accertamento di una invalidità lavorativa superiore al 20 per
cento; per altro verso, determina precise modalità di esercizio del
diritto, al fine di consentire l’instaurazione del procedimento
amministrativo attraverso cui l’Ente dovrà operare l’accertamento
dell’infermità. Entro codesti limiti, secondo l’I.N.A.I.L., deve
essere inquadrata la norma concernente la prescrizione, la quale tiene
conto del tempo necessario per l’espletamento del procedimento
amministrativo, in relazione al quale predispone un adeguato periodo di
sospensione del corso della prescrizione.
Proseguiva la difesa dell’I.N.A.I.L. che il dubbio di legittimità
costituzionale prospettato dal tribunale, con riferimento alla
circostanza che il termine di prescrizione decorre dalla data di
manifestazione della malattia e non dalla diversa data dell’eventuale
realizzarsi della condizione di inabilità superiore alla percentuale
minima fissata dalla legge, trae origine da un equivoco consistente
nell'”attribuire esclusivamente alla individuale iniziativa e
valutazione dell’assistito l’accertamento e la valutazione dei
presupposti legislativi per la costituzione della rendita”. Codesta
impostazione non tiene conto di altre norme (artt. 23 del R.D. n. 2276
del 1936 e 62 del regio decreto 25 gennaio 1937, n. 200) che
individuano e determinano legislativamente il concetto di
manifestazione della malattia professionale avuto riguardo alle due
ipotesi che detta manifestazione si verifichi nel corso e dopo la
cessazione della lavorazione che vi ha dato causa. In quest’ultima
ipotesi il lavoratore avrebbe soltanto l’onere di presentare la
denuncia di malattia e sarebbe del tutto conseguenziale il procedimento
amministrativo diretto all’accertamento delle condizioni di legge.
Inoltre, secondo l’I.N.A.I.L., seguendosi l’insegnamento della
Corte di cassazione, deve essere tenuto presente l’art. 25 del citato
decreto n. 1765 del 1935 che consente la revisione del provvedimento
nell’ipotesi di aggravamento della malattia professionale, rispetto
alla quale sia già stata emessa una pronuncia di guarigione senza
postumi indennizzabili.
La difesa dell’I.N.A.I.L. concludeva nel senso che, inquadrata nel
sistema normativo della legislazione concernente la disciplina degli
infortuni sul lavoro, la norma impugnata lungi dal contrastare con il
dettato dell’art. 38, comma secondo della Costituzione, ne costituisce
in certa misura attuazione in quanto consente la possibilità per
l’infortunato di adire, qualora sia decorso inutilmente il termine per
il compimento della procedura amministrativa, l’autorità giudiziaria.
Che poi l’esercizio di tale diritto trovi un limite temporale nella
prescrizione, non contrasta con alcun principio costituzionale essendo
pacifico che la garanzia costituzionale dei diritti non ne implica
necessariamente la imprescrittibilità. D’altra parte nella valutazione
della congruità del termine di prescrizione, deve farsi riferimento
non soltanto all’interesse del singolo, bensì anche a quello generale
di cui l’Ente è portatore.
L’Avvocatura generale dello Stato, a sostegno della richiesta che
la sollevata questione fosse dichiarata infondata da questa Corte,
puntualizzava le proprie argomentazioni sulla circostanza, posta in
luce da recenti pronunce della Corte di cassazione, che l’assicurato in
atto fruente di rendita è equiparato al titolare potenziale del
diritto alla rendita, con la conseguenza che, in applicazione dell’art.
25 del decreto n. 1765 del 1935 e sulla base della ratio legis,
l’infortunato ha diritto di ottenere la revisione del giudizio negativo
sull’inabilità. Pertanto, interpretandosi secondo tale impostazione
l’art. 67 citato, sosteneva che si debba pervenire alla conclusione
che, nell’ipotesi indicata, la decorrenza del termine prescrizionale
deve essere fissata con riferimento all’aggravarsi della malattia.
Con memoria depositata il 24 aprile 1969 la difesa del Viavattene
si opponeva alle argomentazioni dell’I.N.A.I.L. secondo cui il
lavoratore assicurato potrebbe denunciare all’Istituto la malattia
professionale e, in caso di negazione dell’esistenza di postumi
indennizzabili, acquietarsi al giudizio dell’Istituto medesimo, per
poi, se del caso, proporre domanda di revisione. E osservava che il
tribunale che, per altro, non si era dato carico di approfondire il
concetto di manifestazione della malattia’ aveva preso in
considerazione una ben diversa e specifica ipotesi. Concludeva
sottolineando la brevità del termine di prescrizione previsto dal più
volte citato art. 67, del quale pertanto, anche sotto questo profilo,
sarebbe evidente l’illegittimità costituzionale.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri con memoria depositata in
data 23 aprile 1969, invece, insisteva perché venisse dichiarata la
non fondatezza della questione.
In particolare, dopo avere richiamato le argomentazioni svolte
nell’atto di intervento e deduzioni, l’Avvocatura dello Stato, premesso
che il diritto alla costituzione della rendita per malattia
professionale sorge con l’accertamento di una inabilità permanente che
sia indennizzabile, precisava che, seguendosi l’orientamento espresso
da recenti pronunce della Corte di cassazione (e da ultimo dalla
sentenza 21 gennaio 1967 n. 194), l’art. 67, comma primo, più volte
citato deve ritenersi faccia riferimento alla ipotesi normale di
malattia professionale inizialmente manifestatasi con la prescritta
percentuale di inabilità al lavoro, ma non esclude che quando si
chieda, in sede di revisione, il riconoscimento ex noro dell’inabilità
permanente, il termine prescrizionale decorra dalla data di
aggravamento della malattia. Ciò, per altro, in applicazione del
principio generale di cui all’art. 2935 del Codice civile, secondo cui
la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può
essere fatto valere.
Alla luce di tale interpretazione, la norma impugnata – secondo
l’Avvocatura – non presenterebbe elementi di illegittimità
costituzionale, dato che essa garantisce in ogni ipotesi la tutela del
lavoratore che richieda la costituzione di una rendita per inabilità
permanente derivata da malattia professionale.
1. – Dopo avere dichiarato che la malattia professionale da cui era
affetto il Viavattene (bronchite da inalazione di anidride solforosa)
si era manifestata con le note della permanenza e della cronicità alla
fine del 1958 o ai primi del 1959 e che la conseguente inabilità
permanente aveva raggiunto il grado minimo di indennizzabilità nel
dicembre 1961, il tribunale di Enna ha osservato che, a causa di ciò,
la domanda giudiziale diretta alla costituzione della relativa rendita
sarebbe stata proposta (il 20 marzo 1964) al di là del termine
prescrizionale previsto dall’art. 67, comma primo, del R.D. 17 agosto
1935, n. 1765, e decorrente dal giorno della manifestazione della
malattia professionale.
Senonché il tribunale ha considerato rilevante ai fini della
decisione e non manifestamente infondata la questione di illegittimità
costituzionale del detto art. 67, comma primo, in riferimento all’art.
38, comma secondo, della Costituzione.
2. – La questione, come sopra proposta, è fondata.
L’art. 67, comma primo, del decreto n. 1765 del 1935, il quale
dispone che “l’azione per conseguire le prestazioni stabilite nel
presente decreto si prescrive nel termine di un anno dal giorno…
della manifestazione della malattia professionale”, è dettato per
l’ipotesi, normale, in cui tra l’insorgere della malattia professionale
con le note della permanenza e della cronicità, e l’esistenza di
postumi comportanti una inabilità permanente indennizzabile (e cioè
di grado superiore al 20 per cento) non passi uno spazio di tempo
relativamente lungo. In tale caso, ed in forza di quella disciplina
trovano adeguata tutela due esigenze che immediatamente fanno capo
rispettivamente all’I.N.A.I.L. ed all’assicurato: quella di mettere
l’Istituto in condizione di dar corso al procedimento di accertamento
dell’esistenza e dell’indennizzabilità della malattia professionale,
poco tempo dopo che questa si sia in fatto manifestata, e l’altra
esigenza, propria dell’assicurato, di conseguire con prontezza le
prestazioni (e tra le altre, la rendita per inabilità permanente).
Nella previsione normativa rientrano però altre ipotesi ed in
particolare quella prospettata dal tribunale e alla quale si
adatterebbe il caso di specie. Non si può non tenere presente infatti,
l’eventualità che l’inabilità permanente causata dalla malattia
professionale diventi indennizzabile, e cioè sia di grado superiore al
20 per cento, quando ormai si sia maturato in termine prescrizionale.
Va da sé che in tal caso, può dirsi verificata la prescrizione se
ed in quanto si ritenga che il relativo termine debba decorrere dal
giorno della manifestazione della malattia professionale e non si
attribuisca rilevanza all’esistenza o meno, in concreto,
dell’inabilità indennizzabile.
Ma codesto è il risultato al quale si perviene attraverso la
corretta interpretazione dell’art. 67, comma primo. Gioca decisamente
al riguardo la circostanza che l’I.N.A.I.L., appena abbia ricevuto, nei
modi di legge, la denuncia della malattia professionale, deve dar corso
al procedimento per accertare la natura e la portata della malattia
professionale, ai fini della corresponsione delle previste prestazioni.
Inoltre, pur potendosi rilevare che la regola enunciata non
concorda con il principio consacrato nell’art. 2935 del Codice civile,
secondo cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il
diritto può essere fatto valere” (ed in subiecla materia, con la tesi
secondo cui il dies a quo decorre non dal giorno della manifestazione
della malattia professionale sebbene da quello in cui l’inabilità
permanente diventi indennizzabile), deve osservarsi che l’art. 67,
comma primo, si riferisce al caso di prima liquidazione della rendita e
che, secondo un deciso orientamento giurisprudenziale, e
sostanzialmente in applicazione dello stesso art. 2935 del Codice
civile, il termine prescrizionale di cui all’art. 67, comma primo, è
sicuramente operante anche a proposito della revisione. Ma in tal caso
esso comincia a decorrere dall’aggravamento (o dalla ricaduta) della
malattia professionale e quindi in sostanza dal raggiungimento in fatto
della inabilità permanente indennizzabile. Tutto ciò, però, non
comporta che, nell’ipotesi di prima liquidazione, si debba considerare
valida ed operante la regola individuata a proposito della revisione, o
in altri termini, che quest’ultima regola sia il risultato di una
pretesa interpretazione logica dell’art. 67, comma primo. Resta
tuttavia indubbiamente meritevole di considerazione la esigenza che sta
a base di essa e che, se non determina il superamento del dato
letterale, certamente condiziona e limita l’interpretazione che ne
consegue.
3. – L’ipotesi che il tribunale di Enna si è prospettata e nella
quale rientrerebbe il caso del Viavattene, è caratterizzata da una
denuncia effettuata (il 20 gennaio 1959) tosto che si era avuta (alla
fine del 1958 o ai primi del 1959) la manifestazione (in concreto)
della malattia professionale, e dall’insorgenza dell’inabilità
permanente di grado indennizzabile (che si sarebbe avuta solo nel
dicembre del 1961) ben oltre il termine di prescrizione dell’azione.
L’art. 67, comma primo, dettato per tutte le ipotesi di prima
liquidazione della rendita e quindi anche per l’ipotesi sopra
prospettata, viene sostanzialmente, come osserva il tribunale di Enna,
a frustrare il diritto dell’assicurato alla rendita per inabilità
permanente. Nonostante il venir ad esistenza dei presupposti di legge,
il diritto dell’assicurato si estinguerebbe per prescrizione e l’azione
verrebbe ad essere paralizzata dalla proposizione della relativa
eccezione da parte dell’Istituto.
Messa a raffronto tale normativa con il dettato dell’art. 38, comma
secondo, della Costituzione, come ha fatto il giudice a quo, si rende
evidente un sicuro contrasto. Il diritto dei lavoratori acché siano
garantiti mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di
malattia, certamente assicurato dalle norme vigenti in materia, non lo
è più, in termini concreti, nell’ipotesi a riferimento. E l’art. 38,
comma secondo, in questa ipotesi, pertanto si viene a vanificare.
Non può, perciò, non riconoscersi la fondatezza della sollevata
questione di legittimità costituzionale, con la conseguenza che debba
essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 67, comma
primo, del decreto n. 1765 del 1935 nella parte in cui è prevista la
prescrittibilità dell’azione per il conseguimento della rendita per
inabilità permanente derivante da malattia professionale nonostante
che, entro il relativo termine, l’inabilità permanente non abbia
raggiunto il grado minimo per l’indennizzabilità. Dalla dichiarazione
di illegittimità costituzionale della norma in parte qua discende che,
verificandosi in concreto un fatto capace di rientrare in quella
previsione normativa, il diritto alla rendita può essere fatto valere
nei modi o termini previsti per la revisione. Di questa ci si può
servire non solo nel caso di modifica da apportare ad un precedente
provvedimento (per lo più positivo, emesso dall’Istituto, ma anche nel
caso di costituzione della rendita e cioè di prima liquidazione della
stessa, dovendosi considerare come posti sullo stesso piano e
l’aggravamento dei postumi (già ritenuti indennizzabili) ed il
raggiungimento del grado minimo indennizzabile e dovendosi,
correlativamente, secondo la più recente giurisprudenza, considerare
sullo stesso piano il titolare effettivo e quello potenziale della
rendita.
4. – Le ragioni che inducono a considerare illegittimo
costituzionalmente l’art. 67, comma primo, del citato decreto n. 1765
del 1935, ricorrono, anche a proposito dell’art. 16, comma primo, della
legge 19 gennaio 1963, n. 15 (riprodotto nell’art. 112, comma primo,
del testo unico 30 giugno 1965, n. 1124) che ha portato da un anno a
tre anni il termine prescrizionale in oggetto. Nonostante che in base a
tali disposizioni l’effetto estintivo della prescrizione consegua al
mancato esercizio del diritto protratto per un periodo di tempo molto
più lungo del precedente e quindi si presenti ben più difficile a
verificarsi l’eventualità che il minimo sufficiente di inabilità
permanente sia raggiunto al di là della scadenza del termine
prescrizionale, la ricorrente comunanza di ragioni comporta, a sensi
dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di
illegittimità costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 67, comma primo,
del regio decreto 17 agosto 1935, n. 1765 (disposizioni per
l’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle
malattie professionali), nella parte in cui dispone che l’azione per
conseguire dall’I.N.A.I.L. la rendita per inabilità permanente si
prescrive col decorso del termine ivi previsto anche nel caso in cui
entro lo stesso termine tale inabilità non abbia ridotto l’attitudine
al lavoro in misura superiore al minimo indennizzabile;
dichiara altresì, in applicazione dell’art. 27 della legge 11
marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma
primo, della legge 19 gennaio 1963, n. 15 (modifiche e integrazioni al
regio decreto 17 agosto 1935, n. 1765) nonché dell’art. 112, comma
primo, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n.
1124 (testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.